Finestra sul mondo

Bufera su Trump, La nuova politica di Macron, Edouard Philippe, Atlantia-Abertis autostrade, Crisi Venezuela, Tensione Germania-Turchia

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Usa, la stampa scatena nuove indiscrezioni contro il presidente Trump, ne chiede la rimozione dall’incarico

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – La tempesta mediatica scatenata contro il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha raggiunto ieri un apice drammatico: dopo le indiscrezioni della “Washington Post”, che ha accusato il presidente di aver compromesso informazioni e fonti d’intelligence riservatissimi mettendone a parte la Russia, ieri il “New York Times” ha sganciato un’altra bomba contro l’amministrazione: Trump, accusa il quotidiano, esercito’ pressioni sull’ex direttore dell’Fbi, James Comey, per ottenere l’interruzione delle indagini sull’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, sospettato di collusione con la Russia. Il quotidiano cita una nota personale dello stesso Comey, il cui licenziamento improvviso da parte di Trump, la scorsa settimana, ha scatenato un putiferio di polemiche. Il documento, che il quotidiano non ha potuto consultare direttamente, ma che gli sarebbe stato letto da una fonte anonima dell’Fbi, sarebbe parte di una serie di resoconti personali che Comey avrebbe stilato dopo le sue conversazioni con il presidente, come forma di “autotutela” in caso di licenziamento, circostanza poi effettivamente concretizzatasi. La nota farebbe riferimento in particolare a una conversazione risalente allo scorso febbraio: in quell’occasione, Trump avrebbe trattenuto Comey nel suo ufficio, esprimendogli la sua fiducia nei confronti di Flynn e chiedendogli di concentrare le indagini dell’Fbi sulla continua fuga illegale di informazioni dai ranghi dell’agenzia investigativa. “(Flynn) e’ un buon uomo. Spero ve ne renderete conto, e deciderete di lasciar perdere”, avrebbe detto Trump. Secondo il “New York Times” e la grande stampa Usa, le parole attribuite al presidente provano che questi avrebbe tentato di ostacolare le indagini dell’Fbi: una teoria opinabile per stessa ammissione della “Washington Post” e del “New York Times”, che trattengono gli entusiasmi dei loro lettori: provare che dietro le parole di Trump si celi un tentativo deliberato di ostruire la giustizia e’ pressoche’ impossibile. Le parole che il presidente avrebbe pronunciato sono aperte all’interpretazione. Quel “Spero lascerete perdere” potrebbe costituire un “fondamento legale” per un’accusa al presidente, sostiene il consulente Barack Cohen, citato dalla “Washington Post”, che pero’ ammette: “D’altro canto, bisogna rendersi conto che l’intento e’ la chiave, e provarlo e’ difficilissimo”. Piu’ netto il parere di Richard Painter, un altro consulente legale interpellato dal “Wall Street Journal”, secondo cui non e’ realistico parlare di ostruzione della giustizia in assenza di una minaccia, implicita o esplicita, allo stesso Comey. “Se tutto quello che (il presidente) ha fatto e’ esprimere il parere e l’auspicio che un’indagine possa concludersi, questo in se’ non costituisce un ostacolo alla giustizia”. Del resto – sottolinea il quotidiano – appena una settimana fa, di fronte alla commissione Intelligence del Senato, il direttore facente funzioni dell’Fbi, Andrew McCabe, ha assicurato che l’amministrazione presidenziale non ha ostacolato o ostruito in alcun modo le indagini sulle presunte intromissioni russe. Secondo un editoriale non firmato della “Washington Post”, comunque, e’ urgente che Comey testimoni di fronte al Congresso. Per “Bloomberg”, Trump “dovrebbe preoccuparsi”, perche’ le indiscrezioni descrivono “un crimine gravissimo”, passabile di impeachment. Una delle principali firme del “New York Times”, Ross Douhat, sdogana infine sulla stampa mainstream una tesi sostenuta nelle scorse settimane da diversi psichiatri, secondo cui il presidente sarebbe psicologicamente inadatto a ricoprire l’incarico di comandante in capo del paese: giungere all’impeachment contro Trump e’ oggettivamente difficile, afferma l’opinionista, ma la “soluzione” potrebbe essere il ricorso al XXV emendamento della Costituzione, che prevede la sostituzione del presidente nel caso questi sia riconosciuto incapace di “esercitare i poteri e i doveri del suo ufficio”.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Usa, “Fox News” avvalora le teorie del complotto sull’hackeraggio del Partito democratico

