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Bufera Trump e media, Pinera (Cile) si prepara per la presidenza, La Catalogna getta le basi per la costituzione, Questione migranti in Italia

finestra sul mondo

Usa, sempre piu’ incandescente la rissa tra il presidente Trump e i media

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – Il rapporto gia’ burrascoso tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e la maggior parte dei principali media commerciali del paese, e’ divenuto se possibile ancor piu’ incandescente nell’arco dell’ultima settimana. La Cnn, che dallo scorso anno si e’ distinta per una posizione particolarmente dura nei confronti di Trump, e si e’ affermata come uno dei principali megafoni delle accuse sull’ipotetica “collusione” tra il presidente e il governo russo, negli ultimi giorni ha dovuto ritrattare alcune indiscrezioni sui presunti affari opachi con la Russia di un amico di Trump, Anthony Scaramucci. La Cnn e’ stata anche bersaglio di una serie di conversazioni carpite da un sito di area conservatrice, in cui due volti di primo piano dell’emittente ammettono che la storia della presunta collusione tra la Casa Bianca e la Russia e’ sostanzialmente infondata, ma continua a dominare i palinsesti della rete perche’ giova in termini di ascolti. Trump ha replicato a questi sviluppi rilanciando le sue grossolane provocazioni ai media della “falsa informazione” su Twitter. Dopo aver replicato agli insulti di due giornalisti della rete con toni altrettanto sguaiati – “sessisti”, secondo i media – ieri il presidente ha rilanciato su Twitter il filmato di una sua comparsata ad un incontro di wrestling nel 2011; il video, in cui Trump finge di malmenare Vince McMahon, magnate del wrestling e suo amico personale, e’ stato modificato sovrapponendo al volto di quest’ultimo il logo della Cnn. Ne risulta uno spezzone di 28 secondi in cui l’attuale inquilino della Casa Bianca sembra “prendere a pugni” la rete televisiva; il rilancio della clip da parte del presidente, che evidentemente deve averla trovata esilarante, ha scatenato un coro sdegnato da parte dei media e della politica Usa, che da ieri lo accusano di istigare alla violenza contro i giornalisti e di sopprimere la liberta’ di informazione. I sostenitori del presidente replicano accusando i media di ipocrisia, affermando che il video e’ un innocuo “meme” che circola da alcuni giorni in rete, e ricordando l’entusiastico sostegno di quotidiani come il “New York Times” a eventi come un’opera teatrale a Manhattan in cui un sosia del presidente viene accoltellato a morte. Resta comunque il dubbio, anche da parte di molti Repubblicani, riguardo l’opportunita’ per la massima carica istituzionale Usa di intraprendere vere e proprie risse mediatiche con quotidiani e reti televisive, che il presidente sostiene siano la “vera opposizione” al suo governo.

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Cile, Pinera stravince le primarie a destra e prepara il ritorno alla presidenza

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – L’ex presidente cileno Sebastian Pinera ha vinto con ampio margine le primarie del centrodestra e si mette alla testa della nuova corsa per la guida del paese. Imprenditore oltre che politico, Pinera ha ottenuto il 58 per cento dei consensi degli elettori di Vamos Chile, contro il 26 per cento ottenuto da Manuel Jose’ Ossando’n, secondo classificato nella lizza tenuta tra i sostenitori della coalizione conservatrice “Chile Vamos”. L’alta partecipazione al voto – 1 milione e quattrocentomila elettori in un paese che alle amministrative dello scorso anno contava il 65 per cento di astenuti – da’ forza alle speranze di Pinera di vincere alle elezioni di fine anno. Anche perche’ alla vigilia del voto, la coalizione riteneva che raccogliere un milione di elettori sarebbe stato gia’ un successo. Ma e’ tutto il centrodestra a brindare, visto che alle primarie del 2013 gli elettori che si presentarono alle urne non superarono quota 800 mila. Pinera rischia cosi’ di tornare a guidare il paese dopo il mandato svolto tra il 2010 e il 2014. Oggi, come allora, potrebbe togliere il posto a Michelle Bachelet, la presidente di centrosinistra che tra il 2006 e il 2010 ottenne un formidabile appoggio dai cileni ma la cui popolarita’ e’ oggi ridotta al 18 per cento. Troppo poco rispetto alla media del 25 per cento di favori che i sondaggi attribuiscono in media, da settimane, al leader del centrodestra. A pochi mesi dal voto, la maggioranza di governo – “Nueva mayoria” – arriva divisa e probabilmente schierera’ due candidati ai nastri di partenza: l’indipendente Alejandro Guillier, sostenuto dai progressisti, e la democristiana Carolina Goic. Terzo incomodo il “Frente Amplio”, giovane coalizione di sinistra che punta a scardinare il tradizionale bipolarismo. La candidata sara’ la giornalista Beatriz Sanchez, lanciata da un voto cui hanno partecipato circa 327 mila elettori. Non pochi se si pensa che la coalizione e’ stata fondata solo a gennaio, pochi se si misurano non solo con quelli raccolti dal centrodestra ma anche con i due milioni e rotti che si recarono alle urne nel 2013 per permettere a Bachelet di sconfiggere il candidato di destra.

