Finestra sul mondo

Caos Venezuela, Tensione Corea del Nord e Usa, Trump e la questione Russiagate, Regno Unito e Brexit, Crisi Migratoria

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Venezuela, aumenta il pressing sulla procuratrice “ribelle”: pronta una vice sanzionata dagli Usa

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Entro lunedi’ si sapra’ se la procuratrice generale del Venezuela, Luisa Ortega Diaz, dovra’ essere sottoposta a processo per non aver rispettato i doveri imposti dal suo ruolo. A decidere e’ il Tribunale supremo di giustizia (Tsj), organo che nella stessa giornata di ieri ha nominato Katherine Hurrington come numero due della procura generale, in un atto che Ortega denuncia come preparatorio al suo “licenziamento”. Il conflitto, ormai totale, tra il governo del presidente Nicolas Maduro e la procuratrice generale diventa dunque il centro dell’attenzione nella crisi politica del paese. All’udienza preliminare del Tsj Ortega non era presente, convinta che la decisione di procedere a giudizio “era gia’ stata presa”. E ricordando che i magistrati incaricati del caso sono stati nominati in base a un procedimento da lei definito “illegale” e per questo oggetto di un’altra causa. “non sono andata al Tsj perche’ non intendo presenziare a un circo che carichera’ la nostra storia di vergogna e dolore”, ha detto la “fiscal” presentando in separata sede le prove della sua non colpevolezza. Pedro Carreno, artefice della denuncia, ha ricordato le “colpe” della procuratrice, censurando tra l’altro le critiche che la “bugiarda”, “manipolatrice” e “bipolare” Ortega aveva mosso alla decisione di Maduro di convocare le elezioni per una nuova Assemblea costituente. Il dibattito a distanza era ulteriormente riscaldato dalla decisione del Tsj di procedere all nomina di Hurrington come vieprocuratrice generale. poche ore prima il Parlamento aveva ratificato la nomina di Rafael Gonzalez, per lo stesso incarico. Ma il governo da tempo non riconosce come validi gli atti del parlamento, oggi controllato dai partiti di opposizione, e ha quindi ignorato la nomina di Gonzalez. La nuova numero due potrebbe prendere il posto di Ortega nel caso questa venga condannata. Ma la stampa non tarda a mettere in rilievo alcune macchie: Harrington e’ stata inclusa nella lista delle persone colpite da sanzioni del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Aveva in carico alcune delle cause piu’ delicate nei confronti di oppositori di prima fila e, rivela la testata “Cronica Uno”, a settembre aveva scritto a Ortega spiegando che l’aver svolto un ruolo nel governo Maduro non le avrebbe permesso di occupare il suo posto. La nomina di Harrington ha ricevuto le critiche anche della International Association of Prosecutors (Iap) che ha “condannato senza riserve le azioni arbitrarie lanciate contro Ortega”.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Asia Orientale, il test nordcoreano e’ una sfida aperta al presidente Usa

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Il test balistico effettuato dal regime nordcoreano nella giornata di ieri, 4 luglio – proprio in concomitanza con il Giorno dell’indipendenza negli Usa – e’ stato recepito dalla stampa statunitense come una plateale sfida rivolta al presidente statunitense, Donald Trump. la dura retorica del presidente Usa, sottolinea il “New York Times”, sinora non ha mutato di un virgola la condotta del regime nordcoreano, che ieri ha festeggiato il lancio di un missile capace, secondo le stime del dipartimento di Stato Usa, di arrivare a colpire obiettivi in Alaska. Il giudizio dei principali quotidiani Usa, pero’, e’ pressoche’ unanime: di fronte alla minaccia del programma balistico nordcoreano, Trump ha a disposizione pochissime opzioni, e tutte rischiose. Lo scorso gennaio, ricorda il “New York Times”, il presidente Usa scrisse sul suo profilo Twitter che il regime “non riuscira’” a dotarsi di missili in grado di colpire il territorio Usa. Cio’ che il nuovo inquilino della Casa Bianca non sapeva era quanto Pyongyang fosse vicina a tale obiettivo, e quanto limitato fosse in realta’ l’ambito d’azione a disposizione del presidente Usa. Il timore di Washington scrive il quotidiano, non e’ tanto che Pyongyang possa lanciare un attacco missilistico