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Per la comunita’ d’intelligence Usa e i media mainstream statunitensi non c’e’ alcun dubbio: a consegnare a WikiLeaks le migliaia di mail riservate del Partito democratico che hanno gravemente compromesso l’immagine del partito e di Hillary Clinton, contribuendo alla sconfitta di quest’ultima alle elezioni presidenziali dello scorso novembre, e’ stata la Russia di Vladimir Putin. WikiLeaks, pero’, ha sempre sostenuto che le informazioni fossero giunte da “insider” del partito, e dallo scorso anno i media alternativi alimentano teorie del complotto che poggiano sulla morte in circostanze misteriose di alcuni ex membri dello staff del Partito democratico. Ad alimentare queste teorie, in particolare, e’ la morte di Seth Rich, giovane dipendente del comitato nazionale del Partito democratico ucciso il 10 luglio scorso a Washington, in circostanze misteriose. Rich era stato ritrovato senza vita a pochi passi dalla sua abitazione, colpito a morte da due colpi di pistola alla schiena esplosi a bruciapelo; in assenza di testimoni, il caso e’ stato frettolosamente archiviato dalle autorita’ inquirenti come un tentativo di rapina, nonostante tutti gli effetti personali della vittima, portafogli incluso, fossero stati ritrova sul luogo del delitto. A far riesplodere il caso, ieri, e’ stato uno scoop di Fox News rilanciato su Internet, che cita le rivelazioni di un investigatore privato ingaggiato dai genitori della vittima, Rod Wheeler, e una “fonte investigativa federale” anonima: Wheeler afferma di aver ricevuto la conferma, da fonti attendibili, di una perizia dell’Fbi che proverebbe come proprio Rich avesse trasferito 44.053 email e 17.761 allegati a un manager di WikiLeaks, a sua volta deceduto. Quanto alla fonte investigativa anonima, afferma addirittura di aver letto personalmente alcune delle e-mail scambiate tra Rich e WikiLeaks. Se le indiscrezioni fossero fondate, l’intera narrativa relativa all’intromissione della Russia nel processo elettorale Usa crollerebbe. La “Washington Post”, pero’, derubrica l’intera questione a un caso di complottismo e falsa informazione. Il quotidiano cita i genitori del giovane ucciso, che si dicono scettici riguardo le teorie del complotto riguardanti la morte dell’ex dipendente del Partito democratico, e le autorita’ di polizia locali, che dicono di non disporre di alcun elemento che possa mettere in dubbio la ricostruzione ufficiale. Dall’Fbi, invece, e’ giunto un secco “no comment”, e l’invito a girare ogni richiesta di informazioni alla polizia di Washington. Quest’ultima afferma di aver controllato il computer di Rich e la sua attivita’ e-mail, e di non aver riscontrato nulla che possa suscitare dubbi riguardo la ricostruzione del caso. 12 giorni dopo la morte di Rich, nel luglio dello scorso anno, WikiLeaks pubblico’ 20 mila e-mail del partito democratico dai contenuti assai imbarazzanti per la Clinton. il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, ha offerto 20 mila dollari a chiunque possa fornire informazioni sulla morte del giovane.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