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Usa, riforma sanita’: Repubblicani divisi tra ottimismo di facciata e recriminazioni

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha sfruttato lo scorso fine settimana per tentare di promuovere la riforma della sanita’ approntata dalla maggioranza repubblicana al Senato federale Usa. Il provvedimento, rimaneggiato partendo da un disegno di legge simile approvato dalla Camera dei rappresentati, recepisce una serie di critiche mosse da Democratici e Conservatori, ma come prevedibile non ha soddisfatto i detrattori, che da un lato accusano i Repubblicani di voler privare milioni di cittadini dell’assistenza sanitaria; e dall’altro, chiedono tagli alla spesa piu’ consistenti e maggiore autonomia per i singoli Stati federati. Fonti della Casa Bianca citate dalla “Washington Post” avrebbero espresso ottimismo riguardo alla possibilita’ del provvedimento di ottenere l’approvazione del Senato, nonostante tre membri della risicata maggioranza repubblicana abbiano espresso nei giorni scorsi l’intenzione di bocciare il progetto di riforma. Stando al settimanale “Time”, pero’, l’amministrazione presidenziale sarebbe decisa se necessario a intraprendere la via dell’abrogazione dell’Affordable Care Act, attualmente in vigore, tornando al sistema preesistente, senza approvare immediatamente un sistema sanitario.alternativo. Il presidente Trump e’ stato in primo piano nei negoziati per far approvare il provvedimento della Camera e per serrare i ranghi della maggioranza Repubblicana al Senato, ma stando alla “Washington Post”, proprio la maggioranza lo accusa di non essersi speso abbastanza per promuovere di fronte all’opinione pubblica i meriti delle alternative approntate dai conservatori. Sempre sulla “Washington Post”, l’opinionista Fred Hiatt muove al presidente una critica per certi versi analoga, ma di carattere piu’ generale. Secondo Hiatt, Trump ha “sprecato” l’occasione concessagli dal suo profilo “anti-establishment” per promuovere riforme “che sono nell’interesse nazionale, ma si sono impantanate a Washington”. Tra queste riforme, l’opinionista cita l’adozione di una carbon-tax per finanziare il rinnovo delle infrastrutture nazionali, una riforma generale delle norme sull’immigrazione, e la revisione del Codice fiscale.

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Spagna, la Catalogna getta le basi per la futura Costituzione

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – Il governo della Catalogna, la regione spagnola che fa capo a Barcellona, getta le basi per la Costituzione che dovra’ reggere le sorti della Repubblica che intende far nascere di qui a pochi mesi. Si trattera’, scrive il quotidiano “El Pais” citando una nuova bozza della Legge transitoria elaborata dalla “Generalitat”, di un processo partecipativo di base cittadina”, un dibattito di sei mesi condotto da cittadini e associazioni che portera’ ad un testo da sottoporre a ratifica popolare. Ricevuto il via libera per referendum, ragionano a Barcellona, si procedera’ a nuove elezioni per eleggere il primo parlamento della Repubblica catalana. Continua a mancare un dettaglio fondamentale: il processo si dovrebbe aprire una volta registrata la vittoria dei “si'” all’indipendenza nel referendum indetto per il 1 ottobre. Ma la consultazione popolare non e’ prevista dalla Costituzione, quella spagnola, e il governo di Madrid non ha nessuna intenzione di farla celebrare. Domani la giunta catalana dovrebbe presentare la legge che disciplina procedure di voto e, soprattutto, fissa una quadro normativo che dovrebbe proteggere un atto che la giustizia costituzionale ha gia’ reso chiaro che non potra’ accettare. La legge, scrive il quotidiano “La Vanguardia” che ne anticipa alcuni estratti, parte con riferimenti alla Convenzione Onu Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 e una risoluzione della Corte internazionale di giustizia del 1999 che riconosce la promozione del diritto alla democrazia. Obiettivo della legge e’ mettere il referendum a un livello giuridico sovraordinato a quello della legge. Quanto alla Costituente che dovrebbe forgiare i principi della futura repubblica, osserva ancora “El Pais”, il modello scelto da Barcellona ripete alcuni dei caratteri “proposto dal decreto presidenziale proposto dal presidente Nicolas Maduro per il Venezuela”. Molti 540 deputati che siederanno a Caracas saranno “telediretti dagli ambiti settoriali e territoriali pro governativi”, sottolinea il quotidiano ricordando che i governanti catalani preferiscono rifarsi al modello di riforme costituzionali varato dall’Islanda all’indomani della crisi bancaria.

