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Big tech: le prime 10 valgono il 58% del market cap della Top 100 globale

Big Tech e supremazia USA

Guardando alla lista delle 100 aziende tecnologiche più capitalizzate al mondo è evidente che il potere si concentra nelle mani di un’élite ristretta di Big Tech: le prime 10 aziende da sole valgono oltre il 58% del market cap complessivo delle prime 100, con una cifra monstre di 21,35 trilioni di dollari su un totale di 36,77 trilioni.

Ma la vera notizia non è solo nei numeri: è nella geografia del potere economico, tecnologico e — sempre più — geopolitico. Se estendiamo la lista alle prime 1000 aziende tecnologiche più capitalizzate al mondo, la supremazia degli Stati Uniti è totale e si quantifica in 505 posizioni occupate.

NVIDIA, Microsoft e Apple, un podio tutto americano

A guidare la classifica c’è NVIDIA, regina incontrastata del 2025, con una capitalizzazione di quasi 4 trilioni di dollari (4.000 miliardi di dollari). Ieri aveva superato questa straordinaria soglia di valore di mercato, ma alla fine il titolo ha chiuso la giornata in rialzo ‘solo’ dell′1,8%, portando la capitalizzazione di mercato dell’azienda a 3,97 trilioni di dollari.

Il gigante californiano è di fatto il cuore pulsante oggi dell’economia plasmata dall’intelligenza artificiale (AI): i suoi chip sono il motore nascosto di ogni modello linguistico, ogni server, ogni infrastruttura digitale, gran parte dei device tecnologi oggi più usati al mondo.

Alle sue spalle, con distacchi ridotti, Microsoft (3.742 miliardi) e Apple (3.153 miliardi) completano un podio interamente statunitense. Microsoft gioca un ruolo strategico con Azure e OpenAI (oltre ad essere uno dei clienti più grandi e importanti di Nvidia), mentre Apple continua a dominare l’hardware di fascia alta e a investire in mixed reality e servizi digitali.

Le altre della top 10 — Amazon, Alphabet (Google), Meta, Broadcom, TSMC, Tesla e Oracle — confermano un trend: nove delle prime dieci aziende sono statunitensi. Solo una eccezione: la taiwanese TSMC, colosso mondiale dei semiconduttori.

La prima europea è la tedesca SAP, al 13° posto, seguita dall’olandese ASML al 15° posto, unico fornitore al mondo di litografia EUV, tecnologia chiave per la produzione di chip avanzati. Poi niente più fino al 34° posto, con la francese Schneider Electric.

La Cina c’è, ma il suo peso complessivo rimane impalpabile

La Cina ha 77 aziende nella classifica completa, ma il suo peso nella top 100 è ridotto e di difficile valutazione. Giganti come Tencent (11° posto) e Alibaba (20° posto) continuano a presidiare le prime posizioni, ma sono distanziati rispetto ai rivali americani.

Il motivo? Una combinazione di fattori, tra cui: le restrizioni imposte da Pechino al settore tech, soprattutto post-pandemia; il disaccoppiamento tecnologico con gli Stati Uniti, che penalizza la competitività sul fronte dei chip e dell’AI, la crescente diffidenza dei mercati globali verso le big tech cinesi, per motivi di governance e sicurezza.

Ciononostante, il sistema tecnologico cinese rimane robusto e strategicamente rilevante, soprattutto in settori come il fintech, il 5G, la robotica, la quantistica e l’elettronica di consumo.

Il caso Europa: un buon numero di aziende tech, ma ruolo marginale

L’Europa è numericamente presente con Paesi come Germania (40 aziende), Francia (34) e Regno Unito (45), ma il suo impatto reale nella top 100 è decisamente marginale. Solo ASML (Paesi Bassi) entra nella top ten. Nessuna azienda tedesca, francese o italiana compare nei primi 20 posti.

Le ragioni di questa debolezza sono strutturali e individuabili nella mancanza di poli di innovazione tecnologica comparabili alla Silicon Valley, nella propensione a calcare la mano su regole e burocrazia (che pur servono, ma nella proporzione giusta), nella scarsa propensione al rischio e alla scalabilità nel venture capital europeo, nella dipendenza da settori più tradizionali (automotive, manifattura) e nella minore attenzione ai settori ad altissima crescita come AI, semiconduttori e cloud.

Questa situazione espone il continente a un rischio strategico: essere sempre più “utente” e non “produttore” della tecnologia che governa il futuro. In poche parole, paghiamo la mancanza di una strategia seria e concreta che punti ad una reale indipendenza tecnologica e digitale.

Israele, India, Taiwan: piccoli Paesi, grandi ambizioni

Altri Paesi si distinguono per densità tecnologica e dal Medio Oriente e il resto dell’Asia arrivano quelle che potremmo definire le vere sorprese del settore tecnologico mondiale.

Una su tutte, ad esempio, è Israele, che piccolissimo come Paese conta 46 aziende, fucina in crescita di soluzioni cybersecurity, AI e med-tech.

Poi c’è l’India, grazie a colossi come Infosys, Tata Consultancy e alle crescenti startup, che sta emergendo sempre più come hub globale di servizi digitali.

Infine, la già nota Taiwan, con TSMC in testa, al centro da tempo della geopolitica dei semiconduttori (e delle tensioni purtroppo crescenti nel Pacifico tra Cina e Stati Uniti): senza i suoi chip, nessuna AI potrebbe funzionare, ma anche tanta altra tecnologia di punta sarebbe molto indietro rispetto al livello raggiunto oggi (dal supercalcolo al 5G, passando per la robotica).

Tecnologia = potere?

Questa classifica delle 100 aziende tech più capitalizzate al mondo non rappresenta solo un dato finanziario: è la mappa del potere globale. Chi domina la tecnologia oggi, controlla le leve dell’economia, della Difesa, dello Spazio e dell’informazione (quindi della comunicazione e della connettività globale multidominio).

Se estendiamo la classifica dalla Top 100 a alla Top 1000 delle imprese tecnologiche su scala planetaria, vediamo che ben 505 sono americane e che le aziende USA rappresentano oltre metà del valore complessivo del market cap.

In uno scenario simile, è chiaro che il mondo corre il rischio di essere fortemente polarizzato (USA o Cina?), con una Europa spettatrice e qualche attore minore ad alta intensità tecnologica che cerca di ritagliarsi un ruolo.

La sfida per i prossimi anni sarà ridurre la concentrazione e riequilibrare il potere, ma per riuscirci, servono visione politica, investimenti strutturali e un’industria tecnologica europea finalmente ambiziosa e che con maggiore coraggio e consapevolezza punti ad occupare un posto di rilievo sullo scacchiere mondiale..

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