L’onda di shock di Macron fa vacillare la destra

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Stanno salendo i toni polemici all’interno della destra francese tra quanti accettato la mano tesa del nuovo presidente Emmanue Macron e quelli che la rifiutano sognando una rivincita alle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giugno prossimo: lo scrive il quotidiano conservatore “Le Figaro”. Dopo un primo momento di sbandamento, e persino di abbattimento, seguito alla nomina a primo ministro di Edouard Philippe, lunedi’ 15 maggio, ieri martedi’ 16 la destra ha tentato di organizzare una sua risposta: l’arrivo a palazzo Matignon del sindaco di Le Havre eletto nelle fila dell’Ump (il principale partito della destra ora ribattezzato I Repubblicani – Lr) era stato accolto con favore da una trentina di deputati ed amministratori locali, che avevano immediatamente pubblicato un appello per raccogliere “la mano tesa dal presidente della Repubblica”; una presa di posizione che e’ andata di traverso a molti Repubblicani, e cosi’ ieri pomeriggio nel corso di una riunione del gruppo parlamentare all’Assemblea Nazionale l’attuale dirigenza del partito, François Baroin e Christian Jacob, ha lanciato il proprio contro-appello. L’obbiettivo e’ di ottenere che tutti i candidati Lr e dell’alleato partito centrista UDI alle elezioni di giugno firmino un impegno a “difendere risolutamente i valori ed il progetto politico della destra e del centro nella campagna elettorale che si apre”: valori e progetto che “evidentemente non coincidono con quelli del neo partito “La Re’publique en marche” (“La Repubblica in marcia”, ndr) del presidente Macron, bollato come “una presa del potere da parte di tecnocrati di sinistra”. In sostanza, come spiega il “Figaro”, si tratta di una vera e propria conta: coloro che non firmeranno si metteranno automaticamente fuori da soli dalla destra de I Repubblicani, e saranno di conseguenza trattati da nemici politici.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Francia, la difficile gestazione del governo di Edouard Philippe

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Costituire un governo e’ per definizione una impresa complessa, accresce le difficolta’ l’essere stati eletti sulla promessa di rifondazione della vita pubblica e non facilita per niente il compito la necessita’ che nessuna nota stonata venga a perturbare un passaggi chiave inedito nella storia della Quinta Repubblica francese: c’e’ tutto questo secondo il quotidiano economico “Les Echos”, e molto altro ancora, dietro al rinvio di 24 ore dell’annuncio del primo governo del nuovo presidente Emmanuel Macron. Dopo il suo insediamento ufficiale domenica scorsa 14 maggio e la nomina lunedi’ 15 del primo ministro Edouard Philippe, Macron ora deve avviare nel migliore dei modi il quo quinquennato e soprattutto avviarsi ad ottenere una sua maggioranza alle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giugno prossimi: deve fare appello a uomini e donne provenienti da diverse ed opposte esperienze politiche, mescolandoli con personalita’ della societa’ civile e rispettando sia una perfetta parita’ tra i sessi che il limite di soli 15 ministri. La presentazione del nuovo governo, prevista per ieri sera martedi’ 16, e’ stata quindi rinviata alle ore 15 di oggi mercoledi’ 17 maggio; e di conseguenza la prima riunione del Consiglio dei ministri a sua volta e’ stata spostata a domani giovedi’ 18. Ufficialmente l’Eliseo ha attribuito il ritardo alla necessita’ di verificare minuziosamente la posizione fiscale dei futuri ministri e la possibile esistenza di conflitti di interesse, una sorta di controllo preventivo nello spirito della legge del 2013 che aveva istituito un’Alta autorita’ per la trasparenza della vita pubblica (Hatvp). Ma e’ chiaro a tutti che il quadro politico francese e’ in ebollizione e che il presidente Macron sta cercando fino all’ultimo di disarticolare la destra accogliendone alcuni esponenti di spicco nel suo esecutivo; pur senza scontentare i compagni di strada che lo hanno accompagnato sin dall’inizio nella sua vittoriosa cavalcata elettorale, ne’ i Socialisti che hanno rischiato l’anatema del loro partito appoggiandolo: e’ una equazione ad incognite multiple quella che il neo presidente deve risolvere; e per chiudere il cerchio non e’ improprio pensare che Macron stia prendendo gia’ in considerazione i nomi dei vice ministri, dei sottosegretari e persino dei capi di gabinetto dei diversi ministeri.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Abertis, il piatto e’ ricco ma per la spesa italiana stavolta serve il “si'” di Madrid