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Regno Unito, una delegazione della City a Bruxelles mentre il governo cambia approccio sulla Brexit

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – Secondo fonti del quotidiano britannico “The Guardian”, il governo del Regno Unito ha silenziosamente abbandonato “l’approccio della botte piena e della moglie ubriaca” sulla Brexit, anche se la posizione ufficiale resta quella espressa a gennaio dalla premier, Theresa May, nel discorso di Lancaster House. Stando a queste fonti, l’umore e’ cambiato al dipartimento per l’Uscita dall’Unione Europea, guidato da David Davis, dopo il risultato delle elezioni politiche anticipate dell’8 giugno, nelle quali i conservatori hanno perso la maggioranza assoluta, e sta crescendo l’influenza del Tesoro, guidato da Philip Hammond, intenzionato a dare priorita’ agli interessi economici. Si starebbe delineando una scelta binaria: accettare compromessi politici simili per certi aspetti alle condizioni di appartenenza allo Spazio economico europeo (See) o orientarsi per un accordo commerciale su modello di quello tra Ue e Canada (Ceta). Le opzioni sono limitate a due: ampio accesso al mercato europeo con minore controllo di sovranita’ o viceversa. L’opzione dello Spazio economico europeo e’ “politicamente tossica” per i conservatori, tuttavia sembra che a Whitehall si stia facendo strada l’idea che una futura unione doganale con l’Ue, diversa da quella attuale, potrebbe essere compatibile con la liberta’ di concludere accordi con terze parti. Secondo “The Telegraph”, Downing Street avrebbe rivelato a leader d’impresa che la premier May potrebbe lasciare i negoziati a settembre, per scopi di politica interna, per dimostrare di essere pronta a giocare duro sul tema del conto del divorzio, che potrebbe arrivare a cento miliardi di euro. L’indiscrezione e’ di un ex funzionario di alto rango, ma un’altra fonte nega un piano del genere. “Financial Times”, infine, rivela che una delegazione della City di Londra portera’ a Bruxelles questa settimana un progetto segreto per un accordo post Brexit di libero scambio dei servizi finanziari. L’iniziativa, guidata da Mark Hoban, ex sottosegretario per il Lavoro e la previdenza, e’ indipendente dal governo, anche se gode del sostegno di alcune figure di alto livello a Whitehall. La stessa delegazione ha ricevuto un cauto sostegno durante una recente visita a Berlino e spera di convincere altri paesi, come la Spagna e la Germania, e di influenzare la Commissione europea. Il piano si basa sul principio del “reciproco accesso” ai mercati della Gran Bretagna e degli altri 27 paesi membri. Guardian; https://www.theguardian.com/politics/2017/jul/02/british-officials-drop-cake-and-eat-it-approach-to-brexit-negotiations

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Regno Unito, tensioni tra i conservatori su chi paghera’ per l’aumento degli stipendi pubblici