preventivo contro gli usa: si tratterebbe di una “mossa suicida”, e il dittatore Kim Jong-un, al netto delle sue bizzarrie, “in cinque anni ha dimostrato di essere mosso dal puro istinto di autoconservazione”. Una Corea del Nord armata di missili intercontinentali, pero’, muterebbe profondamente l’approccio di Trump e dei suoi successori alla difesa degli alleati nella regione dell’Asia-Pacifico. Come sottolinea un funzionario dell’intelligence Usa citato dal quotidiano, la minaccia di missili intercontinentali metterebbe sotto enorme pressione l’inaffidabile sistema di difesa statunitense, che negli ultimi anni ha esibito risultati altalenanti nel corso dei test di collaudo. Trump “ha ancora tempo per agire”: a dispetto del giustificato allarme, il lancio balistico di ieri sembra dimostrare che Pyongyang non e’ ancora in grado di colpire la costa occidentale degli Usa, e in particolare citta’ come Seattle e Los Angeles. E’ per questa ragione, forse, che Trump non ha ancora opposto alla Corea del Nord alcuna “linea rossa” invalicabile. Il presidente, comunque, dovra’ operare una scelta difficile tra un approccio teso al “contenimento classico”, che non risolvera’ il problema; un rafforzamento delle sanzioni, accompagnato magari da una maggiore presenza navale Usa nella regione e dall’accelerazione del programma segreto statunitense per il sabotaggio informatico del programma balistico di Pyongyang, che pero’ – a giudicare almeno dal test di ieri – sinora non ha funzionato. In caso di minacce immediate, la Casa Bianca potrebbe infine optare per un attacco militare preventivo. Secondo l’ex segretario della Difesa William J. Perry, che auspico’ una misura simile in un editoriale sulla “Washington Post” nel 2006, le condizioni odierne pero’ tendono a eliminare questa opzione, perche’ nell’arco dell’ultimo decennio la Corea del Nord si e’ dotata di troppi missili di differenti categorie, e un attacco preventivo metterebbe in serio pericolo gli alleati degli Usa nella regione. L’amministrazione Trump ne e’ consapevole: il segretario alla Difesa Jim Mattis ha dichiarato alla Cbs, lo scorso maggio ,che un conflitto con la Corea del Nord “sarebbe probabilmente il peggiore nell’arco della vita di gran parte delle persone”. L’unica via possibile, conclude il “New York Times”, potrebbe davvero essere quella del negoziato, auspicata dal presidente sudcoreano neoeletto, Moon Jae-in.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Usa, il “Russiagate” lega le mani del presidente Trump in vista del faccia a faccia con Putin

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, incontrera’ per la prima volta il suo omologo russo Vladimir Putin venerdi’ prossimo, a margine del summit G20 ad Amburgo. Trump, ricorda la “Washington Post”, ha trascorso l’intera campagna presidenziale dello scorso anno promettendo agli elettori un riavvicinamento alla Russia, e dopo la sua elezione, lo scorso novembre, ha piu’ volte definito “un falso” le interferenze nel processo elettorale statunitense imputate a Mosca dalla comunita’ d’intelligence Usa. Sei mesi di indagini e incessante campagna mediatica ai danni della sua amministrazione, pero’, hanno legato le mani al presidente, nonostante nelle ultime settimane le accuse di “collusione” col Cremlino mosse alla sua amministrazione si siano in gran parte sgonfiate. Trump e’ anzitutto limitato dalla profonda ostilita’ del Congresso federale Usa nei confronti della Russia, sottolinea l’analisi della “Washington Post”: se il presidente tentasse di allentare il regime sanzionatorio imposto a Mosca dopo la crisi ucraina, e rafforzato alla fine dello scorso anno da Barack Obama, il Congresso reagirebbe con misure legislative disegno opposto; inoltre, evitare di rinfacciare con forza a Putin le presunte intromissioni russe nelle elezioni dello scorso anno esporrebbero il presidente a una nuova intensificazione del fuoco di fila mediatico da parte dei suoi detrattori. “Il presidente e’ in gabbia”, afferma Nicholas Burns, gia’ ambasciatore Usa alla Nato durante la presidenza di George W. Bush. “Perche’ fare concessioni a Putin al primo incontro? Cos’ha fatto per meritarle?”, afferma l’ex diplomatico, le cui parole riflettono la generale attitudine di Washington nei confronti di Mosca: “Tentare