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – L’Italia, restia a cedere i propri asset strategici a Madrid, si lancia nuovamente all’assalto di un segmento chiave dell’economia spagnola. Ma stavolta il governo di Mariano Rajoy dovra’ necessariamente dire la sua. I quotidiani spagnoli dedicano ampio spazio all’offerta pubblica d’acquisto avanzata da Atlantia su Abertis per la creazione del colosso europeo delle autostrade. Gli appetiti degli italiani, scrive “El Mundo”, si concentrano sulla ventina di autostrade con 1.500 chilometri di pedaggi concessi alla compagnia catalana, e che rappresentano il 70 per cento delle vie asfaltate a pagamento dell’intero paese iberico. Il tesoro ai caselli e’ ricco: “le banche di investimento che da meta’ aprile studiano studiano l’operazione assegnano a queste strade un valore superiore a i dieci miliardi di euro”. E il segmento francese del gruppo e’ ancora piu’ promettente avvicinandosi agli undici miliardi. Il successo dell’operazione potrebbe pero’ non essere cosi’ scontato, avverte la testata rilanciando il parere di diversi analisti di mercato. L’offerta di Atlantia sarebbe ancora bassa rispetto al valore d’impresa di Abertis e “gli azionisti potrebbero essere delusi” dalla pratica assenza di incentivi. L’ipotesi e’ che la banca catalana La Caixa, proprietaria attraverso Criteria del 22,3 per cento di Abertis, faccia sentire la sua voce per strappare qualche margine di guadagno in piu’. O che quella di Atlantia sia solo la prima mossa di una partita nella quale potrebbero intervenire altri possibili investitori. Il quotidiano “El Pais” mette l’accento su un altro ostacolo che potrebbe inficiare l’operazione. Abertis e’ socio di maggioranza di Hispasat, l’azienda che grazie ai suoi sette satelliti garantisce contenuti radio e tv a trenta milioni di utenze sui due la ti dell’Atlantico. Un gioiellino da 175 milioni di euro di utili (bilancio 2016) che finirebbe nel portafoglio del gruppo che fa capo alla famiglia di Benetton. Ma non prima pero’ che il governo spagnolo abbia dato il via libera: Madrid ha su Hispasat una golden share del 9,6 per cento, e per un cambio di proprieta’ il suo parere e’ vincolante. D’altro canto, segnala lo stesso quotidiano in un altro articolo, l’Italia e’ abituata a fare acquisti in Spagna ma non a cedere i propri asset a Madrid. “La storia del made in Italy, forse il miglior slogan commerciale mai creato per un paese, non si e’ costruita cedendo posizioni strategiche”, scrive. L’Italia ha fatto spese nell’energia (Enel su Endesa), nella comunicazione, con il gruppo Mediaset e Rcs MediaGroup, e nell’editoria con gli acquisti di Mondadori o Feltrinelli. Male e’ invece andata alla Bbva, quando ha provato a prendersi la Bnl o a Telefonica quando ha bussato alle porte di Telecom: l’Italia non ha permesso che un “settore chiave” come quello delle telecomunicazioni “passasse in mani straniere”. Di fatto, dopo la cessione di sigle come Parmalat, Pirelli, Buitoni, Gucci o Ducati, lo stesso assalto condotto da Vivendi su Mediaset ha schierato l’intero paese a difesa del gruppo di Silvio Berlusconi.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Venezuela, gli Stati Uniti portano la crisi al Consiglio di Sicurezza