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – Continua lo scontro all’interno del governo conservatore del Regno Unito sulle politiche di austerita’, in evidenza sul quotidiano britannico “The Times”: il cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, responsabile del bilancio, e’ incalzato dagli altri ministri affinche’ individui piu’ risorse, per la scuola, gli ospedali, la sanita’, la Scozia, l’Irlanda del Nord. D’altra parte, l’ipotesi di alzare le tasse provoca nervosismo tra i Tory. Il segretario all’Ambiente, Michael Gove, in un’intervista televisiva all’emittente pubblica Bbc, si e’ detto favorevole all’aumento degli stipendi per i lavoratori pubblici, ma senza aggravi fiscali. Anche il segretario agli Esteri, Boris Johnson, si e’ espresso a favore della rimozione del limite all’adeguamento salariale degli statali purche’ non cresca la pressione fiscale. La segretaria all’Istruzione, Justine Greening, chiede la rinuncia al piano di tagli dei finanziamenti per alunno, equivalente a circa 1,2 miliardi di sterline. Hammond per ora ha risposto ribadendo la sua contrarieta’ a un ulteriore indebitamento: il paese ha gia’ un debito di 1.700 miliardi di sterline e paga interessi per 50 miliardi all’anno; indebitarsi ancora lo renderebbe piu’ vulnerabile a eventuali shock e scaricherebbe oneri sulle spalle delle future generazioni, ha spiegato il ministro. Downing Street ha escluso un ripensamento sulle tasse universitarie, dopo un’apertura a un “dibattito” sull’argomento da parte di Damian Green, primo segretario di Stato. Il sottosegretario all’Istruzione, Jo Johnson, ha difeso quelle tasse argomentando che abolirle sarebbe a vantaggio degli studenti piu’ ricchi.

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Iran, la francese Total e’ la prima compagnia petrolifera occidentale a firmare un contratto

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – Il presidente di Total, Patrick Pouyanne’, oggi lunedi’ 3 luglio firmera’ a Teheran un accordo da 4,8 miliardi di dollari (4,2 miliardi di euro; ndr) per sviluppare un importante giacimento di gas naturale: la notizia apre la prima pagina del quotidiano economico “La Tribune” in cui si sottolinea come, con questo storico contratto ottenuto alla testa di un consorzio internazionale, il gruppo francese diventi la prima compagnia petrolifera occidentale a tornare in Iran dopo la fine delle sanzioni. La firma dell’accordo e’ stata annunciata da un comunicato del ministro iraniano del Petorlio, Bijan Namdar Zanganeh; da parte sua Total in un comunicato ha spiegato che il gas prodotto “alimentera’ il mercato domestico iraniano a partire dal 2021”. Il consorzio che ha vinto l’appalto per lo sviluppo del lotto 11 del giacimento gassifero Pars-Sud e’ costituito al 50,1 per cento da Total, al 30 per cento dal gruppo China National Petroleum Corporation (Cnpci) e per il restante 19,9 per cento dalla societa’ statale iraniane Petropars. La firma e’ arrivata nonostante l’opposizione della nuova amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ostile all’accordo nucleare tra l’Iran e le grandi potenze (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) concluso nel 2015 durante la presidenza del suo predecessore Barack Obama. Benche’ gran parte delle sanzioni internazionali contro la Repubblica Islamica siano state levate sin dal gennaio 2016, la posizione ostile di Trump ha reso difficile la normalizzazione delle relazioni economiche tra l’Iran ed il resto del mondo. In effetti alla meta’ dello scorso mese di giugno il Senato Usa ha votato a schiacciante maggioranza una legge che impone nuove sanzioni all’Iran, a causa del suo “sostegno al terrorismo internazionale”; la legge deve ancora essere esaminata dalla Camera dei Rappresentanti e solo successivamente potra’ essere firmata dal presidente Trump: ma cio’ e’ bastato per rendere le grandi banche internazionali assai reticenti a concedere prestiti e finanziamenti alle societa’ che lavorano con Teheran, temendo che poi Washington gliene faccia pagare lo scotto. L’Iran dispone delle seconde riserve di gas dopo la Russia e delle quarte riserve petrolifere mondiali: ma l’industria iraniana degli idrocarburi ha bisogno di enormi investimenti stranieri per essere ammodernata e sviluppata. La Repubblica Islamica spera dunque che l’effettivo arrivo di Total possa incoraggiare altre compagnie occidentali ed asiatiche a seguirne l’esempio: negli ultimi mesi Teheran ha firmato numerosi protocolli di accordo con societa’ europee, asiatiche e russe, che pero’ finora sono rimasti allo stadio di dichiarazioni d’intenti. Da parte sua Total, che con il contratto Pars-Sud e’ diventato il terzo grande gruppo francese a tornare in Iran dopo i costruttori automobilistici Psa e Renault, spera di essersi cosi’ aperta la strada ad altre “opportunita’” nei settori petrolifero, gassifero e petrolchimico iraniani.