di vincere il favore (del presidente russo, ndr), offrire concessioni, allentare la pressione, lo avvantaggerebbe. Scorgerebbe un vuoto, una debolezza di cui approfittare”. E’ proprio in questi termini che l’apparato governativo statunitense ha accolto le indiscrezioni, circolate nei giorni scorsi, secondo cui Trump potrebbe restituire a determinate condizioni un paio di residenze diplomatiche russe sul suolo usa sequestrate dall’amministrazione Obama lo scorso dicembre. Il pessimismo regna anche tra quanti sostengono lo sforzo di Trump di riallacciare un dialogo con la Russia: “E’ stato straordinariamente difficile per Trump, pur avendone intenzione, fare cio’ che e’ nell’interesse vitale del paese, ovvero migliorare le relazioni con la Russia”, sostiene Jack Matlock, ambasciatore Usa in Russia durante la presidenza Reagan. Secondo Matlock, “trattare i russi da nemici e’ assolutamente assurdo, eppure e’ l’approccio della quasi totalita’ del Congresso”. In un clima domestico cosi’ teso, paragonato dallo stesso presidente al maccartismo dei primi anni cinquanta del Novecento, la Casa Bianca si e’ potuta muovere soltanto con estrema cautela: ad esempio tentando di ammorbidire il provvedimento recentemente approvato a larghissima maggioranza dal Senato, che impone nuove, durissime sanzioni alla Russia e limita l’autorita’ del presidente di intervenire in senso contrario. Il mese scorso, durante una visita in Nuova Zelanda, il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ha ribadito pero’ l’orientamento dell’amministrazione Trump: “Il presidente mi ha chiesto di avviare un processo di riavvicinamento con la Russia, per verificare se sia possibile evitare un ulteriore deterioramento delle relazioni ed individuare aree di mutuo interesse dove costruire, forse, un certo livello di fiducia. (…) Il presidente e’ stato chiaro: ‘Non lasciare che quanto sta accadendo sul piano della politica domestica ti impedisca di fare quanto necessario”. A prescindere dagli sforzi profusi dalla nuova amministrazione – sottolinea la “Washington post” – e’ un dato di fatto che le relazioni tra Usa e Russia non siano minimamente migliorate nei mesi seguiti all’insediamento del presidente Trump. Secondo il noto opinionista David Ignatus, la via maestra per riallacciare il dialogo tra i due paesi resta il dialogo sulla Siria. Ed e’ incoraggiante, in questo senso, che Mosca e Washington paiano aver trovato un’intesa indicativa in merito alla designazione del fiume Eufrate come linea di separazione di fatto tra le forze del regime di Damasco, sostenute dalla Russia, e le milizie dell’Esercito siriano libero, appoggiate dagli Usa. E’ comunque improbabile, per le ragioni gia’ menzionate, che Trump si arrischi a dare segnali di distensione durante l’imminente incontro con il suo omologo russo. riavvicinamento; tanto piu’ che a complicare il quadro strategico internazionale c’e’ il nuovo test di un missile balistico intercontinentale da parte della Corea del Nord, che stando alle ultime indiscrezioni della Casa bianca dominera’ l’agenda della visita europea del presidente.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Regno Unito, una nota del ministro della Sanita’ rivela “accidentalmente” che “la Brexit dura significa persone in fuga”

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Il segretario alla Sanita’ del Regno Unito, Jeremy Hunt, riferisce il quotidiano britannico “The Independent”, e’ stato fotografato all’ingresso di Downing Street mentre si recava al consiglio dei ministri con delle carte in mano, sulle quali era visibile, tra l’altro, la seguente frase: “Brexit dura significa persone in fuga dal Regno Unito”. La nota si riferiva a un confronto col ministero dell’Interno sulla forza lavoro necessaria al servizio sanitario nazionale in vista dei cambiamenti delle norme sull’immigrazione legati all’uscita dall’Unione Europea, ed era corredata da alcuni dati. Nel sistema sanitario pubblico lavorano 10.700 medici comunitari (2.200 dei quali giunti nei dodici mesi finiti a marzo), pari al nove per cento del totale, e 62 mila infermieri (quattromila dei quali giunti nei dodici mesi finiti a marzo), pari al 19 per cento. Piu’ tardi Hunt e’ intervenuto alla Camera dei Comuni per rispondere alle interrogazioni parlamentari