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – La crisi del Venezuela sbarca al Consiglio di sicurezza. Il massimo organismo delle Nazioni Unite discute oggi, per la prima volta e a porte chiuse, un dossier che tiene in allarme da settimane buona parte del continente americano. La riunione era stata convocata per discutere innanzitutto della crisi in Somalia, ma – riferiscono i media internazionali – quello del Venezuela e’ stato aggiunto agli “altri temi” in discussione, su richiesta degli Stati Uniti. E sara’ questa la parte che si svolgera’ in modo “informale”, al riparo dalle telecamere. La riunione si celebra all’indomani della proclamazione dello stato di emergenza economica, un decreto che da’ diritto al governo venezuelano di applicare una serie di misure straordinarie per affrontare la mancanza di forniture di generi alimentari e servizi di base alla popolazione. Una mossa che il governo di Nicolas Maduro mette in campo per la settima volta ma che per uno dei leader delle opposizioni, il governatore dello Stato di Miranda Henrique Capriles, e’ stavolta strumento per dispiegare ulteriori misure restrittive delle liberta’ costituzionali. Ragion per cui, e’ l’invito dell’oppositore, sara’ bene non abbandonare la piazza e portare avanti la protesta. L’opposizione chiede un percorso elettorale chiaro, la liberazione dei prigionieri politici e il ripristino dei principali istituti democratici, mentre il governo vede nei cortei una manovra sovversiva che parte del paese vorrebbe condurre con l’aiuto delle potenze straniere. Le manifestazioni nascono come pacifiche, ma i punti di contatto tra le varie fazioni danno spesso la stura a scontri violenti. Le morti registrate sarebbero ormai oltre 40 e ma il ritmo con cui si producono – tre nelle ultime quarantotto ore – e l’intensita’ delle tensioni fa pensare che il conto e’ tutt’altro che chiuso. La crisi, che sara’ anche al centro di un vertice straordinario dell’Organizzazione degli Stati americani, tiene alta anche la temperatura dei rapporti tra Venezuela e Colombia, uno dei paesi piu’ severi nei confronti del presidente Maduro, dopo Argentina e Messico. La ministro degli Esteri Maria Angela Holguin ha detto che l’ambasciatore Ricardo Lozano, per il momento, non rientra a Caracas, sede da cui e’ stato richiamato a marzo in protesta per la decisione del tribunale di giustizia venezuelano di togliere al Parlamento nazionale i poteri legislativi.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

La sentenza della Corte europea di giustizia sull’accordo con Singapore potrebbe agevolare il percorso della Brexit

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – La Corte di giustizia dell’Unione Europea, riferisce il “Financial Times”, ha escluso che l’accordo commerciale tra l’Ue e Singapore richieda il sostegno di tutti i paesi membri, eccetto che per alcune materie circoscritte: una sentenza che potrebbe agevolare il percorso per un’intesa post Brexit col Regno Unito. La Cgue ha stabilito che gli Stati debbano ratificare punti specifici riguardanti gli investimenti, ma che il resto dell’accordo e’ di competenza esclusiva comunitaria. L’Institute of Directors, una delle principali organizzazioni d’impresa britanniche, ha accolto la sentenza con favore, cosi’ come lo studio legale Linklater, per il quale e’ la piu’ significativa da vent’anni sulla politica commerciale europea. L’accordo tra l’Ue e Singapore, non ancora ratificato, risale al 2013 e riguarda investimenti e appalti pubblici, proprieta’ intellettuale, dazi doganali e barriere non tariffarie. In una posizione simile si trova un altro accordo, quello col Vietnam. La sentenza sara’ un precedente per tutti i futuri patti commerciali. Secondo esperti della disciplina, per evitare intoppi gli investimenti dovrebbero essere lasciati fuori da un’intesa tra Ue e Gran Bretagna, anche se la premier di Londra, Theresa May, ha piu’ volte dichiarato di puntare a un accordo onnicomprensivo. Un editoriale non firmato del quotidiano, attribuibile alla direzione, prevede che non necessariamente la sentenza, positiva per il futuro della politica commerciale europea, avra’ un impatto sull’intesa post Brexit perche’ questa dovrebbe essere di portata piu’ ampia rispetto a un accordo di libero scambio.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Germania-Turchia, ancora polemiche per il divieto ai parlamentari tedeschi di visitare Incirlik