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Germania, nuove minacce di morte e intimidazioni per la fondatrice della moschea liberale di Berlino

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – L’avvocato Seyran Ates ha inaugurato la moschea liberale Ibn Rushd Goethe lo scorso giugno a Berlino. Come previsto, cio’ non ha portato solo consensi, ma anche dure critiche, e oltre un centinaio di minacce di morte. “Sui social media ho ricevuto cosi’ tante minacce di morte dopo la fondazione della moschea, che la polizia criminale e’ giunta a valutare la necessita’ di proteggermi tutto il giorno”, ha dichiarato la Ates alla “Welt am Sonntag”. La moschea e’ aperta a tutti i sunniti, sciiti e seguaci di altre fedi islamiche. Le donne non hanno l’obbligo di indossare il velo durante la preghiera e possono esserne alla conduzione. La Ates gia’ nel 1984 fu vittima di un attentato, in seguito al quale riporto’ gravi ferite. I media turchi, in prima fila tra i detrattori dell’avvocato, sostengono che la moschea sia un progetto controllato dalla rete del predicatore Fatullah Guelen; un’accusa che Ates ha definito “semplicemente assurda”. Le minacce e le intimidazioni, pero’, sono servite a spaventare i potenziali frequentatori del nuovo luogo di culto. Anche il leader dei Verdi Cem Oezdemir, che aveva elogiato l’iniziativa, e’ sotto protezione per le minacce ricevute da parte di sostenitori del regime del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

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Germania, i rimpatri verso i paesi africani restano difficili

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – La Germania ha lavorato intensamente, nei mesi scorsi, per rafforzare la cooperazione con i Paesi del Maghreb e agevolare il rimpatrio dei migranti provenienti ad quei paesi. In particolare il ministro dell’Interno, Thomas de Maizi’ere, ha lavorato con Marocco, Tunisia e Algeria, ottenendo risultati incoraggianti, specie per quanto riguarda la produzione dei documenti di identita’ di richiedenti asilo che sostengono di averli perduti. Il Marocco ha buon archivio dati delle impronte digitali che e’ stato messo a disposizione per la collaborazione con la Germania e la polizia federale. Il Nord Reno-Vestfalia, in particolare, ha un elevato numero di richiedenti asilo marocchini che delinquono. Rabat per il momento rifiuta di ricevere voli charter speciali per il rimpatrio forzato dei suoi cittadini che delinquono in Germania, e impone che quei soggetti vengano invece rimpatriati massimo 5 per volta su normali aerei di linea. Ogni settimana decollano dalla Germania 16 voli diretti per Casablanca e 6 per Marrakech: cio’ significa – sottolinea la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” – che ad oggi le autorita’ tedesche possono rimpatriare un massimo di 110 posti a settimana, sempre che alcuni dei migranti respinti non causi problemi durante l’imbarco e prima del decollo. In questo caso il pilota potrebbe decidere di far scendere il passeggero, causando un ulteriore ritardo del rimpatrio, e potenzialmente annullare l’intero iter di espulsione, che si basa su documenti rilasciati dalle autorita’ marocchine e validi per soli tre mesi. La Sassonia e’ invece il land tedesco che conta il maggior numero di immigrati irregolari tunisini, e 19 tra questi, colpevoli di diverse tipologie di reato, sono stati rimpatriati lo scorso mercoledi’. Nel caso dell’Algeria, i rimpatri possono avvenire ad oggi a gruppi di non oltre 25 persone. In Algeria le autorita’ tedesche su scontrano con problemi ancora maggiori, in quanto che le procedure e gli elementi utili all’identificazione dei richiedenti asilo sono ancora insufficienti. La Germania, scrive la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, dovrebbe insistere maggiormente affinche’ gli Stati del Maghreb accettino il passaporto sostitutivo internazionale rilasciato dalla Ue, o in alternativa emettano documenti di viaggio senza data di scadenza. Durante lo scorso anno le autorita’ tedesche hanno rimpatriato 113 marocchini, 102 tunisini e 189 algerini. Solo sei lander dispongono delle strutture necessarie alla custodia coatta dei rimpatriati prima del viaggio di ritorno in Africa: fra questi il Nord Reno-Vestfalia, la Sassonia e il Brandeburgo; la maggior parte degli altri Stati tedeschi ha problemi anche solo a trattenere gli immigrati che delinquono, anche a causa degli elevatissimi costi legati alle procedure di espulsione.

