Tecnologie

Batterie nucleari: piccoli generatori di energia atomica a lunga durata. A cosa servono?

di Federico Sesler, Presidente CISINT - Centro Italiano di Strategia e Intelligence |

Le batterie nucleari (o batterie atomiche) rappresentano una tecnologia unica nel panorama energetico con utilizzi che svariano dall'ambito spaziale a quello medico, passando per quello militare e industriale.

Le batterie nucleari (o batterie atomiche), più correttamente definite Generatore Termoelettrico a Radioisotopi (RTG, Radioisotope Thermoelectric Generator) o celle Betavoltaiche, rappresentano una tecnologia unica nel panorama energetico. Sfruttano il decadimento radioattivo controllato di isotopi stabili per generare elettricità, offrendo un’alimentazione continua e affidabile che può durare per decenni o addirittura secoli, senza la necessità di ricarica o manutenzione.

I Principi Operativi: RTG e Betavoltaiche

A differenza delle centrali nucleari che utilizzano la fissione a catena per la produzione massiva di energia termica, le batterie nucleari utilizzano il rilascio lento e costante di energia derivante dal decadimento (disintegrazione) di un radioisotopo. Queste batterie si distinguono in due tipologie, basate su altrettanti meccanismi di conversione: i Generatori Termoelettrici a Radioisotopi (RTG) e le Celle Betavoltaiche.

RTG le batterie nucleari più note

Quelle di tipo RTG sono le batterie nucleari più note, ampiamente utilizzate nelle missioni spaziali come le sonde Voyager e il rover Curiosity. In esse l’isotopo radioattivo (spesso il Plutonio 238) subisce un processo di decadimento alfa, a causa del quale rilascia calore. Questo calore viene convertito in energia elettrica utilizzando l’effetto Seeback, secondo il quale una differenza di temperatura applicata a un circuito composto da materiali semiconduttori (le termocoppie) genera corrente elettrica. Gli RTG sono caratterizzati da una estrema affidabilità, sono robusti e possono generare energia per decenni, tuttavia hanno un’efficienza di conversione relativamente bassa.

Celle betavoltaiche tecnologia più recente

Le celle betavoltaiche sono una tecnologia di più recente, concentrata sulla miniaturizzazione. Tramite isotopi, vengono emesse particelle beta (elettroni), come il Nickel 63 oppure il Trizio. Le particelle beta vengono sparate contro un materiale semiconduttore (spesso silicio oppure, nei prototipi più innovativi, il diamante artificiale). Il semiconduttore assorbe l’energia degli elettroni e la converte direttamente in corrente elettrica. Si tratta, in buona sostanza, di un processo equiparabile a quello utilizzato per la produzione di energia tramite le celle solari, però alimentato internamente. Le celle betavoltaiche si presentano più compatte e hanno una migliore efficienza di conversione rispetto agli RTG per applicazioni che richiedono una bassa potenza. Le recenti “batteria al diamante” al Carbonio 14, inoltre, propongono di riutilizzare le scorie nucleari come sorgente energetica.

I Vantaggi Chiave: Autonomia e Affidabilità

Il fascino che avvolge le batterie nucleari risiede nelle loro prestazioni uniche. Innanzitutto, sono dotate di una longevità molto elevata, infatti la loro durata è determinata dal tempo di dimezzamento dell’isotopo utilizzato (in base all’indice “emivita” che ne misura la stabilità a grandi linee). Il Plutonio 238 ha un’emivita di circa 87,7 anni, mentre il Nickel 63 di circa 100 anni. Ciò garantisce un’alimentazione stabile per tutta la vita utile della maggior parte dei dispositivi.

Le batterie nucleari hanno anche una densità energetica teorica di molto superiore a quella delle tradizionali batterie chimiche agli ioni di litio, rendendole ideali per alimentare dispostivi che operano senza accesso a fonti di ricarica. Esse possono operare in un intervallo di temperature estreme (da -60°C a 120°C), requisito questo considerato fondamentale per le missioni spaziali o per sensori in ambienti ostili.

Applicazioni Esemplari e Prospettive Future: dallo Spazio, alla Medicina al Militare

Le batterie nucleari hanno un ruolo cruciale in diversi settori. Ad esempio, nell’esplorazione spaziale poiché sono insostituibili per l’alimentazione a lungo termine di veicoli spaziali oltre l’orbita marziana, dove la luce solare è troppo debole per essere sfruttata in un dispositivo fotovoltaico, oppure per i lander che operano sulla superficie lunare durante la notte.