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha preso personalmente la parola dopo il divieto opposto dal governo turco alla delegazione parlamentare tedesca che avrebbe dovuto visitare il contingente militare di stanza a Incirlik. Merkel ha criticato con fermezza la condotta della Turchia nel corso di una riunione nella maggioranza parlamentare presso il Bundestag, nel pomeriggio di martedi’. “E’ irragionevole reagire con paura ogni qual volta i parlamentari esprimano l’intenzione di visitare la base. Questo e’ inaccettabile”, ha detto Merkel, citata da fonti del settimanale “Spiegel”. Ankara ha negato il permesso di visitare il contingente tedesco a Incirlick in risposta alla decisione delle autorita’ tedesche di concedere l’asilo politico ad alcuni militari turchi rifugiatisi in Germania, a seguito del colpo di Stato fallito dello scorso luglio, in Turchia, e della successiva repressione delle autorita’ turche. Il primo ministro turco Binali Yildirim ha chiesto alla Germania di scegliere “tra l’amicizia con la Turchia e il sostegno ai traditori”. La Germania, ha accusato il premier turco, non potra’ aspirare a migliorare le relazioni con la Turchia, se continuera’ a dare asilo ai sostenitori del predicatore Fethullah Gulen. Le Forze armate tedesche schierano a Incirlik circa 260 militari, ricognitori Tornado e un aerocisterna in missione di supporto alla coalizione internazionale contro lo Stato islamico. Dopo l’ennesimo scontro diplomatico attorno alla presenza dei militari tedeschi in Turchia, Il Governo federale sta prendendo in considerazione, per la prima volta, il ritiro delle truppe e degli aerei da quel paese. Il contingente tedesco potrebbe essere trasferito alla base aerea Muwaffaq Salti, nella Giordania occidentale. Il ministro della Difesa tedesco Ursula von der Leyen si rechera’ ad Amman il prossimo fine settimana per colloqui politici con il Governo giordano. Il viaggio era stato pianificato gia’ da tempo, e un eventuale trasferimento delle truppe richiederebbe comunque diversi mesi. Giovedi’ prossimo, al vertice dei capi di Stato e di governo della Nato a Bruxelles, Merkel potra’ confrontarsi con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e con quello statunitense, Donald Trump. Il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel (Spd) sollevera’ gia’ la questione questa settimana durante la sua visita prevista a Washington.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Regno Unito, il Labour presenta un programma radicale con aumenti delle tasse per 49 miliardi di sterline

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – In primo piano sulla stampa del Regno Unito, a tre settimane dalle elezioni politiche, il programma di governo del Labour, in gran parte gia’ trapelato. Il principale partito di opposizione, sintetizza il “Financial Times”, ha offerto agli elettori un’alternativa radicale, con un piano volto a raccogliere ulteriori tasse per quasi 49 miliardi di sterline per aumentare la spesa pubblica nell’istruzione, nella sanita’ e nell’assistenza sociale. Tra le proposte un’aliquota del 45 per cento per i redditi compresi tra 80 e 123 mila sterline, una del 26 per cento (il sette per cento in piu’) per le imprese e un’imposta sui maxi stipendi. La quota delle tasse rispetto al prodotto interno lordo sarebbe la piu’ alta dal 1949 e gli investimenti pubblici salirebbero a livelli paragonabili a quelli degli anni Settanta. Negativa l’accoglienza della comunita’ imprenditoriale: per Carolyn Fairbairn, direttrice generale della Cbi, la confederazione industriale, non e’ l’agenda di cui il paese ha bisogno per promuovere la crescita e la competitivita’. Quanto ai giudizi dei quotidiani, espressi negli editoriali non firmati, attribuibili alle direzioni, i giornali progressisti, sia pur con riserve, concedono qualche credito mentre e’ netta la bocciatura delle testate conservatrici. Per “The Guardian” e’ un programma di rottura rispetto al recente passato del partito e ha soprattutto un merito: riaprire la discussione su alcuni temi, il piu’ importante dei quali e’ la fiscalita’. Le domande cruciali sono se il livello di imposizione proposto sia giusto e se sia giusta la miscela di tasse e spese. In conclusione il documento, di 124 pagine, “allarga i confini del pensabile” e puo’ infiammare i sostenitori, ma non puo’ convincere chi e’ fuori dal tradizionale recinto laborista. Per “The Independent” e’ un “buon programma”, chiaro e coerente; l’aumento della spesa sanitaria e assistenziale e’ realistico e ci sono importanti investimenti sui giovani; altri impegni di spesa sono condivisibili in linea di principio ma non prioritari; il documento dice poco sulla revoca del taglio ai crediti di imposta per i meno abbienti e sui costi del programma di rinazionalizzazione; complessivamente la sua attuazione richiederebbe un governo dotato di molto tempo ed energia, mentre il compito piu’ assorbente sara’ l’uscita dall’Unione Europea. Per “Mirror” il documento contiene molte proposte concrete e popolari per rendere il paese piu’ equo e migliorare le vite della maggioranza delle persone e potrebbe attirare consensi; se il leader, Jeremy Corbyn, alzasse la posta potrebbe riuscire a impedire alla premier, Theresa May, di ottenere la vittoria schiacciante alla quale aspira. Per “The Times” bisogna riconoscere che il programma, benche’ discutibile, e’ in gran parte realizzabile, perche’ viene indicato dove si vogliano reperire le coperture per aumentare la spesa pubblica; tuttavia, non e’ un serio tentativo di conquistare il potere, ma tradisce altre intenzioni: non avendo alcuna aspettativa di vittoria, gli autori sembrano averlo scritto pensando all’inevitabile “bagno di sangue ideologico” che seguira’ alla sconfitta. Per “The Telegraph”, infine, il principale punto debole e’ l’impatto del piano di nazionalizzazioni sull’indebitamento e sul deficit, sui quali il cancelliere ombra dello Scacchiere, John McDonnell, non e’ riuscito a fare chiarezza; gli sgravi conservatori alle imprese a partire dal 2011, invece, hanno garantito al Tesoro, stimolando gli investimenti e la crescita, un aumento del gettito del 44 per cento; oltre a essere “economicamente analfabeta” e incoerente, l’approccio del Labour “coltiva una perniciosa narrazione dei ricchi contro i poveri”.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Germania, lezioni dal fallimento di SolarWorld: occorre innovare e ridurre le spese