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Davanti all’afflusso dei migranti, l’Italia minaccia di chiudere i suoi porti

03 lug 10:57 – (Agenzia Nova) – L’Italia ne ha abbastanza di attendere inutilmente che il fardello dell’immigrazione sia condiviso: cosi’ inizia l’articolo che oggi lunedi’ 3 luglio apre la prima pagina del quotidiano francese “Le Figaro; secondo cui ora tocca a Francia, Spagna ed anche alla Germania tentare di calmare la rabbia di italiana. Roma infatti ha lanciato un clamoroso avvertimento: potrebbe vietare l’accesso ai suoi porti ad una parte degli immigrati irregolari, obbligando cosi’ i suoi vicini mediterranei ad accoglierli direttamente per la prima volta. La minaccia, profferita in via del tutto informale, e’ stata smentita dal governo Gentiloni ma e’ bastata a scatenare un braccio di ferro diplomatico: che e’ gia’ iniziato ieri domenica 2 luglio a Parigi con l’incontro d’emergenza dei ministri dell’Interno francese, tedesco ed italiano. I tre ministri dell’Interno tenteranno poi di trovare, assieme agli altri partner dell’Unione Europea giovedi’ prossimo 6 luglio, una soluzione al dilemma che li ossessione tutti: come aiutare i paesi in prima linea nella crisi migratoria, Italia e Grecia innanzitutto, senza farsi carico dell’accoglienza di almeno una parte dei migranti irregolari? La discussione senza dubbio si prolunghera’ anche al vertice del G20 di venerdi’ 7 luglio ad Amburgo. Il punto centrale e’ che le decine di migliaia di africani che stanno sbarcando sulle coste dell’Italia sono immigrati “economici” e quindi in linea di principio sono destinati ad essere espulsi e rimpatriati, al contrario di quelli che hanno diritto all’asilo come i profughi di guerra siriani; ma Francia e Spagna sono tutt’altro che entusiaste di accoglierli, neppure provvisoriamente. La maggior parte di loro vengono raccolti in mare non lontano dalle coste della Libia da unita’ militari delle due operazioni di soccorso organizzate dall’Ue, “Sophia” e “Triton”; il loro mandato e’ chiaro e Roma non lo contesta: questi migranti quindi continueranno ad essere sbarcati su suolo italiano. Diverso e’ invece il caso delle navi affittate dalle organizzazioni non-governative (Ong) francesi, spagnole o tedesche: sempre piu’ numerose, attualmente raccolgono la meta’ degli immigrati irregolari (o “economici”, ndr) e sono difficili da controllare. Ora la diplomazia italiana sostiene che quelle navi dovrebbero sbarcare i migranti da loro raccolti nei paesi di cui battono bandiera: cioe’ appunto la Francia, la Spagna e persino la Germania. Secondo il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, Italia e Grecia “non possono essere lasciate sole in prima linea” e le preoccupazioni italiane sono legittime; Juncker sta cercando di mobilitare nuovi supporti finanziari e se le cose andassero male si prepara a modificare le regole di sbarco per le navi delle Ong. Francia e Spagna fanno resistenza; ma la scorsa settimana il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto un’apertura: “Non ci si puo’ far carico di tutta la sofferenza del mondo”, ha etto, “ma ciascuno deve prenderne la sua parte”. L’Italia si e’ guadagnata l’ammirazione di tutti accogliendo negli ultimi tre anni mezzo milione di profughi e di immigrati; ma la crisi migratoria e’ diventata il cavallo di battaglia di tutti i movimenti populisti italiani, che soffiano sul fuoco della campagna in vista delle elezioni politiche che si terranno al piu’ tardi nella primavera del 2018. L’ondata populista e di estrema destra nei mesi scorsi e’ stata arginata in Austria, in Olanda ed in Francia; l’Italia pero’ la teme e chiede aiuto ai partner europei per riuscire a farlo anch’essa. Un mancato supporto, conclude il “Figaro”, rischierebbe di rovinare la ritrovata unita’ europea, dividere profondamente l’Ue ed infliggerci uno spettacolo ancora piu’ desolante nel Mediterraneo.

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