e ha parlato di 150 mila lavoratori comunitari nella sanita’ pubblica. Poi su Twitter ha precisato che quella frase non riportava pareri di esperti ne’ una sua convinzione sul pericolo di fuga di lavoratori comunitari, ma anticipava possibili domandi dei deputati al riguardo. Jeremy Hunt, inoltre, insieme al segretario alle Imprese, Greg Clark, e’ il firmatario di una lettera pubblicata dal “Financial Times”, sull’impegno del governo a proseguire la collaborazione con l’Ue in materia di regolamentazione dei farmaci, nell’interesse della salute e della sicurezza. I due ministri dichiarano che l’esecutivo si e’ dato tre principi: i pazienti non devono essere svantaggiati; occorre assicurare certezza e stabilita’ a lungo termine; bisogna costruire sulle fondamenta della posizione leader della Gran Bretagna nel campo dell’innovazione medica. Lo stesso giornale pubblica anche una lettera di Keir Starmer e Jonathan Ashworth, rispettivamente segretari ombra del Labour per la Brexit e per la sanita’: i due criticano l’intransigenza del governo, che va contro gli interessi nazionali, concentrando l’attenzione proprio sui settori sanitario e farmaceutico: la perdita della sede dell’Agenzia europea per i medicinali, attualmente a Londra, potrebbe causare gravi danni all’occupazione e avere ripercussioni sui costi dei farmaci.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Regno Unito, tre quarti dei laureati non restituiranno mai i prestiti studenteschi

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Tre quarti dei laureati nelle universita’ del Regno Unito non restituiranno mai i prestiti studenteschi, prevede l’Institute for Fiscal Studies (Ifs). Secondo l’istituto, riferisce il “Financial Times”, su chi si laurea negli atenei britannici gravano i piu’ onerosi debiti di studio del mondo sviluppato; inoltre, i vantaggi delle precedenti riforme delle tasse universitarie, sono stati cancellati dai cambiamenti successivi, che hanno sostituito le borse di studio con i prestiti. I laureati restituiscono i prestiti con interessi del nove per cento dei loro guadagni, al di sopra di una certa soglia, e lungo un periodo trentennale; in molti casi gli interessi maturati sono troppo alti per stare al passo coi rimborsi. L’interesse pagato e’ molto alto, di gran lunga al di sopra dell’inflazione: in media gli studenti che ricevono un credito di 45 mila sterline accumulano un interesse di 5.800 sterline durante gli studi; il giorno della laurea hanno gia’ un debito di 50.800 sterline (contro le 27.900 degli Stati Uniti, per fare un confronto). La ricerca viene pubblicata un momento di dibattito sulle tasse universitarie: l’impegno per la loro abolizione e’ stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del Labour di Jeremy Corbyn, che ha conquistato il voto giovanile. Le tasse universitarie ammontano attualmente a 9.250 sterline all’anno; furono triplicate con la riforma del 2012, del governo conservator-liberaldemocratico guidato da David Cameron. L’aumento dei costi, tuttavia, era stato sostenuto soprattutto dagli studenti piu’ ricchi fino alle modifiche piu’ recenti, che hanno eroso i vantaggi per i meno abbienti. Cio’ significa che oggi gli studenti provenienti da famiglie a basso reddito si indebitano piu’ di quelli ricchi, arrivando a essere debitori di oltre 57 mila sterline. Dal 2012 il congelamento della soglia di restituzione in contanti ha ridotto i costi a carico dei contribuenti a lungo termine, ma ha aumentato i rimborsi di quasi un terzo nella fascia dei laureati che guadagnano meno. Secondo lo studio le universita’ stanno finanziariamente meglio rispetto a prima del 2012, ma non sono stati incentivati i corsi ad alto costo, come quelli nelle materie scientifiche.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Germania, nuove tensioni con la Turchia alla vigilia del vertice G20di Amburgo

