Per oltre vent’anni la ricerca su internet è stata sinonimo di Google. Scrivevamo una parola chiave, scorrevamo una lista di link, cliccavamo sul sito che sembrava più promettente. Quel meccanismo, che ha dato forma a un intero ecosistema fatto di SEO, pubblicità digitale e modelli di business editoriali, oggi vacilla.
L’arrivo di ChatGPT e dei sistemi di intelligenza artificiale generativa ha inaugurato un modo diverso di cercare: non più una lista di risultati, ma una risposta immediata, in forma conversazionale. È un cambiamento silenzioso, ma con conseguenze dirompenti per chi pubblica contenuti online.
Secondo una recente analisi di Statista, negli Stati Uniti gli utenti che usano l’AI come primo strumento di ricerca potrebbero passare da circa 13 milioni nel 2024 a oltre 90 milioni entro il 2027. Questo spiega perché termini come zero-click search stiano diventando di uso comune: sempre più utenti ottengono ciò che cercano direttamente nella finestra dell’assistente, senza alcuna necessità di aprire un sito.
Sempre meno persone cliccano sui siti a causa dell’AI
Il fenomeno è documentato da numeri concreti. Una ricerca del Pew Research Center (luglio 2025) mostra che quando compare un AI Overview, il tasso di clic sui link si dimezza: dal 15% all’8%, e solo l’1% degli utenti clicca su un link dentro il riepilogo AI. Un’analisi di Ahrefs conferma che il primo risultato organico perde in media il 34,5% dei clic quando la query è accompagnata da un Overview. Secondo l’associazione Digital Content Next, nei primi mesi del 2025 gli editori hanno registrato un calo medio del 10% nel traffico referral da Google, con punte del 25% su alcune testate.
The Verge ha documentato come l’introduzione di AI Overview da parte di Google, il riquadro che sintetizza automaticamente le risposte in cima alla pagina dei risultati, stia riducendo sensibilmente i click verso i siti, in particolare per ricerche informative e tutorial. Gli editori statunitensi parlano già di un crollo del traffico organico, e i dati riportati dal Wall Street Journal mostrano come il New York Times abbia visto calare la quota di visite da ricerca organica dal 44% al 36,5% tra il 2022 e l’aprile 2025.
Google AI Overview, la funzione che divide
AI Overview è la grande scommessa di Google nata per non farsi scavalcare dall’ondata ChatGPT. In pratica è un riquadro generato dall’intelligenza artificiale che compare in cima ai risultati di ricerca e che prova a rispondere subito alla domanda dell’utente, senza bisogno di cliccare sui tradizionali “link blu”. È il tentativo di Mountain View di non perdere centralità nel momento in cui le persone si abituano a chiedere tutto direttamente a un chatbot.

L’algoritmo funziona come un collage: prende pezzi di contenuti sparsi sul Web, li ricompone e li mostra sotto forma di riepilogo. Un po’ come fa Wikipedia, con la differenza che qui l’utente non deve aprire nulla. È proprio questo il punto che manda su tutte le furie gli editori. Da un lato i loro contenuti vengono usati per alimentare la risposta; dall’altro il traffico si ferma al box AI e non arriva più al sito che ha prodotto l’informazione. In sostanza: sfruttati sì, ma senza ritorno.
La pigrizia fisiologica degli utenti amplifica il problema: se la risposta è già lì, pochi scorrono in basso per cliccare. Lo ha fatto notare anche il Wall Street Journal, che ha sottolineato come testate di riferimento stiano registrando cali di traffico organico attribuiti proprio a questi nuovi meccanismi.

I grandi editori trattano con le big tech, quelli piccoli fanno causa
Se le grandi testate cercano di trattare direttamente con le big tech, vendendo l’accesso ai propri archivi in licenza per l’addestramento dei modelli, gli editori più piccoli hanno scelto la strada legale. L’Independent Publishers Alliance, con il sostegno di Foxglove Legal Community Interest Company e del Movement for an Open Web, ha denunciato Google alla Commissione Europea per abuso di posizione dominante. Secondo loro, AI Overview obbliga di fatto gli editori a cedere i propri contenuti: se non autorizzi l’uso, rischi di scomparire del tutto dai risultati di ricerca; se invece acconsenti, sei comunque penalizzato perché il lettore si ferma al riassunto AI.
