Criptovalute

Bitcoin, ecco la mappa dei Paesi ostili alla criptovaluta. Fuga dei miners dalla Cina

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Nuovo giro di vite di Pechino sulle attività di mining per coniare bitcoin: da venerdì scorso, minare questa criptovaluta è illegale in diverse province del Paese, ufficialmente per eccesso di consumi energetici, quindi per intralcio alla transizione ecologica stabilita dal grande Paese asiatico. La mappa delle nazioni ostili al bitcoin.

Dove il bitcoin è vietato o il suo uso fortemente limitato

I Governi e le istituzioni finanziarie di diversi Paesi hanno deciso di limitare fortemente o mettere direttamente fuorilegge il bitcoin, al momento la più celebre criptovaluta al mondo. Secondo stime del Financial Times, non è consentito l’uso di bitcoin sotto nessuna forma in Bolivia, Marocco, Algeria, Egitto, Nepal e Bangladesh.

In questi Paesi le restrizioni sono assolute, con il bitcoin che non può essere utilizzato per comprare e pagare nessun prodotto o servizio, ne è possibile possederlo per i semplici cittadini.

Più soft la situazione in Cina, Canada e Turchia, dove i bitcoin non sono vietati, ma il loro utilizzo è strettamente regolato per evitare ogni forma di speculazione “guidata” da soggetti esterni, per non causare problemi di nessun tipo alla sicurezza economica interna e al funzionamento regolare del sistema bancario e creditizio nazionali.

In Cina poi, il lancio dello yuan digitale ha certamente peggiorato il giudizio di Pechino sul bitcoin, pur non demonizzando ne chi ne fa uso, ne l’economia digitale delle criptovalute in generale, semplicemente si vuole dare vita ad un panorama finanziario sicuro e stabile, che secondo alcuni significa “più controllabile”.

Lo stop di Pechino al mining

Questo fine settimana molte “miniere” da cui venivano estratti bitcoin sono state chiuse e l’attività di mining in generale vietata in divere province, ufficialmente per l’eccessivo consumo di energia elettrica che richiede l’attività di mining, di creazione della criptovaluta.

Le autorità dello Stato di Sichuan hanno già provveduto in tal senso lo scorso venerdì, poi è toccato allo Xinjiang, al Quinghai e allo Yunnan. In Mongolia è stato chiesto alla popolazione di dare informazioni alle autorità su eventuali attività di mining clandestine.

Si attende una grande migrazione di minatori di bitcoin da qui in poi, soprattutto dalla Cina, che da sola rappresentava il 65% di tutte le operazioni di mining globali. Anche se si tratta di attività decentrate e non collegate tra loro in termini gerarchici, la perdita di minatori in Cina potrebbe avere riflessi enormi su scala mondiale.

Secondo un articolo della Cnbc, l’intervento di Pechino in questo settore ha determinato una forte diminuzione della capacità globale di minare bitcoin al momento, con una perdita dell’8% di valore secondo Coin Metrics, scendendo per la prima volta sotto i 32mila dollari dallo scorso 8 giugno.