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Lo spionaggio turco in Germania si e’ fatto piu’ serrato in vista del vertice del G20 di Amburgo. Stando a fonti della “Sueddeutsche Zeitung”, della “Ndr” e della “Wdr”, Ankara ha ordinato ai propri agenti di stanza all’estero di monitorare soprattutto i militari turchi rifugiatisi all’estero dopo il colpo di Stato fallito dello scorso anno. L’ordine sarebbe partito il 9 giugno. Tra le altre cose, Ankara vuole sapere dove vivono, se abbiano presentato domanda di asilo e se siano in contatto con i governi occidentali o li supportino. Gli ordini di spionaggio sono rivolti a tutti i militari turchi all’estero e agli ufficiali turchi nelle basi della Nato, in tutto diverse centinaia di individui. La sorveglianza, pero’, si concentrerebbe su quegli ufficiali che hanno chiesto asilo politico dopo il fallito tentativo di golpe in Turchia dello scorso anno. La Procura generale tedesca ha gia’ aperto un’inchiesta nei confronti dell’associazione religiosa turca Ditib e dell’autorita’ religiosa turca Diyanet, sospettate di spiare i seguaci del predicatore Fethullah Guelen accusato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan di essere la mente del fallito colpo di Stato. Gia’ a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera a febbraio si era saputo di elenchi di politici tedeschi di origine turca nel mirino dei servizi di Ankara, una notizia che aveva suscitato le rimostranze del ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizi’ere che cosi’ si era espresso in merito: “Non saranno tollerate attivita’ di spionaggio sul suolo tedesco e saranno severamente punite”. Dopo il tentativo di golpe, in Turchia hanno perso il posto di lavoro 100 mila dipendenti pubblici, tra cui migliaia di militari, e decine di migliaia di persone sono state imprigionate.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Germania, gli estremismi sono un male sempre piu’ diffuso

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – La Germania e’ alle prese con un drastico aumento delle forme di radicalizzazione, secondo il rapporto sulla sicurezza del 2016 presentato dal ministro dell’Interno Thomas de Maizi’ere (Cdu) e dal presidente dell’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione (Bfv), Hans-Georg Maassen. L’attenzione delle autorita’ e’ rivolta anzitutto al fenomeno del salafismo violento, ai cosiddetti “cittadini del Reich”, ormai ritenuti a tutti gli effetti estremisti di estrema destra, e alla militanza estrema di sinistra. Secondo la Protezione della Costituzione, la scena islamista e’ in preoccupante espansione. Il numero di salafiti noti alle autorita’ sul territorio nazionale e’ aumentato da 8.350 nel 2015 agli attuali 10.100, ma il numero dei potenziali estremisti islamici potrebbe essere superiore alle 24 mila unita’ . La mutata situazione della sicurezza in Germania e’ stata in gran parte determinata dagli sviluppi internazionali, sostiene il rapporto: “Decisivi sono la crescente brutalita’ delle guerra in Siria e in Iraq e l’escalation del terrore da parte del cosiddetto Stato islamico, che ha intensificato gli atti terroristici”. In Germania gli individui ritenuti una minaccia concreta per la sicurezza sono 680, un numero senza precedenti. Per quanto riguarda la galassia dei cosiddetti “cittadini del Reich”, il ministro de Maizi’ere sostiene che dei 12.800 simpatizzanti del movimento anarchico-nostalgico, circa 800 siano estremisti di destra. Questi ultimi non riconoscono l’autorita’ della Repubblica federale, e si richiamano al Reich tedesco del 1937. Le autorita’ tedesche puntano l’indice soprattutto contro l’elevatissimo numero di detentori di armi da fuoco tra gli aderenti al movimento. Nel mese di ottobre uno di loro ha sparato e ucciso un poliziotto in Baviera. Lo scorso anno si e’ inoltre rilevato anche un aumento della violenza di estrema destra, i cui reati sono aumentati a 1.600 dai 1.400 che erano stati registrati nel 2015. Il numero delle persone aderenti e’ passato da 300 a ben 12.100. Diminuiscono i reati contro gli stranieri e, al contrario, aumentano quelli contro coloro che sono ritenuti responsabili della decisione di accoglienza dei richiedenti asilo. Diminuiti i reati di estrema sinistra, ma si pensa che aumenteranno in vista del G20 e delle elezioni federali. L’estremismo di sinistra, un fenomeno che pure non gode dello stesso livello di allarme da parte di media e autorita’ tedesche, e’ a sua volta in forte espansione al rapporto governativo, il numero accertato degli estremisti di sinistrai in Germania e’ di circa 8.500 individui, ma potrebbero essere in tutto 28.500, in aumento del sette per cento.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Francia, il governo Philippe in marcia a piccoli passi