17 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Per Brigitte Zypries, ministro dell’Economia tedesco, la transizione energetica e’ un “modello per il futuro di portata globale”. Il ministro all’inizio dell’anno ha diffuso un opuscolo di 20 pagine in cui loda il fatto che un terzo dell’energia elettrica tedesca sia generata da fonti rinnovabili, e che queste ultime abbiano generato “posti di lavoro sostenibile”. Specie in materia di occupazione pero’ – sottolinea in un editoriale “Handelsblatt” – il rapporto pare tenere poco conto della realta’, che di recente e’ tornata a manifestarsi col fallimento di SolarWorld, ultimo grande produttore tedesco di pannelli fotovoltaici. Solo nel settore del fotovoltaico domestico tedesco, sottolinea il quotidiano, sono stati persi negli ultimi anni quasi centomila posti di lavoro. Gli oltre 100 miliardi di euro in sussidi sborsati dallo Stato nel corso degli anni per sovvenzionare il fotovoltaico hanno impresso una accelerazione alla transizione energetica, ma hanno innescato anche un fuoco di paglia costosissimo per la collettivita’ nel mercato del lavoro. E di questo, scrive il quotidiano, e’ in parte responsabile la politica, che proprio con le politiche assistenziali e le sovvenzioni ha soppresso ogni impulso a ridurre i costi e sviluppare prodotti innovativi. Questo ha fatto si’ che la Germania perdesse progressivamente la leadership mondiale in questo settore a favore della Cina. Purtroppo, le stesse dinamiche si riscontrano sempre piu’ anche tra i produttori tedeschi di turbine eoliche, che “non sono affatto competitivi come si pensa”. Delle 15 maggiori aziende mondiali produttrici di turbine eoliche, 8 sono cinesi. Centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore delle rinnovabili, avverte il quotidiano, potranno essere salvati solo se le aziende torneranno a innovare e a fornire soluzioni energetiche complete: un impulso che la pioggia di contributi pubblici ha smorzato. Oltre a potenti turbine, pero’, per rendere le fonti rinnovabili davvero competitive servono progressi tecnologici sul fronte dell’accumulazione, e software intelligenti che stabilizzino l’immissione e la fornitura di energia sulla rete. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono troppo bassi. In aziende come Nordex o Senvion sono a meno del 2 per cento rispetto alle vendite. Fortunatamente, conclude il quotidiano, ci sono ancora segni incoraggianti. La tendenza relativa ai costi di costruzione dei parchi eolici, sia marini che terrestri, e’ al ribasso. Per il settore dell’energia eolica, la fine dei sussidi elevati e’ una benedizione, perche’ “libera la pressione concorrenziale necessaria a guidare la ricerca continua dell’innovazione e a ottimizzare i costi”.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata