Lo scenario

Big data in città, come evitare lo tsunami di dati?

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Entro il prossimo anno avremo 3,3 miliardi di oggetti connessi nelle smart city di tutto il mondo. Nasceranno nuovi data center e il flusso dei dati sarà enorme. Come gestirlo? Qualcuno scommette sulle memorie SSD.

Le città sono sempre più grandi, ma soprattutto sempre più connesse in rete. Come giustamente è stato detto in più sedi, le città del nuovo millennio torneranno ad essere delle ‘Città Stato’, avranno mano libera sui mercati finanziari e rappresenteranno una fetta significativa del prodotto interno lordo di una nazione.

Motori dell’economica, delle trasformazioni sociali e delle novità culturali, centri promotori della trasformazione digitale, le smart city rappresentano il nuovo modello di sviluppo urbano e saranno caratterizzate da altissima connettività.

Secondo proiezioni Gartner, l’internet delle cose in città arriverà a connettere tra loro più di 2,3 miliardi di oggetti e dispositivi entro la fine del 2017.

La maggior parte di queste connected things riguarderà le strutture commerciali (733,7 milioni di oggetti connessi in rete), seguite dalle case 2.0 (621,8 milioni), dai trasporti (492,2 milioni), dalle aziende energetiche (380,6 milioni), la Pubblica Amministrazione (133,1 milioni), la sanità (8,4 milioni).

Sempre secondo la ricerca, entro il prossimo anno, gli oggetti connessi in rete dovrebbe superare la soglia dei 3,3 miliardi.

Tra i diversi problemi che queste cifre portano con sé, certamente c’è quello dell’immenso flusso di dati che sarà generato dall’Internet of Things in città. Ogni giorno sono generati 2,5 exabytes di dati e tale soglia di traffico raddoppia ogni 40 mesi.

Una mole di dati giornalieri impressionante, che pone diversi interrogativi, tra cui: come facciamo a gestirli? Come possiamo evitare di essere travolti da un vero e proprio tsunami di dati?

Certo è impensabile che le persone usino meno i loro dispositivi portatili o

In un articolo su IT ProPortal, Laurence James, manager di NetApp, suggerisce di promuovere l’utilizzo di memorie flash all’interno dei data center adibiti a gestire i big data generati dalle smart cities.

Si tratta di unità a stato solito, o di dischi a stato solito, conosciute come SSD, dall’inglese Solid state drive, cioè tipologia di memorie di massa basate su un semiconduttore che sfrutta memorie allo stato solido per l’archiviazione di dati.

Le server farm dovranno essere posizionate nell’area metropolitana però, perché altrimenti i consumi energetici saranno troppo elevati e di contro troppo bassi i livelli di efficienza dell’infrastruttura.

Due esiti che male si conciliano con le prerogative delle città intelligenti.

Ecco perché si deve cercare di aumentare la capacità delle memorie e allo stesso tempo di occupare meno spazio possibile. In tal modo i data center potrebbero davvero rimanere in città senza consumare troppo (sappiamo quanta energia generano nel funzionamento e quanta ne serve per il raffreddamento) e nel contempo assicurando un basso impatto ambientale.

Entro il 2018, al più tardi il 2019, Toshiba ha già annunciato l’arrivo di unità SSD da 128 terabyte. La capacità di memoria dei dischi SSD è comunque destinata a crescere ancora, fino a raggiungere e superare quella attualmente disponibile nei dischi fissi tradizionali.

A causa della scarsa disponibilità sul mercato delle memorie Nand, infine, secondo un recente Rapporto DRAMeXchange, è atteso un aumento del prezzo delle unità SSD di circa il 10% nei prossimi mesi.