Industria 4.0

BreakingDigital. Intesa Rai–Telecom Italia sul cinema: ma il ruolo Enel nell’orizzonte digitale?

di Michele Mezza, (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) - mediasenzamediatori.org |

Al di là dell’accordo sul cinema fra Rai e Telecom Italia, sarebbe opportuno scrivere il capitolo mancante del Piano Industria 4.0 sul ruolo dei nostri campioni nazionali per una politica industriale del digitale.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Autore di ‘Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google’. Direttore di Pollicina Academy, centro di ricerca sugli effetti del mobile (www.pollicinacademy.it) Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

L’accordo fra Rai e Telecom Italia per la gestione della library dei film premium del servizio pubblico sulla piattaforma Tim Vision è sicuramente un segnale di una possibile strategia di sistema nazionale. Forse ancora troppo limitata, e ancora tutta spostata sul versante commerciale di Telecom.

La distribuzione di film di prima serata su Tim Vision sicuramente arricchisce l’appeal della piattaforma del gruppo di telecomunicazione e forse estende il valore commerciale delle pellicole di Rai Cinema.

Ma tutto qui?

In una fase di grandi integrazioni verticali, dove l’intero sistema delle media companies globali è in fermento sulla spinta dei service provider della rete che tendono ormai a diventare content provider, come dimostrano l’evoluzione di Netflix o di At&T o ancora di Facebook e Google, limitare l’intesa fra i due soggetti di testa del mercato multimediale italiano sembra ancora inadeguato.

Tanto più che per un’azienda come la Rai, forte di un imponente apparato giornalistico, la prova del 9 sta proprio nella capacità di valorizzare la merce news sia nella fase di distribuzione, estendendo la gamma dei servizi delle redazioni, sia nella fase di produzione, dando una nuova forma e un nuovo linguaggio al ciclo delle news digitali.

Motore e vetrina di entrambe queste operazioni è il mercato mobile, dove l’informazione diventa servizio personalizzato e la produzione diventa pratica professionale integrata di ogni singolo giornalista mediante la piattaforma smartphone.

Su questo versante non vengono notizie incoraggianti, ossia non ci sono segnali di svolte, se non il solito brusio interno indotto dalla bocciatura del piano Verdelli e dal rinculo che la decisione ha prodotto nelle redazioni, sempre più arroccate sull’esistente.

Un’intesa industriale con un sistema di valorizzazione on demand dei prodotti, quale è Telecom, potrebbe dare una scossa salutare, riuscendo a rompere finalmente l’inossidabile intercapedine che ancora separa in Rai le forme e le modalità di distribuzione della rete con il treno di produzione giornalistico nelle testate.

Ovviamente una strategia congiunta con Telecom porrebbe un altro problema legato alla strategia industriale del paese. Infatti, visto che Telecom è oggi largamente partecipata dai francesi di Vivendi, che sono oggi a caccia della maggioranza operativa di Mediaset, inevitabilmente si rischia di consegnare a Parigi l’intero apparato multimediale e audio visivo del paese se Rai diventasse tributario del gruppo di telecomunicazioni.

Si dovrebbe allora scrivere quel capitolo che manca al Piano di Industria 4.0 tanto propagandato dal ministro Calenda: quali i driver nazionali per sviluppare e tutelare i primati di linguaggi e di soluzioni intelligenti, come algoritmi e piattaforme di big data, nel processo di convergenza multimediale?

E ancora: quale il ruolo degli asset nazionali come appunto Rai e Telecom Italia?

E Enel, che oggi possiede con la sua reticolare tela di contatori digitali che smistano anche connettività, può rimanere esclusa da questo progetto?

E non potrebbe essere proprio Enel il vero partner industriale di Rai nel processo di maturare soluzioni di content provider per il principale service provider nazionale? Domandine che assomigliano tanto ad una vera politica industriale nazionale autonoma e sovrana. Forse troppo.

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