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BreakingDigital. Una Carta di Diritti per la Rete? Obiettivo fuori mira, non tratta l’algoritmo

Michele Mezza

Michele Mezza

La Carta della rete presentata in pompa magna dalla Presidente della Camera Laura Boldrini con il presidente della commissione di lavoro che l’ha redatta Stefano Rodotà, sembra proprio “di carta” per incidere sulla dimensione digitale.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Lo sforzo è indubbio e non si deve certo snobbare l’impegno di parlamentari ed esperti e soprattutto la tenacia del vertice della Camera di spingere le istituzioni italiane a guidare il processo di formazione di un corpo normativo per la rete.

Non era scontato e non è ancora sicuro che il processo possa approdare a risultati tangibili.

Ma se diamo per scontato che vogliamo riconoscere il merito di chi si è speso per questo risultato, non possiamo non entrare nel merito.

E qui la carta ci sembra già un’occasione mancata.

Potremmo dire che sarebbe uno splendido e avanzato documento se fosse stato approvato 10 anni fa.

Un buon documento solo 5 anni fa.

Ma oggi ci sembra uno strumento inadeguato.

Il testo ci pare risentire poco della roboante fase di consultazione.

Ma soprattutto ci sembra inossidabile nel suo architrave: la rete è un dispositivo tecnologico salvifico, che va promosso in sé.

E’ una logica davvero stridente con la cultura e la storia di molti dei personaggi che vi hanno messo mano, a cominciare da Stefano Rodotà.

La rete va difesa in sé?

Come dire che la fabbrica andava difesa in sé dal movimento del lavoro all’inizio del Novecento. Grazie a Dio, nel secolo scorso il processo di industrializzazione, che indiscutibilmente comportava un avanzamento sociale e culturale dell’ambiente sociale che coinvolgeva, fu radicalmente mutato di senso e natura da un conflitto sociale che ha introdotto diritti e poteri tali da bilanciare la prima idea di fabbrica che non poteva convivere con la democratizzazione della vita che ha conosciuto l’Europa.

Intanto cosa è Internet?

Come spiega Tim Berners Lee, uno dei padri che ha generato il sistema digitale, “la rete è un’innovazione sociale non tecnologica”, Internet è la risposta ad una domanda sociale di autonomia e di condivisione di cui l’infrastruttura tecnologica è lo strumento.

Un concetto che non si ricava in maniera diretta dalla lettura del preambolo del documento. Dove invece tende ad evidenziarsi una logica meccanicistica, dove la rete è un soggetto a sé, che prescinde dalle relazioni sociali che l’attraversano.

Coerentemente con questa impostazione di un neopositivismo digitale, diventa valore prioritario l’accesso, a prescindere, direbbe Totò.

Accesso a cosa?

Ad un Eden che solo occasionalmente è offuscato da azioni scorrette di questo o quel malintenzionato, o un luogo di soverchianti poteri che tendono a subordinare gli utenti che vi si avventurano?

La seconda che hai detto risponderebbe Guzzanti.

Indiscutibilmente, oggi la rete è uno spazio pubblico, con un uso intensamente commerciale ingombrato da alcuni monopoli del software che guidano i comportamenti di milioni di naviganti. In questo quadro dunque appare eccentrico vedere l’istituzione pubblica come il principale indiziato di possibili manipolazioni?

E’ lo stato il vero pericolo oggi nelle relazioni digitali?

Certo l’aneddotica è infinita, le intromissioni o i pacchiani tentativi di censura.

Ma possiamo dire, numeri alla mano, che sia davvero la NSA americana lo spettro che incombe accanto ad ognuno dei 3 miliardi di internauti?

O piuttosto non sono gli algoritmi di Google, Facebook e Amazon a proporsi come idrovore di dati profilanti che permettono poi ai grandi net provider di elaborare soluzioni personalizzate che guidano i nostri comportamenti e i nostri pensieri?

Io credo che questo sia il vero buco nero su cui il pubblico decisore debba intervenire, elaborando soluzioni e norme che diano forza negoziale ad ogni singolo individuo digitale.

Il punto è infatti come rendere esplicito e trasparente la logica e la modalità di funzionamento dell’algoritmo che media e performa le nostre azioni in rete, più che accompagnare nuovi clienti nel mercato digitale.

Certo che la rete è una frontiera avanzata e che bisogna diffondere logica e linguaggio, ma in maniera consapevole e critica, non in virtù di un determinismo tecnologico per cui l’accesso è comunque un valore in sé.

Fondamentale in questo è il Comma 5 dell’Articolo 3 sull’uso consapevole della rete e per uno scambio egualitario di saperi e dati.

Se non si vuole lasciare nel novero dei formalismi astratti questo principio bisogna calarlo nelle dinamiche conflittuali contemporanee.

Una comunità, un paese, un individuo sono consapevoli e autonomi se hanno visione e sovranità sui saperi e le istruzioni che guidano le soluzioni digitali.

E’ per questo indispensabile definire procedure che rendano esplicita l’adozione della tipologia di algoritmo che è connessa ad un servizio online: come per l’acqua minerale devi dirmi che proprietà e quali componenti sono usate per realizzare quel servizio.

Da qui si comincia poi a discutere fra pari.

Al di sotto di questa linea siamo sempre fra servi e padroni.

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