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BreakingDigital. Sinodo e Plenum cinese: prove di democrazia disegnate dai social network

Michele Mezza

Michele Mezza

Da Roma a Pechino, forse inconsapevolmente, due soggetti come la Chiesa Cattolica e il Partito Comunista Cinese, stanno sperimentando processi di riorganizzazione del metodo democratico. Rileggendolo e ridisegnandolo a seconda delle proprie culture, e necessità.

Il Sinodo sulla famiglia, promosso da Papa Francesco si è confermato evento epocale.

Sia nel merito, con l’avvio di un percorso legato sempre più a valutazioni occasionali in base a considerazioni di attualità e consenso, e meno di dottrina e tradizione; sia nel merito, con un processo assolutamente inedito di decentramento del potere di decisione e di considerazione del senso comune che affiora dalle consultazioni.

Il dibattito sinodale, e soprattutto la lunga fase preparatoria intercorsa fra le due sessioni della comunità vescovile, quella straordinaria, dell’ottobre scorso, e quella ordinaria di quest’anno, ha visto coinvolte e sollecitate, oltre che la platea ecumenica dei vescovi, migliaia di comunità di base cattoliche che sono intervenute nella discussione in termini non puramente consultivi.

Per la prima volta nella storia della Chiesa di Roma, aree che pur essendo coadiuvanti, non erano mai state investite direttamente dell’autorità di elaborare precetti di fede, come gli stessi capi delle diocesi o i gruppi di fedeli organizzati, si sono trovati in prima fila a doversi confrontare con tesi e antitesi di fronte ad un Pontefice che voleva da loro un mandato esplicito per decidere.

Giustamente Papa Francesco, frenando semplificazioni incongrue, ha detto che “Il Sinodo non è un parlamento”, e la discussione non prefigura una democrazia rappresentativa.

Ma certo si è trattato di un fenomeno che ha mutato radicalmente il meccanismo decisionale e le gerarchie deliberative del vertice ecclesiastico.

Più che una democrazia è sembrato manifestarsi, secolarizzando certamente i termini del fenomeno, di una straordinaria e originale applicazione di logiche da social network, dove conta il senso comune e la forma di partecipazione più ancora che il dettaglio dei contenuti.

Logiche che hanno condizionato e orientato lo stesso contenuto del dibattito facendo emergere, come punto di incontro fra le diverse visioni dei problemi legati alle nuove dinamiche famigliari, una cultura pragmatica, immersa in quello che Giovanni XXIII avrebbe definito il segno dei tempi.

La lettera dei cardinali meno disponibili a correre su questa strada, la cosiddetta lettera dei 13, coglieva in questo un punto reale: il metodo impone il contenuto.

Esattamente così.

Il concetto centrale che Papa Francesco si è visto ratificare dal processo di discussione sfociato poi nel Sinodo concluso domenica scorsa è stato proprio questo: assumere come permanente un metodo di continua verifica e discussione di un senso comune che deve portare, aggiornare e adeguare i precetti alla vita del tempo.

Una logica dinamica che deve permettere alla Chiesa di essere permanentemente alla testa dei percorsi dell’umanità, guidandoli, ma senza snaturarli.

Un contenuto coerente con un metodo che ha voluto la discussione immersa nella vita di tutti i giorni.

Non una democrazia, ma una logica di ascolto e di confronto con la propria base sociale.

Un meccanismo che la rete rende naturale e indispensabile, proprio perché possibile e gestibile, quotidianamente.

Il parallelo cinese

Una scelta che si trova dinanzi anche il vertice del Partito Comunista cinese, nel plenum del Comitato centrale che si inaugura proprio oggi, lunedì 26 ottobre a Pechino.

Il tema è nevralgico: quale modello di sviluppo per sostenere il carico di un gigantesco paese che si può governare solo con un progressivo benessere diffuso.

Un benessere che sembra incagliarsi in un intreccio con il mercato occidentale che sembra aver dato il massimo in termini di spinta propulsiva e che ora sta minacciando di bloccare il paese in una palude declinante.

Come uscirne?

E soprattutto chi decide?

Da tempo il vertice cinese, considerata l’ultima grande autarchia del pianeta, ha imparato, secondo una tradizione confuciana, a coinvolgere aree sociali e figure culturali nelle decisioni del vertice.

Si calcola che il cerchio che si stringe attorno al gruppo di comando del partito e che ne determina le scelte e gli equilibri sia di circa 150 mila persone.

Un salotto rispetto al miliardo e mezzo di cittadini.

Una comunità non insignificante rispetto alle tradizioni autoritarie del partito di matrice leninista.

Ora lo sviluppo degli ultimi 30 anni ha esteso questa comunità aristocratica.

Dal salotto degli staff dell’apparato del partito, come era al tempo di Deng Tsiao Ping, siamo passati ad un’area di opinion leader, che con le leadership degli anni Novanta hanno inglobato intellettuali, tecnocrati, manager.

Ora si sta passando ad un cerchio più esteso, di parla di circa 5 milioni di perone, che comprende, a grandi linea il mondo delle nuove imprenditorialità, dei mercati finanziari, e dei nuovi saperi competitivi.

Centrale è la figura di un soggetto giovane, alfabetizzato, connesso, globalizzato e competitivo che nelle grandi metropoli cinesi, da Shangai a Tiencen a Pechino, sta guidando la concorrenzialità cinese sui terreni più avanzati: quelli che nella Grecia del I secolo avanti cristo di definiva “la democrazia degli uomini in armi”.

Con questa platea, ancora ristretta rispetto ai canoni delle costituzioni occidentali, ma enormemente più estesa e non irreggimentabile rispetto alla tradizione maoista, bisogna ora fare i conti e il nuovo leader XI, giunto alle soglie delle sua verifica di mid-term, deve trovare una maggioranza stabile che ne ratifichi il mandato ad assicurare uno sviluppo moderato, proteso sul mercato interno e non più legato agli investimenti esteri.

Democrazia e Big Data

Sinodo e Plenum cinese sembrano i due standard di un nuovo processo che a mezza bocca sta contaminando le discussioni in rete: quale democrazia per la società veloce e connessa?

Vale ancora il principio una testa un voto?

Qualcosa si sta muovendo e affiorano esperienze che, proprio sulla base di una partecipazione permanente e di una gestibilità dei big data, sta dando sue risposte.

Da una parte vi è la ricetta dei grandi imperi dell’algoritmo: il consenso di legge nei dati. Tocca a grandi centri di calcolo tastare il polso alle comunità.

Dall’altra la proposta di centri etici, come la Chiesa e il PCC, ma le stesse aree islamiche più estreme ne rappresentano una versione distorta ma non estranea, che sembrano indicare come via di uscita la logica di un social network guidato dall’alto: un’idea, un sacerdote, una comunità.

Silenzio dal fronte della cultura politica occidentale: anche su questo terreno l’Europa degli Jurghen Habermas, Michel Foucault, Pier Paolo Pasolini, tace.

Come la politica delle grandi narrazioni: liberalismo, socialismo, solidarismo.

Che dicono e come dicono?

Silenzio.

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