Il parallelo

BreakingDigital. Dal Sinodo al Plenum Cinese: i Big Data tra democrazia e libertà?

di Giulio Giorello, Ordinario di Filosofia della Scienza alla Statale di Milano |

Il Sinodo romano e il Plenum cinese paiono due epocali adattamenti a una società ‘veloce e connessa’

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Appropriatamente Michele Mezza sottolinea che il Sinodo sulla famiglia promosso dalla Chiesa di Roma e il Plenum del Partito Comunista Cinese sono esempi di una mutazione radicale dei meccanismi decisionali di due strutture particolarmente sofisticate e complesse. In entrambi i casi, pur nelle ovvie differenze, si tratta della manifestazione di una cultura pragmatica che si rende conto delle potenzialità e delle sfide offerte dalla Rete.

Mi pare altrettanto opportuno sottolineare come Sinodo romano e Plenum cinese paiano due epocali adattamenti a una società “veloce e connessa”.

Ma la partecipazione permanente con annessa gestibilità dei big data non è a mio avviso per se stessa una conquista di libertà.

Vorrei a questo punto rilevare due aspetti.

Il primo è che mi pare difficile qualificare Sinodo e Plenum come due strutture democratiche, trattandosi di realtà fortemente gerarchiche, per non dire di due modelli di sistemi “centrati” (su problemi del genere, si vedano i saggi contenuti nel volume Il pensiero acentrico, a cura di L. Guzzardi, elèuthera, Milano 2015).

Per fare un esempio concreto, non basta che ai vertici della Chiesa Cattolica Romana arrivino informazioni e proposte dalle varie comunità di base per poter parlare di una “prova di democrazia”, ma occorre valutare come il centro ascolti tali proposte, le faccia eventualmente proprie e soprattutto consenta che a sua volta le proprie tesi vengano riprese, ridiscusse ed eventualmente confutate dalla base.

Questa dialettica è tipica di una rete democratica, o per usare la cara vecchia terminologia di Karl Popper, di una “società aperta”.

Senza pronunciarmi sullo stile di lavoro del Partito Comunista Cinese, mi sento di dire che l’attenzione capillare alle inquietudini della base, con il controllo dei big data pertinenti, di per sé è compatibile persino con una versione snella del “centralismo democratico” di matrice leninista. Ma non spingo oltre questo parallelo; ho peraltro un certo rispetto di V.I. Lenin.

Il secondo aspetto, messo qui per ultimo ma non minore, riguarda non tanto la democrazia, ma la libertà. Ripeto qui quello che ho già scritto in altra sede: se devo scegliere tra democrazia e libertà, all’inferno – è il caso di dirlo – la democrazia.

Come è stato detto da altri con maggiore competenza di me, nella stessa Rete il problema non è quello che ognuno possa esporre le sue tesi, ma che ognuno possa ragionevolmente venire ascoltato e scegliere cosa ascoltare, indipendentemente dai filtri che nella Rete operano (valga per tutti il testo di G. Ziccardi, Internet, controllo e libertà, Raffaello Cortina, Milano 2015). Altrimenti, la “libertà di espressione in rete” è solo una consolazione per lo specialista.

Dubito peraltro che strutture come il Partito Comunista Cinese o la Chiesa Cattolica Romana, pur con tutta la buona volontà di questo mondo, siano oggi in grado non solo di smantellare “la dittatura dell’algoritmo”, ma di non aggiungerne qualche variante.

Tuttavia, mi sembra lecito per ora non disperare.