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Dopo il solenne discorso del presidente Emmanuel Macron davanti al Parlamento riunito lunedi’ 3 luglio in Congresso a Versailles, ieri martedi’ 4 la tribuna politica in Francia e’ stata occupata dal primo ministro Edouard Philippe, che ha esposto il programma del suo governo all’Assemblea Nazionale: e finalmente dalle enunciazioni di principio si e’ passati ai fatti concreti, commenta il quotidiano conservatore “Le Figaro”. Ma la marcia del nuovo esecutivo avverra’ a piccoli passi: Philippe ha toccato, com’e’ naturale, tutti i settori della vita pubblica, dell’economia e della vita dei cittadini; a fare sensazione pero’ e’ soprattutto l’impegno preso a stabilizzare i conti dello Stato. Il quinquennato del duo Macron-Philippe infatti parte appesantito dalla cattiva gestione da parte del precedente esecutivo socialista, che ha lasciato una pesante eredita’ in materia di finanze pubbliche: e cosi’ ieri il premier ha piu’ volte ribadito che stavolta l’impegno a tenere sotto controllo i conti e le spese statali non sara’ una promessa al vento. L’intenzione dichiarata e’ di ridurre sostanzialmente entro la fine del quinquennato il peso dello Stato sull’economia del paese, che attualmente costa il 50 per cento del Prodotto interno lordo: a questo scopo domani giovedi’ 6 luglio il Consiglio dei ministri varera’ delle misure per riportare il deficit statale, lievitato per le spese elettorali del governo Hollande, al di sotto del 3 per cento del Pil previsto dalle regole europee; inoltre per il 2018 Philippe ha annunciato tagli e risparmi della spesa pubblica per 15-20 miliardi di euro. Il primo ministro comunque non ha annunciato solo tagli: ha ribadito infatti che saranno mantenute le promesse fatte in campagna elettorale in materia di riduzione delle tasse e del carico fiscale per i cittadini e le imprese. Tuttavia ha dovuto ammettere che il cattivo stato delle finanze pubbliche costringera’ il suo governo a scaglionare il calo dell’imposizione fiscale su tutti e cinque gli anni della legislatura: in particolare il premier ha annunciato che sara’ rinviato alla fine del quinquennato, nel 2022, il promesso esonero dalla tassa sulle case per l’80 per cento delle famiglie. Il governo Philippe ha ottenuto una larga fiducia: hanno votato a favore i 370 deputati del partito presidenziale La Re’publique en Marche (Lrem, “La Repubblica in Marcia”; ndr) e del Movimento democratico (MoDem, cattolici centristi); contro si sono espressi i 67 deputati di estrema sinistra della coalizione France insoumise (FI, “Francia non-sottomessa; ndr) e del Partito comunista (Pcf) e dell’estrema destra del Front national (Fn); si sono invece astenuti i 129 deputati del principale partito di destra de I Repubblicani (LR, ex Ump), i repubblicani dissidenti che si sono autodefiniti “Costruttivi” ed i centristi dell’Udi.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Crisi migratoria, Roma convoca l’ambasciatore d’Austria e la Commissione Ue presenta un piano per aiutare l’Italia

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – Il ministero italiano degli Esteri ieri martedi’ 4 luglio ha annunciato di aver convocato l’ambasciatore d’Austria a Roma in seguito alle dichiarazioni del ministro austriaco della Difesa, Hans Peter Doskozil, sul possibile dispiegamento di soldati alla frontiera austro-italiana per bloccare l’afflusso di migranti. Secondo quanto scrive il quotidiano francese “Le Figaro” riprendendo un dispaccio dell’agenzia di stampa “France Presse” (Afp), solo una minima parte delle migliaia di immigrati che ogni giorno sbarcano nella Penisola italiana cercano di raggiungere i paesi del Nord Europa attraverso il confine austriaco del Brennero. Secondo i dati diffusi ieri dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dall’inizio dello scorso mese di gennaio piu’ di 100 mila migranti hanno gia’ attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa: e di questi, 85 mila sono sbarcati sulle coste dell’Italia e 9.300 in Grecia. Intanto sempre ieri la Commissione europea ha proposto un “piano d’azione” per sostenere l’Italia alle prese con l’eccezionale crisi migratoria