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Carenza globale di chip, potrebbe durare altri 24 mesi. Danni alle imprese per 500 miliardi di euro

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Mancanza di chip, lo scenario globale

La mancanza di un chip, del valore approssimativo di un dollaro americano, potrebbe impedire l’arrivo di un prodotto sul mercato, magari di uno smartphone, dal valore non comparabile con il singolo componente, andando a creare un danno economico.

È questo l’aspetto più problematico della crisi degli approvvigionamenti, con stime che allungano i tempi di consegna almeno fino alla fine del 2022, con proiezioni negative per alcune componenti anche per gran parte del 2023.

Secondo un articolo di approfondimento pubblicato sul sito di Deloitte, i settori che maggiormente soffriranno di questa carenza di chip saranno quelli degli smartphone, dei Pc, dei data center e di altri beni di consumo di rilievo, come l’automobile ad esempio.

Gli autori propongono delle soluzioni per i Governi e l’industria per uscire il più rapidamente possibile dall’attuale fase emergenziale.

È stato anche stimato l’impatto economico cumulativo fino alla fine del 2022 di questa crisi degli approvvigionamenti, che potrebbe superare i 500 miliardi di euro di perdite per le imprese dei settori elencati.

Come uscire dalla crisi, la politica UE

Un ulteriore problema è la strategia da pianificare, tra produttori, distributori ed utilizzatori finali (l’intera supply chain dei semiconduttori), per evitare a livello internazionale che un’emergenza simile si ripeta in futuro.

L’attuale ripresa ha fatto schizzare verso l’alto la domanda di chip, anche del +35% in meno di un anno, creando comprensibile difficoltà nel provvedere a tale aumento.

Come ha spiegato recentemente la vicepresidente esecutiva della Commissione europea e responsabile per la Concorrenza, Margrethe Vestager, sono diversi i motivi alla base di questa carenza diffusa: “dall’aumento della domanda alle tensioni geopolitiche che portano all’accaparramento di forniture, alle decisioni commerciali di alcune aziende di rescindere i contratti di fornitura, per ritrovarsi poi in coda alla ripresa della domanda”.

Questo scenario ha poi invogliato molte industrie a sfruttare la situazione per mettere i Paesi l’uno contro l’altro e vedere chi è disposto a pagare di più, lasciando poi che il conto finisca in mano ai contribuenti.

Per l’Europa sono quattro i punti chiave per una valida exit strategy: raccogliere sempre informazioni verificabili e garantire massima trasparenza; tenere aperti i mercati, perché l’autonomia di per sé non funziona e nessuno ce la fa da solo; garantire una giusta concorrenza; garantire alle industrie la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti tramite strategie a lungo termine.

Attenti alle prossime crisi mondiali di chip

Secondo gli studiosi, in molti pensano che la congiuntura attuale pandemia-lockdown-crisi dei prezzi sia qualcosa che difficilmente si potrà ripetere nei prossimi decenni, ma si tratta di un errore di valutazione.

I cambiamenti climatici, le prossime epidemie, la recessione economica e le minacce alla sicurezza industriale possono anche nei prossimi anni combinarsi assieme per creare una nuova più grande crisi del settore. Motivo per cui nessuno può far fronte da solo a questa minaccia, ma serve collaborazione e lavoro di squadra.

L’industria di produzione di chip e le catene di approvvigionamento, così come esistono attualmente, sono intrinsecamente vulnerabili alle interruzioni, il che rende inevitabile la carenza generalizzata di componenti per le industrie strategiche globali.

Negli ultimi 30 anni si sono già verificate 6 crisi di questo tipo e la frequenza potrebbe aumentare con il tempo.

Cambiare la supply chain

La produzione di chip e le catene di approvvigionamento, così come esistono attualmente, sono intrinsecamente vulnerabili alle interruzioni, il che rende inevitabile la carenza.

L’industria globale, al netto degli interessi divergenti delle singole potenze economico-finanziarie, si sta già impegnando ad aumentare la capacità di produzione complessiva a un livello senza precedenti. Gli investimenti dei tre maggiori attori mondiali supereranno probabilmente i 200 miliardi di dollari dal 2021 al 2023 e potrebbero raggiungere i 400 miliardi di dollari entro il 2025.

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