Il contenzioso non si ferma all’Europa. Azioni simili sono partite nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove si moltiplicano le cause legali contro Google e contro le società che sviluppano chatbot generativi. Il sospetto è sempre lo stesso: sfruttare gratuitamente il lavoro giornalistico altrui per costruire prodotti che rischiano di sostituirlo.
Sul tema sono intervenute anche le principali associazioni editoriali. In Europa, ENPA (European Newspaper Publishers’ Association) e News Media Europe hanno avvertito che l’uso dell’AI nell’ecosistema informativo deve essere regolato con maggiore trasparenza e con un giusto compenso per i titolari dei diritti, richiamando l’applicazione dell’AI Act e dei codici di condotta.
La difesa di Google
Google, dal canto suo, difende la bontà della nuova funzione. Secondo l’azienda, AI Overview non riduce le opportunità per gli editori ma le amplia, perché stimola nuove domande e apre nuove strade di scoperta. “Le nuove esperienze di intelligenza artificiale nella ricerca – ha dichiarato un portavoce – consentono alle persone di porre ancora più domande, creando nuove opportunità per scoprire contenuti e aziende”. Mountain View sostiene inoltre che le oscillazioni del traffico web dipendono da molti fattori: la stagionalità, i cambi di interesse degli utenti, i regolari aggiornamenti dell’algoritmo di ricerca. Insomma, non tutta la colpa sarebbe di AI Overview.
Il parere dell’esperto
“L’introduzione di risultati frutto di una elaborazione generativa delle informazioni non pone solamente un rischio ai modelli di business basati sul traffico web, ma ha ricadute reputazionali per le aziende”, spiega a Key4biz Andrea Boscaro, Founder & Partner di The Vortex. “Il margine di errore di cui occorre sempre tenere conto quando si adottano i modelli linguistici produce infatti la possibilità che le informazioni aziendali pubblicate sui siti siano riprodotte in modo differente, non fedele alle intenzioni, non aggiornato. Possibilità tanto più grave quando più gli utenti si abituano, anziché fare una ricerca, ad accontentarsi di una risposta. Quella comodamente confezionata dall’AI”, conclude Boscaro.
Dal clickbait al trustbait
In questo nuovo scenario, i vecchi strumenti perdono valore. Il clickbait, che per anni ha garantito traffico con titoli sensazionalistici e promesse esagerate, viene ignorato dagli algoritmi generativi. Ciò che conta è la sostanza: contenuti affidabili, chiari, con dati verificabili. È quello che alcuni iniziano a chiamare trustbait: non più attrarre click a tutti i costi, ma costruire fiducia.
Lo sottolinea anche l’Osservatorio Artificial Intelligence del PoliMi, che ha rilevato come le aziende italiane stiano già rivedendo le proprie strategie di acquisizione: non basta più la SEO tradizionale, occorre rendere i contenuti leggibili e utilizzabili dai modelli generativi. È qui che entra in gioco la Answer Engine Optimization (AEO): testi chiari, strutturati, con dati verificabili, pensati per diventare direttamente parte della risposta fornita da un assistente AI. In altre parole, non basta più essere “primi su Google”: serve essere integrati nella risposta che l’utente legge senza cliccare.
La sfida dell’AEO
Se la SEO ha guidato vent’anni di visibilità online, l’obiettivo dell’AEO non è più scalare la SERP (Search Engine Results Page), ma diventare la risposta.
Tradotto in pratica significa:
- strutturare testi che rispondano direttamente alle domande frequenti,
- usare titoli, sottotitoli e FAQ per favorire l’estrazione automatica,
- inserire dati, grafici e fonti verificabili,
- curare la formattazione (elenchi, schemi, tabelle) in modo che siano leggibili anche per un modello linguistico.
Chi saprà adattarsi a questa logica potrà mantenere visibilità anche in un contesto in cui l’utente non clicca più sui link, ma si ferma alla risposta AI.
L’AI cambierà per sempre l’informazione generalista
Le ricerche locali, gli eventi in tempo reale, i contenuti multimediali manterranno ancora una dimensione “cliccabile”. Ma per l’informazione generalista, le guide, i contenuti di servizio, il futuro è già arrivato: la ricerca online è diventata un dialogo con un assistente, non più un elenco di link, una trasformazione che mette in gioco non solo il destino di singole testate o portali, ma il pluralismo stesso dell’informazione.