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BreakingDigital. L’INPGI e i mobili del Titanic

michele mezza

74 email di colleghi che chiedono il voto. A martedì 16 febbraio ore 17, questo è l’effetto delle prossime elezioni per il rinnovo dell’INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani).

Le email si dividono fra il gruppo che ha gestito l’istituto in questi anni che rivendica, tutto sommato, che le pensioni arrivano, e che arriveranno almeno per i prossimi anni. D’altro canto, le liste di opposizione invece mettono in vetrina le mille magagne dell’attuale gestione: presidente inquisito, inchieste incombenti, comportamento allegro da parte di amministratori e funzionari, decadenza strutturale, subalternità agli editori.

Gli stessi giornalisti che ridicolizzano le pacchiane campagne elettorali politiche e amministrative di questo o quel buffo personaggio riproducono con impressionante fedeltà gli eccessi peggiori.

Votami perché poi ci penso io.

Questo è comunque il messaggio che accomuna i due schieramenti.

Ognuno in ordine sparso, scarsi i richiami di lista: è un arrembaggio individuale alla preferenza.

Silenzio religioso su programmi e strategie.

Sembra che la categoria viva nella più assicurata ordinaria amministrazione: si tratta solo di fare le bucce agli altri: chi governa mostra i gioielli di una macchina che sta in piedi, chi si oppone denuncia il malaffare dei vertici.

Il tutto fra giornalisti.

Ossia, fra professionisti dell’informazione, fra autori di inchieste, approfondimenti, scoop e rivelazioni. Che ignorano completamente cosa stia accadendo al proprio mondo, alla propria categoria, alle proprie pensioni.

Si spostano i mobili sul Titanic che affonda.

I divani a poppa, no tutto a prua.

E la nave si abissa.

Non servono scienziati per capire che siamo alla vigilia dell’implosione.

16mila articoli 1, a tempo indeterminato, tanti sono oggi i giornalisti professionisti assunti regolarmente, dovrebbero mantenere 8mila pensionati.

Rapporto 1 a 2.

Una proporzione che in qualsiasi altra categoria avrebbe già provocato l’intervento della guardia di finanza.

Certo abbiamo il patrimonio, che ci stiamo mangiando pensione per pensione.

Ma fino a quando?

Fino alla prossima crisi aziendale?

Se uno dei grandi quotidiani che galleggia ai confini della crisi, con tirature che sono la metà di quelle di solo 5 anni fa, salta che accade al sistema informazione?

Chi mi dice qualcosa di questo?

Chi mi propone un lavoro che modifichi radicalmente la base sociale e le figure professionali della categoria?

Possiamo davvero continuare con i profili basati sull’attività di più di un secolo fa: giornalista è chi lavora in una redazione, con direttore responsabile e una produzione di formati di sola informazione?

Qualche settimana fa si sono riclassificate le funzioni e le professioni dell’informatica: si tratta di 2 milioni di persone.

Almeno un terzo di queste vive raccogliendo e trasferendo informazioni: sono giornalisti o no?

Chi si occupa di smart city, pianificando flussi di informazioni ai cittadini è giornalista o no?

Chi fa marketing virale, allestendo sistemi di condivisione di informazione è giornalista o no?

Chi è immerso nei big data è giornalista o no?

Certo non ha il cappello sulle 23 e non lo lancia sull’attaccapanni della redazione come Humphrey Bogart in Giungla d’Asfalto, ma più di lui gestisce masse di informazioni ed ha relazione con masse di utenti.

Non sarebbe il caso di aprire una riflessione su un’architettura contrattuale a più velocità, che contempli accanto a chi fa giornalismo di notizie in una redazione, chi fa giornalismo di informazioni in una comunità?

Silenzio.

Afonia totale.

Nel frattempo, nel mondo l’iceberg si scioglie.

Negli Usa in 6 anni sono state cancellate il 42% delle posizioni di desk.

Non di scrittura, i famosi inviati o i cronisti, quelli erano già stati trucidati dieci anni prima, ma le aborrite posizioni da impiegati, come dice qualche buontempone. Cancellate e sostituite con chi?

Con software.

L’Independent, uno dei più seriosi giornali inglesi, proprio nei giorni scorsi annuncia di passare esclusivamente al web, chiudendo ogni produzione cartacea: i giornalisti da 200 ridotti a 40.

Già Newsweek aveva fatto il percorso, poi però è tornato in edicola: aveva 85 redattori, ne sono rimasti 9.

Il New York Times, quello che si dice che guadagni tanto in rete, con il Wall Street Journal, ogni 6 mesi caccia 100 dipendenti fra redattori e impiegati.

Insomma che accadrà?

Non fra 10 anni ma fra 10 mesi?

Che accadrà se la pubblicità continua a spostarsi dall’inserzione all’organizzazione diretta dei format?

Che accadrà se la TV generalista rimane over 65, salvo 10 giorni l’anno?

Soprattutto che accadrà se chi deve sapere non sa e chi deve informare almeno se stessi non si informa?

Negli ultimi giorni un consiglio: non mandatemi mail, lo dico per voi.

74 già sicuramente non li voterò.

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