che in particolare prevede nuovi finanziamenti per aiutare le autorita’ italiane e libiche a gestire la situazione. Il piano, presentato al Parlamento europeo a Strasburgo, prevede di “rafforzare ulteriormente le capacita’ delle autorita’ libiche grazie ad un progetto da 46 milioni di euro” di aiuti mirati individuati di comune accordo con il governo di Roma, e di aumentare gli aiuti all’Italia attraverso “un pacchetto supplementare di 35 milioni di euro pronti ad essere mobilitati immediatamente”; il piano sara’ discusso domani giovedi’ 6 luglio a Tallinn, in Estonia, nel corso di una riunione informale dei ministri dell’Interno dei paesi dell’Unione Europea che sara’ largamente consacrata alla situazione nel Mediterraneo Centrale. L’esecutivo europeo chiede il particolare di “sostenere la creazione in Libia di un centro de coordinamento e di soccorso marittimo interamente operativo” e di aiutare il paese nordafricano a rafforzare i controlli alle sue frontiere meridionali: inoltre la Commissione europea ha precisato che “la riserva di reazione rapida del corpo europeo della Guardia di frontiera e della Guardia costiera, composta da piu’ di 500 esperti in materia di rimpatri e’ pronta ad essere dispiegata su richiesta dell’Italia” ed ha ribadito che le autorita’ italiane, come del resto quelle degli altri paesi Ue, devono accelerare i rimpatri dei migranti che non hanno i requisiti per ottenere il diritto di asilo in Europa.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Migrazioni, per la stampa spagnola l’Italia e’ sola

05 lug 11:26 – (Agenzia Nova) – L’Italia chiede aiuto, l’Unione europea risponde senza convincere, l’Austria blinda le frontiere. Sul tema migranti, la stampa in lingua spagnola pare concorde nel descrivere un quadro di sostanziale isolamento dell’Italia, aggravato dalle promesse austriache di nuovi mezzi militari al Brennero. “La richiesta di aiuto dell’Italia alla Ue per la crisi migratoria non ha ottenuto l’effetto che il governo di Paolo Gentiloni si augurava”, scrive “El Pais”. La Commissione europea ha risposto “in modo vago” impegnandosi ad elaborare un piano per accelerare la ricollocazione dei rifugiati e un codice di condotta per le organizzazioni non governative che intervengono nelle operazioni di salvataggio. Ma “evitando di menzionare la principale richiesta italiana” sul tema: “che le persone salvate siano sbarcate nei paesi di cui battono bandiera le imbarcazioni” delle ong, “in molti casi spagnole e francesi”. “L’Italia si sente isolata e senza il sufficiente appoggio dell’Unione europea”, scrive il quotidiano “Abc” fotografando l’attuale cartina continentale: “al rifiuto di Francia e Spagna di far sbarcare nei loro porti i migranti provenienti dalla Libai, notizia molto evidenziata nelle prime pagine dei giornali piu’ importanti del paese, si e’ aggiunta martedi’ la minaccia dell’Austria di chiudere il valico del Brennero”. L’Austria “ha raddoppiato la pressione in materia di rifugiati”, si legge su “El Mundo”, mentre in Argentina il quotidiano “Clarin” scrive che “nessuno in Europa ha mostrato interesse nell’aiutare l’Italia”, sulla gestione dei flussi migratori. La testata sottolinea che le prese di posizione di Vienna sono prova che l’Austria vede “nell’arrivo dei rifugiati e dei migranti una crisi militare e di sicurezza piu’ che una crisi umanitaria” e che il discorso ben si intona al clima di campagna elettorale che vive il paese alpino. A completare il quadro, ci sono le parole di Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nel Mediterraneo: “non e’ possibile che tutti quanti sbarchino in Italia”, ha detto Cochetel, intervistato da “El Pais”. “Occorre condividere le responsabilita’, non solo dal punto di vista europea, ma anche mediterraneo, con meccanismi innovativi che permettano di separare la responsabilita’ di portarli a riva da quella di trovare per loro una soluzione”, ha spiegato il funzionario in una intervista che affronta anche altri aspetti della crisi migratoria, dai “modesti” risultati dell’operazione Sophia alla mancanza di una lotta coordinata contro le mafie del traffico di esseri umani, alla necessita’ di impedire che i paesi Ue vendano alla Libia i motori delle barche della morte.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata