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“Bioeconomy Day”. Presentati a Roma i risultati del progetto Star Probio. Università e industria a confronto

Nella seconda edizione della Giornata Nazionale della Bioeconomia, si è svolto a Roma la scorsa settimana nell’Aula magna di Unitelma Sapienza, con diretta streaming, l’evento di presentazione dei risultati del progetto europeo Horizon 2020 Star-ProBio.

Sono intervenuti il rettore, prof. Antonello Biagini, ed il direttore generale, dr. Donato Squara, per i saluti istituzionali; il prof. Piergiuseppe Moroni, coordinatore del progetto;  il prof. Pier Luigi Petrillo ordinario di Diritto comparato di Unitelma Sapienza; il prof. Fabio Fava ordinario di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale dell’Università di Bologna; il prof. Leonardo Becchetti ordinario di Economia dell’Università di Tor Vergata, il dr. Francesco Razza di Novamont e tanti altri studiosi.

Nel corso dei vari interventi, sono stati affrontati numerosi temi: di come sia possibile, e sempre più urgente, passare da una economia lineare basata sull’impiego dei carburanti fossili ad una economia circolare basata sull’impiego delle biomasse, di come si debba accompagnare il sistema produttivo durante la fase complessa della transizione; della esigenza di formare nuove  figure professionali esperte in materia ambientale che siano in grado di supportare le aziende, e di manager che non abbiano una cultura basata solo sulla massimizzazione dei profitti e sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, ma anche sui bilanci di sostenibilità ambientale; si è parlato anche delle indagini sui consumatori che hanno evidenziato la propensione all’acquisto di prodotti ecosostenibili anche ad un prezzo maggiore e dello sforzo di standardizzare e condividere gli indicatori della bio-economy e di introdurre forme di penalità per i beni non ecosostenibili.

Il prof. Leonardo Becchetti ha evidenziato come ormai sia accertata la correlazione tra livello delle polveri sottili e la maggiore esposizione al Covid di certi territori e come la scelta ecosostenibile sia ormai necessitata dall’elevato numero di decessi in tutto il mondo a causa dell’inquinamento, quantificati dalla rivista Lancet, a febbraio 2020, in 7 milioni all’anno, dei quali 2,9 milioni solo per il particolato e le polveri sottili. In Italia il 7% di tutti i decessi sono da ricondurre a gas e polveri sottili.

Il prof. Fabio Fava, che è a capo del gruppo di coordinamento nazionale per la bio-economia presso il Comitato Nazionale sulla bio-sicurezza, e sulle bio-tecnologie della Presidenza del Consiglio, ha evidenziato come la transizione dall’ economia tradizionale alla bio-economy sia in atto, ma avanzi a rilento e tra mille difficoltà.

A luglio è stato presentato l’Implementation Action Plan che prevede 5 grandi progetti nazionali che dovrebbero mobilitare gli attori pubblici e privati di tutto il Paese, in cui sono stati definite le politiche, gli aspetti procedurali e normativi e gli incentivi a sostegno di questi grandi piani di innovazione industriale, mettendo al centro la comunicazione, il coinvolgimento del consumatore e la formazione. Il documento dovrebbe essere presto consultabile.

Nell’ascoltare gli interessanti interventi dei partecipanti mi è venuto in mente quello che diceva Giorgio Ruffolo nel suo libro scritto nel 2008 “Il capitalismo ha i secoli contati” a proposito degli effetti della rivoluzione industriale e del capitalismo.

Secondo Ruffolo il volto del pianeta è cambiato radicalmente, nel bene e nel male, in un tempo eccezionalmente breve: dal 1750 ad oggi, un battito d’ali rispetto alla storia dell’uomo, è stato creato il 97% della ricchezza attuale dell’umanità, la ricchezza globale cioè è schizzata verso l’alto descrivendo una curva praticamente verticale che ha portato sviluppo, progresso, benessere.

Ma tutto questo ha però comportato dei costi devastanti per le risorse del pianeta: stiamo consumando in poco tempo masse sterminate di combustibili fossili accumulati per miliardi di anni nel grembo della terra, sono state sepolte sotto tempeste di sabbia milioni di ettari di terre vergini che ne hanno distrutto la fertilità e desertificato intere regioni, si stanno contaminando le falde acquifere introducendo terribili veleni; vengono liberate masse enormi  di metano dalle deiezioni di gigantesche concentrazioni di allevamenti animali, sono state distrutte buona parte delle foreste tropicali, aggravando il riscaldamento globale, vi è stata una contrazione drammatica della biodiversità e la distruzione di  una infinità di specie animali e vegetali.

È dal 1972, quando si tenne la prima conferenza mondale sull’ambiente e lo sviluppo a Stoccolma, che si parla di tutto questo e dei rimedi urgenti per salvare il pianeta.

Certo le politiche che l’Unione Europea ha messo in atto fanno ben sperare: è stato definito un grande piano europeo, il “green new deal”, per affrontare i cambiamenti climatici e la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato recentemente l’intenzione di voler aumentare gli obiettivi da raggiungere entro il 2030: una riduzione del 55% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, almeno il 32% di quota di energie rinnovabili nel consumo finale di energia e almeno il 32,5% di risparmio energetico.

Ma attualmente l’Europa incide per circa il 10% sulle emissioni mondiali di gas serra, è evidente quindi che se tali obiettivi non saranno condivisi con tutti gli altri Paesi, il risultato non sarà un miglioramento generale delle condizioni del pianeta.

Il segretario generale dell’ONU Guterres nell’ultimo vertice mondiale sul clima a Madrid a dicembre 2019 ha definito “…del tutto insufficienti gli sforzi in atto per combattere il riscaldamento globale”.

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