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BreakingDigital. Consumatori consapevoli, anticorpi del controllo online

Michele Mezza

Citizenfour, Il documentario di Laura Poitras che mostra, con una fedeltà a volte persino ossessiva, la genesi del caso Snowden, è uno straordinario strumento di lavoro.

Forse non eccezionale come montaggio e assetto scenico, del resto girare per larga parte nel ridotto di una stanza d’albergo se non sei Ingmar Bergman offre poche risorse drammaturgiche, ma sicuramente schiacciante come documento storico.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) – mediasenzamediatori.org. Analisi e approfondimenti sul mondo dei media e del digitale, con particolare attenzione alle nuove tendenze della galassia multimediale e dei social network. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Così come nel libro No place to Hide di Glenn Greenwald, che in qualche modo ne rappresenta la sceneggiatura, il docufilm ci mostra la disarmante realtà di questo ragazzotto, meno che 30enne, che, in pochi giorni, decide di giocarsi la vita, nella piena consapevolezza, entrando in un labirinto di cui conosce ogni anfratto.

E soprattutto di disegnare l’enormità degli abusi che si sono, e si stanno, perpetrando con l’alibi della sicurezza.

Molto si è detto e, poi, poco si è fatto sull’invadenza degli organismi di sicurezza anglo americani, e soprattutto nella loro azione di fiancheggiamento dei gruppi economici dei propri paesi per usare le informazioni ricavate dallo spionaggio globale non tanto per sventare azioni terroristiche quanto per ridurre la competitività di gruppi economici di altri paesi, concorrenti.

Poco invece si è detto, o comunque si ricorda, nell’aspetto primario: gran parte dei dati che la NSA, l’agenzia di spionaggio globale americana, ha setacciato dalla rete li ha chiesti, e ottenuti, dai database dei grandi Over The Top, come Google, Facebook, Amazon e Twitter.

Allora se è davvero scandalosa l’azione illegale di un ente pubblico, come i servizi segreti di questo o quel Paese, lo è tanto più il fatto che i primi a detenere e ad accumulare questi dati sensibili siano soggetti privati, come i net provider principali.

La violazione nasce e dilaga nella prima fase dell’intromissione nella nostra privacy, quando aziende private, in maniera del tutto surrettizia e truffaldina, ci offrono servizi convenienti a fronte dell’estrazione di dati a nostra insaputa.

E’ questo il passaggio ancora più pericoloso di un’azione di raccolta compiuta da soggetti pubblici che in qualche modo, in maniera informale, senza tutte le verifiche esplicite, comunque possono dire di lavorare con un mandato appunto pubblico.

Chi autorizza e con che fine Google o Facebook a creare dossier per ogni singolo utente?

Il nodo di questo ragionamento riguarda il soggetto oppositore allo strapotere di questi gruppi privati.

Abbiamo visto che gli Stati sono complici, e a volte anche, peggiorativi.

Chi allora può interdire l’azione di spossessamento delle nostre identità?

Tanto più quando quest’azione ha come fine quello di manipolare le nostre compravendite e i nostri consumi, introducendo offerte e legando la nostra attenzione su temi e prodotti che sono aderenti a forme di bisogno o di desiderio che si sta formando proprio sulla rete e in piena trasparenza per il venditore di questi prodotti o servizi?

La dimostrazione dell’esibizione di questo potere l’abbiamo ricavata dall’annuncio dell’ultima soluzione di Google mobilegeddon, un sistema che permette al motore di ricerca di privilegiare i contenuti che provengono da smartphone, che ormai sono la maggioranza fra quelli che affluiscono alla rete.

Dunque il motore di Google agisce in base a criteri e gerarchie preordinate, sia per quanto riguarda la natura dei contenuti, che la loro origine e sicuramente il loro senso.

Nulla di quanto appare sui nostri device dopo una query è oggettivo e neutrale.

Tutto è funzionale e occasione, secondo gli obiettivi, commerciali o globali, del net provider di turno.

Una risposta ci è venuta da Vienna, dove un altro ragazzotto, poco più giovane di Snowden, Max Schrems, ha raccolto oltre 25 mila persone per una class action contro Facebook, denunciando un arbitrario uso di dati e una raccolta illegale di profili da parte del social network.

In poche settimane Max Schrems, con il supporto del sito che aveva allestito, www.fbclaim.com, ha messo in moto un nuovo soggetto negoziale, il consumatore consapevole.

Un soggetto che proprio nella rete, con il linguaggio della rete, riesce a prendere forma e ad interloquire con i nuovi potentati monopolistici.

Come dice Dan Gillmore, uno dei pionieri del digitale non pentito: ”…Non abbiamo ancora perso, perché la rete rimane una straordinaria risorsa non riducibile al potere di pochi”.

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