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BreakingDigital. Algoritmo dilagante: serve un pensiero italiano della Rete

Michele Mezza

Una settimana digitale densa inizia con questo week end. A Pisa l’Internet festival fino all’11 ottobre. Il giorno dopo alla Camera si parla di governo della rete sulla base della carta dei diritti digitali stilata dalla commissione Rodotà. Poi a Roma la kermesse della Makers Fair.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Tutti eventi che si trovano travolti e sconvolti dalla realtà. Per rimanere sul limitato terreno del mercato online, già soltanto la sentenza della Corte di Giustizia Europea dell’altro giorno che azzera la discrezionalità con cui i grandi net provider (Google, Facebook, Twitter, Amazon) trasferivano nei server americani i dati raccolti in Europa modifica sostanzialmente le ragioni di scambio fra Usa e Ue.

E anche i rapporti di potere.

In Italia, poi, un mese fa è stata approvata la Patent Box, una normativa che premia la ricerca operativa innovativa. Uno strumento che potrebbe, debitamente orientato dai regolamenti attuativi, diventare davvero un motore per incrementare il valore aggiunto del sistema tecnologico italiano.

Infatti, il nodo cruciale che in qualche modo è all’intersezione degli eventi e delle notizie che abbiamo citato, non è più la predicazione dell’innovazione o peggio del semplice accesso alla Rete, visto ancora come atto salvifico per lo sviluppo.

Il vero buco nero oggi è quello che si trova in Rete, ossia lo scenario che un operatore economico o culturale si vede dinanzi: un potere pressoché assoluto di pochi centri di gestione del software, che organizzano servizi e propongono linguaggi sulla base del dominio assoluto nell’elaborazione di algoritmi.

Il vero spettro che si aggira oggi in rete non è più la Sacra Sindone del digital devide quanto la subordinazione ad algoritmi altrui.

Il software non è un tecnicismo, è una visione del mondo.

Come spiega nel suo ultimo libro Nicolas Carr, un capo scuola dello scetticismo tecnologico, “nella società automatizzata il potere è detenuto da chi elabora e controlla gli automatismi”.

Una lezione che vediamo materializzarsi nel mondo del giornalismo dove i sistemi editoriali, che altro non sono che intelligenza artificiale finalizzata, stanno riconfigurando il modo di selezionare e formattare l’informazione. L’annuncio de La Stampa di aver appaltato a Google la propria reimpaginazione su telefonino è un segno di questa degenerazione.

E’ ovvio che la strada più breve è affidarsi a chi dispone di grandi mezzi tecnologici. Ma è oggi altrettanto ovvio che questo paese dispone di straordinari mezzi e risorse. Siamo ormai uno dei paesi più avanzati nello sviluppo software.

Allora perché non lavoriamo in proprio invece di pagare Google affinché ci conquisti?

Il Governo invece di inseguire ogni maker come fosse la Madonna di Lourdes dovrebbe elaborare strumenti non protezionistici ma almeno premianti per chi investe su algoritmi autonomi invece di importarli.

Così come la Pubblica Amministrazione dovrebbe fare massa critica per rendere evidente e rilevante l’uso di software autonomo e sovrano invece di appaltare tanto al chilo l’intera memoria del paese ad Amazon.

Per fare questo è indispensabile avere un soggetto negoziale, una figura professionale ed un interesse economico che spinga in questa direzione.

Il mondo artigiano, alla viglia della transizione al 3D e all’internet delle cose, sembra muoversi e cominciare a porsi il tema di quella che gli americani chiamano Literacy della Rete, ossia un approccio critico e alternativo al consumo subalterno.

A Pisa all’Internet Festival si discuterà più che di dispositivi di strategie, mettendo in campo filosofi e matematici in una analisi dei trend comportamentali. Il trend che è all’orizzonte è ormai quello del flusso, vale a dire che tutto diventa streaming: musica, video, contenuti, news. Si scompone lo spazio della pagina e del video e si delinea un nuovo alfabeto per organizzare il pensiero.

Su questo terreno sarebbe bene che le competenze professionali potessero incontrare i saperi della ricerca scientifica ed umanistica. Non a caso Pisa è la terra di Galileo che questa convergenza difese e nobilitò. Da lì si potrebbe cominciare un cammino concreto e competitivo per un pensiero italiano della Rete.

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