In medicina le celle betavoltaiche sono state impiegate in passato per alimentare pacemaker e sono ancora studiate per alimentare altri dispositivi medici impiantabili a lunga durata, eliminando la necessità di interventi chirurgici per la sostituzione della batteria.

In ambito militare e in zone geografiche remote, le batterie nucleari posso alimentare fari automatici, stazioni di monitoraggio sismico e sonar sottomarini in luoghi isolati o di difficile accesso.

Riciclo delle scorie

La ricerca attualmente in corso si concentra sulla miniaturizzazione per l’elettronica di consumo (come i prototipi di batterie al Nichel 63 per smartphone o droni) e sull’utilizzo del Carbonio 14 proveniente da scorie nucleari per creare la così detta “batteria al diamante”, trasformando i rifiuti a lunga vita in energia utile.

Fino a 50 anni di alimentazione senza ricarica

Lo sviluppo più discusso riguarderebbe la produzione commerciale e la miniaturizzazione di prototipi da parte di aziende cinesi. Infatti un’azienda cinese ha annunciato di aver portato un prototipo di batteria betavoltaicha al Nichel 63 in una fase di produzione pilota/di massa. Questa batteria, che ha le dimensioni di una moneta e una potenza molto bassa (nell’ordine dei microwatt), promette di alimentare dispositivi per 50 anni senza ricarica. Sebbene la potenza attuale sia insufficiente per alimentare uno smartphone moderno da sola, la tecnologia è considerata un punto di svolta per i dispositivi a basso consumo (come sensori, Internet of Things, droni a lunga autonomia) e per dispositivi medici impiantabili.

Parallelamente, la ricerca si concentra sul miglioramento dei materiali semiconduttori, Ad esempio, istituti in Corea del Sud stanno esplorando l’uso di perovskite nelle celle betavoltaiche al fine di aumentarne l’efficienza di conversione energetica rispetto ai semiconduttori tradizionali.

Un altro filone di ricerca molto attivo riguarda l’utilizzo del Carbonio 14, estratto dalla grafite radioattiva dei vecchi reattori nucleari dismessi. I prototipi sviluppati in Giappone, Regno Unito e Corea del Sud utilizzano il Carbonio 14, un isotopo provvisto di un’emivita di circa 5730 anni, incapsulandolo in diamanti artificiali (che agiscono da semiconduttori e da schermatura). L’obiettivo è duplice: creare una batteria che abbia una durata virtualmente illimitata (migliaia di anni) e trasformare le scorie nucleari a lunga vita (come la grafite attivata) in una fonte di energia pulita e a lungo termine.

Sicurezza e Considerazioni Etiche

Sebbene il termine “Nucleare” possa evocare timori e diffidenza, le batterie di questo tipo sono sicure per gli utenti, poiché sono dotate di una schermatura e il materiale radioattivo è contenuto in un involucro resistente e stratificato, in grado di schermare completamente le radiazioni all’esterno del dispositivo. Inoltre non vi è rischio di esplosione o reazione a catena, in quanto l’energia viene rilasciata solo tramite un graduale decadimento controllato.

Al termine del loro ciclo di vita, cioè quando l’isotopo è decaduto, l’elemento radioattivo si trasforma in un elemento stabile (ad esempio, il Nichel 63 diventa Rame 63), riducendo significativamente l’impatto ambientale delle scorie a lungo termine.

Sebbene la produzione d massa sollevi questioni sulla disponibilità degli isotopi (come il Plutonio 238, raro e costoso) e sulla gestione iniziale del materiale, l’innovazione continua a spingere queste batterie come soluzione rivoluzionaria per l’alimentazione ultra-longeva e autonoma. Inoltre, la ricerca sulle batterie nucleari è diventata un campo di competizione internazionale. Oltre ai noti sviluppi cinesi, anche Corea del Sud e Giappone hanno presentato prototipi innovativi. L’interesse in Europa e negli Stati Uniti rimane alto, soprattutto nel settore della difesa e aerospaziale, riconoscendo il potenziale di queste batterie nel ridurre la dipendenza dalle tradizionali fonti di accumulo in contesti strategici e remoti.

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