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BreakingDigital. Il pollice e il cannocchiale: scenari mobili dopo l’eclisse delle app

di Michele Mezza, (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) - mediasenzamediatori.org |

Siamo abituati ormai alle previsioni paradossali, che spostano continuamente le frontiere del plausibile. Ma la corsa al mobile sta davvero scompaginando categorie e strategie dei modelli più innovativi.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Davvero molte cose stanno accadendo oltre il fiume e noi come asini stiamo a guardarle senza fare niente, potremmo dire, come lo Zingaro Melquiades di Cent’anni di Solitudine di Garcia Marquez, di fronte a quanto sta mutando nel mondo del mobile.

Non si tratta solo di nuovi telefonini o nuovi servizi smart, il fenomeno è molto più pervasivo e trasversale. Sta mutando l’intero ecosistema delle relazioni sociali che ormai gravita tutto attorno allo smartphone.

Solo nel campo della comunicazione, ad esempio, fra qualche mese, Rai o Mediaset o Repubblica dovranno preoccuparsi di essere titolari di un sistema operativo mobile come iOSS o Android. E, invece che avere canali Tv o testate online, sarà forse indispensabile avere sistema intelligente come Siri o Cortana.

Siamo abituati ormai alle previsioni paradossali, che spostano continuamente le frontiere del plausibile. Ma la corsa al mobile sta davvero scompaginando categorie e strategie dei modelli più innovativi.

Oggi, con il 75% degli accessi alla rete che arriveranno via smartphone nei prossimi 18 mesi, bisogna decifrare con attenzione cosa sta accadendo nel recinto del mobile, per misurarne le conseguenze su tutte le attività che hanno nel mobile la propria bussola relazionale.

Il dato più evidente è ormai la crisi delle app.

Negli ultimi 8 anni ne sono state scaricate dai vari store online circa 200 miliardi copie. Attraverso le diverse tipologie di app si è organizzata l’automatizzazione delle nostre attività relazionali, informative, cittadine, produttive, distributive. Oggi sembra che siamo giunti al capolinea. Il tasso di mortalità è ormai altissimo, ed ognuno di noi può facilmente fare l’inventario di quelle che effettivamente usa sul suo smartphone rispetto a quelle che ha bulimicamente scaricato.

Contemporaneamente sta montando, come sempre nel rapporto di causa ed effetto, il fenomeno dei sistemi operativi complessi, che contengono funzioni e contenuti, diventando non più store ma scaffali, magazzini, superdesk. I nuovi iPhone 10, di Apple, e i telefonini equipaggiati con Android 7 Nougat, come spiegava sabato scorso su Repubblica Jaime D’alessandro, proporranno gran parte dei servizi e funzioni che fino ad oggi siamo abituati a chiedere ad un’app: news, localizzazione, indirizzi, recensioni, viaggi, trasporti.

I sistemi operativi, seguendo la parabola su cui da tempo insistiamo, per cui ogni service provider, inesorabilmente, diventa un content provider per mantenere il suo mercato, si trasformano in editori, broker di servizi, navigatori metropolitani, coordinatori di servizi alle persone.

Nel campo delle news, nell’assoluta indifferenza di un sistema che deve ancora metabolizzare le stesse portabilità delle app, già da tempo sono i sistemi operativi dei telefonini a raccogliere e distribuire informazioni, agganciandole a funzioni, come la manutenzione del telefono, o la pulizia delle memorie, e dunque rendendo le news sempre più presenti nella nostra vita con lo smartphone.

Contemporaneamente, cresce la potenza e la personalizzazione dei bots intelligenti che da gadget stanno diventando dei veri compagni di vita, che attraverso il telefono, pianificano la nostra esistenza: Siri o Cortana, implementati in maniera nativa con i contenuti che ormai risiedono nel telefonino e non solo sono ospitati, stanno acquisendo linguaggi e cadenze che li rendono un vero dispensatore di contenuti e soluzioni. Meglio ancora, di contenuti che contengono anche una soluzione.

A questo punto non sarà più sufficiente per i produttori abilitarsi all’uso di delivery tramite smatphone per le news, o i video canali tv, o la registrazione di filmati, o ancora il loro montaggio, o le ormai archeologiche soluzioni di pod casting.

Il sistema operativo del telefonino, e dietro di loro i brand che li producono, come Apple, o Google, o la stessa Samsung, diverranno direttamente gli organizzatori, i system integrator dei programmi, che saranno concorrenti e alternativi a quelli dei player tradizionali della Tv o delle news.

Si annuncia così una nuova svolta, che potrebbe preludere ad una nuova guerra fra i giganti della rete.

Facebook infatti in questo scenario sembrerebbe penalizzata dal fatto di non disporre di un proprio terminale, e dunque di non avere piattaforme in grado di arrivare all’utente finale. Certo che il social network di Zuckerberg vanta sempre numeri da capogiro e un potere contrattuale massiccio. Ma dovrà usarlo sapientemente per non rimanere fuori dal gioco della mobile life. Quella che delinea infatti è proprio una forma di vita formattata e tradotta su smartphone.

Linguaggi, alfabeti, contenuti, comportamenti, relazioni, opinioni e conflitti, dopo essere stati riclassificati dal computer prima e da Internet dopo, ora sono alla prova del mobile. Una prova che si annuncia ancora più stressante ed esasperata.

In palio c’è la cosiddetta portabilità, ossia quel meccanismo vitale che si è associato a tutte le nostre svolte epocali: la scrittura è stato il media della portabilità delle relazioni e del potere; la finanza è stato il media della portabilità del patrimonio; la stampa è stato il media della portabilità dei saperi e dei valori; oggi lo smartphone è il media della portabilità della nostra socialità.

Come nelle occasioni precedenti, un’accelerazione di questo processo di portabilità muta le gerarchie geografiche e sociali.

Nelle tre precedenti svolte, il nostro paese si è trovato al centro della scena. Mediante la scrittura Roma ha trasformato l’egemonia del pensiero greco in una piattaforma di comando del mondo. Mediante la finanza comuni e signorie italiane hanno pilotato il secondo medio evo, con la stampa; Roma ha recuperato il ruolo di centro di un conflitto globale come la riforma e contro riforma cristiana. Oggi forse non è l’Italia il ring su cui si giocherà la partita, ma in Italia questa partita potrebbe dare forma e forza a soggetti tipicamente mobili, come il sistema artigianale, il mondo della bellezza, il reticolo delle relazioni turistiche e culturali.

Su questi temi qualcosa si sta muovendo. Nei prossimi giorni verrà lanciata una piattaforma mobile per l’analisi proprio di questi scenari: PollicinAcademy. Il nome deriva dal concetto filosofico elaborato da Michel Serres, che presiede il centro, dell’interattività del pollice, contrapposta a quella dell’indice, tipica del computer.

Il servizio pubblico dovrebbe porsi questo tema piuttosto che bearsi di essere arrivato finalmente, dopo 15 anni, ha potersi affacciare decentemente sulla rete: numeri e costi di quell’impresa meritano, una volta tanto un obbiettivo d’avanguardia. E non rimanere sempre, al di là del fiume con lo sconsolato Melquiades a guardare con il cannocchiale.