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BreakingDigital. Customer experience in rete: profilazione o conversazione?

Michele Mezza

Michele Mezza

L’antropomorfizzazione dei Call Center, è una delle questioni poste del commissario Agcom Antonio Nicita, che ha segnato l’incontro sulla Costumer Experience tenuto ieri a Roma.

Un evento e un grande nodo. Sono i due elementi che hanno distinto questa discussione organizzata in collaborazione con Accenture, nella foresta della convegnistica digitale, ha avuto due caratteristiche esclusive:

1) Un tema che diventa evento: quale la questione della customer experience nella rete, che nel confronto fra imprese e regolatori si trova faccia a faccia con i grandi poteri degli OTT.

2) Un grande snodo di saperi e competenze che fa intendere come questo paese non solo dispone di numeri di avanguardia sul mercato digitale, come ha dimostrato la ricerca di Accenture, ma anche di capacità e istituzioni che ne potrebbero ricavare soluzioni di grande respiro per il sistema Italia, come hanno dimostrato i ragionamento dei Commissari Agcom Antonio Nicita e Antonio Preto.

Come accade spesso in questi contesti i numeri hanno aperto la discussione: siamo primi in Europa per istinto relazionale e intenti social, oltre che per intrecciare ambizioni dei consumatori e attenzione dei produttori. Siamo anche ben posizionati nella transizione dal computer al mobile, un processo che potrebbe darci una seconda chance, dopo aver perso quella della prima ondata informatica del personal computer.

Il direttore del servizio Economico dell’Agcom Marco Delmastro confermava come driver e laboratori delle nuove forme di dialogo fra utenti e esercenti siano media e energia, ossia i due mercati che nativamente sono costruiti sull’idea di rete, sia pure, inizialmente, nelle versioni più materiali, delle rispettive forme di distribuzione. E come le parabole del tutto inverse dei due settori ci indicano, siamo ad un tornante strategico: l’incontro fra produttore e consumatore ridisegna sia il profilo dell’impresa che gli stessi fattori economici che hanno guidato il mercato, dalle idee ottocentesche dell’utile marginale alle economie di scala. A guidare questo nuovo giro di valzer però non sono né i produttori, sia nella versione dei generi di consumo che in quella dei servizi, né i consumatori-utenti, ma i distributori, nelle più enigmatiche sembianze dei service provider. Sono questi soggetti oggi ad insediarsi al centro del mercato e a stravolgere le dinamiche che pensavamo di aver compreso.

La personalizzazione dei consumi, e la produzione on demand, che erano le due categorie che fondendosi stavano simboleggiando la nuova marca di capitalismo, oggi sono subordinate e governate dalla potenza computazionale delle forme e delle modalità di delivery preventiva.

Di fronte all’abbondanza dell’offerta e alla capacità di profilazione che oggi ogni interfaccia commerciale esercita, ognuno di noi nell’esprimere le sue preferenze, le sue necessità, i propri desideri, si trova ormai ingabbiato dalle griglie cognitive dei sistemi social che introducono e accompagnano ogni itinerario di consumo. Da dove partiamo: da Facebook, o da Google nell’85% dei casi. E come partiamo: con una domanda o una consultazione che attiva i data base, largamente limitati e ridotti rispetto all’ampiezza della rete, dei due universi digitali.

Questo è il nodo che rimane ancora tutto da indagare: siamo fuggevolmente passati dall’economia dei produttori, come il fordismo del ‘900, ad una rapida e fuggevole parentesi, dell’economia dei consumatori, come l’eCommerce ci faceva intendere, per approdare ad un’economia degli algoritmi di ricerca e di profilazione.

Due sono i temi dunque che sarebbe bene che imprese e regolatori affrontassero:

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