Competenze

Big data e competenze digitali, nasce Gruppo di lavoro del Miur

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L’Italia del digitale arranca, servono competenze nuove e un cambiamento culturale che coinvolta sia le aziende, sia i cittadini, sia la Pubblica Amministrazione. Il Ministero dell’Istruzione annuncia la costituzione del Gruppo di lavoro sui Big Data.

Servono nuove competenze per affrontare la sfida della digital transformation. L’Italia è carente da questo punto di vista e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) ha il compito di provvedere ad un’offerta formativa di qualità, efficace e al passo con i tempi, in grado di ‘creare’ la tanto attesa ‘domanda’ (dai servizi ai contenuti).

Tempi caratterizzati da un’innovazione tecnologica velocissima, molto più rapida della risposta delle Istituzioni, sempre in ritardo fino ad ora. Il livello di copertura delle competenze nella Pubblica Amministrazione è al 37% per quella locale e del 41% per quella centrale (dati dell’Osservatorio delle Competenze Digitali per il 2015). Va un po’ meglio per le società in house delle Regioni e delle Province al 67% e nelle aziende ICT con il 73%.

È chiaro che è dalla scuola e dalle università che si deve partire per migliorare questi dati, che in alcuni casi sono davvero allarmanti. Il 60% delle aziende tecnologiche e degli enti pubblici ha instaurato rapporti continuativi con il mondo accademico, proprio per assorbire risorse già formate o in via di completamento della formazione.

 

Il Gruppo Big Data del Miur

A tal fine è stato costituito presso il Miur il Gruppo di lavoro sui Big Data, per avviare una riflessione condivisa e strategica sull’argomento, finalizzata a mettere a punto nuovi approcci e formulare di decisioni di crescente rilevanza scientifica, amministrativa e politica.

Il settore scolastico nel suo complesso, universitario, della ricerca e dell’alta formazione artistica e musicale, infatti, contribuisce quotidianamente alla creazione dei big data. Il Miur intende avviare un’analisi finalizzata alla valorizzazione degli stessi a sostegno delle decisioni di sistema, all’individuazione delle traiettorie di sviluppo e a come l’Italia potrebbe intercettarle.

I componenti del Gruppo di lavoro sono Fabio Beltram, Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, a cui sono affidate le funzioni di Coordinatore; Roberto Torrini, direttore dell’Anvur; Francesco Castanò, Direttore centrale per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione dell’Istat; Luca De Biase, saggista e Direttore di Nòva24 del Sole 24 Ore; Sabrina Bono, Capo del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane e finanziarie del Miur; Letizia Melina, Direttore generale per lo studente, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione superiore del Miur; Donatella Solda, membro della Segreteria Tecnica del Miur; Davide D’Amico, Dirigente Direzione Generale per il Personale Docente sempre del Miur.

L’Italia digitale che non c’è

l’Italia deve fare progressi sul fronte della domanda, a partire dai cittadini quindi (ipoteticamente gli smart citizens), dal momento che lo sviluppo dell’economia digitale sembra essere frenato dal basso livello di competenze digitali (solo il 59% degli utenti, una delle percentuali più basse dell’UE, usa abitualmente internet e il 31% della popolazione italiana non lo ha mai utilizzato) e dalla scarsa fiducia (solo il 42% degli utenti di internet utilizza i servizi bancari online e il 35% fa acquisti online).

Questo ci dice il Digital Economy and Society Index (Desi) – indice dell’economia e della società digitali- per il 2015, con un terzo della popolazione non è in grado di cogliere le opportunità offerte dalla rete, né può contribuire all’economia digitale.

L’Italia deve colmare questa grave lacuna. Le competenze digitali sono oggi indispensabili per tutti i lavoratori, e il fatto che la metà della popolazione italiana non abbia nemmeno le competenze digitali di base può ostacolare in modo significativo lo sviluppo economico del paese. In Italia si registra anche una bassa percentuale di laureati nelle materie ‘Stem’ (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica): l’1,3% degli italiani tra i 20 e i 29 anni, percentuale insufficiente per un’economia avanzata nell’era digitale.