Arma smartphone

BreakingDigital. Il golpe del Bosforo sventato da Pollicina

di Michele Mezza, (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) - mediasenzamediatori.org |

Il golpe turco, in cui il video batte la forza dei carrarmati, si propone come una case history fondamentale per chi oggi vuole aggiornare il tema dell’impatto sui sistemi mediatici delle nuove dinamiche mobili.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Il pollice della giornalista della CNN turca, che nella notte fra venerdì e sabato scorso premeva sullo schermo del suo telefonino per mostrare il collegamento via Skype con il premier turco Erdogan allora fuggiasco, probabilmente ha scritto una pagina di storia, contribuendo in maniera decisiva al fallimento del golpe del Bosforo.

Sicuramente quel pollice ha simboleggiato una nuova forma di relazioni sociali e anche geopolitiche, che rendono sempre più complicato dominare la scena mediatica da parte di chi vuole creare un momento di silenzio assoluto.

Non a caso, mentre i golpisti stavano occupando i locali della Tv di stato, pensando di chiudere per sempre la possibilità al gruppo del premier di mobilitare i propri fedeli, Erdogan aggirava ogni strettoia, e con Skype e il suo smartphone trovava il modo di spingere nelle strade i suoi supporters.

Un effetto amplificato dalle molteplici dirette televisive che dalle strade di Istanbul e Ankara si offrivano alle televisioni di tutto il mondo (meno la Rai purtroppo) via Periscope.

Pollice più streaming video, potremmo dire, hanno sconfitto i carri armati, e soprattutto hanno reso non recintabile una comunità. E’ una lezione che Erdogan dovrebbe aver imparato, e che potrebbe modificare radicalmente il suo modo di governare.

Sicuramente quella lezione è nelle nostre teste e sui nostri polpastrelli da tempo. Non a caso un grande filosofo francese, Michel Serres, da alcuni anni sta lavorando attorno al concetto di Pollicina, ossia lo studio delle nuove forme semantiche dell’interattività del pollice, che tramite i cellulari modificano gli alfabeti, ma anche i contenuti della comunicazione digitale.

“Pollicina tiene in mano il mondo”, scrive Serres nel suo nuovo testo Il mancino zoppo (Bollati Boringhieri). Proprio Michel Serres ha accettato di presiedere PollicinAcademy, il primo centro di ricerche sugli alfabeti del Mobile costituito a Napoli, con un comitato scientifico  composto anche da Giulio Giorello, docente emerito della Statale di Milano di Filosofia della Scienza; Enrica Amasturo, direttore del dipartimento scienze sociali della Federico II di Napoli; Gianluigi Ferrari, direttore del dipartimento di informatica dell’Università di Pisa; Gaspare Polizzi, docente di storia della filosofia all’Università di Firenze e traduttore di Michel Serres; Giovanni Lanzone, sociologo della bellezza; Antonio Pescapè, docente di sistemi dell’informazione della Federico II; Giorgio de Michelis, docente di informatica all’Università Bicocca di Milano; Toni Muzi Falconi, già fondatore della FERPI, docente di relazioni internazionali alla NYU di New York.

Un gruppo che ha deciso di lavorare direttamente in mobile, attraverso una piattaforma allestita dal gruppo Genesis mobile, con la collaborazione della mia cattedra di Sociologia delle Culture digitali della Federico II.

In questo contesto, il golpe turco si propone come una case history fondamentale per chi oggi  vuole aggiornare il tema dell’impatto sui sistemi mediatici delle nuove dinamiche mobili. Come sostiene proprio il professor Giorello nel suo intervento nel primo forum di PollicinAcademy, “la torsione individualista che inevitabilmente accompagna l’espansione delle relazioni mobili troverà una sua composizione in logiche comunitarie, dove sarà appunto l’individuo, di volta in volta, secondo l’esigenza del momento, a fissare i limiti della propria identità e autonomia”.

I fatti di Istanbul e Ankara ci hanno mostrato questa tendenza: migliaia di persone in movimento, che tramite sistemi di connettività e di relazione parlavano al mondo mostrandosi per quello che stavano facendo. Dall’altra parte, le immagini solo di carri armati che vagavano per la città e di elicotteri che bombardavano. Persino le cancellerie più disponibili all’emarginazione di Erdogan hanno dovuto arrendersi alla forza simbolica di quelle scene popolari.

Il video ha battuto la forza. E la forza senza video non regge, un binomio con cui l’Isis mostra di sapere e di giostrare fin troppo bene.

Ora tocca al mondo della comunicazione prendere le misure al fenomeno. A cominciare dagli apparati televisivi. Le dirette sul golpe di venerdì notte hanno messo a dura prova l’offerta televisiva.

Da una parte, chi metteva in studio il solito armamentario di professori e giornalisti in cerca di teorie; dall’altra, che si immergeva sul palcoscenico della storia, mostrando e smontando i flussi di immagini che affioravano dalla rete.

Non è solo un problema culturale, ma anche strutturale.

Bisogna sapere e vedere quanto accade in rete. Non a caso già nel ‘99, nel momento del primo allestimento di Rainews24 (vedi il libro Internet la madre di tutte le TV, M.Mezza, E.Fleishner, P.Boda, Rai Eri editore, Roma 2000) l’intero canale all news fu concepito attorno al teleport, ossia un hub che raccoglieva  canali tv e immagini internet, all’epoca davvero misere, per mixarle e trasmetterle a supporto del flusso di notizie.

Televisivamente, ha vinto la competizione, durante il golpe, chi ha un teleport e sa come usarlo (dalla CNN a Skynews24) ed ha perso, invece, chi quel teleport l’ha smantellato, sostituendolo con un banco in studio con ospiti e direttore (come Rainews24 e i vari TG Rai).