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Banda Ultralarga: la sparata su Enel che mette in difficoltà il Governo Renzi

Raffaele Barberio

C’è da rimanere sconcertati dalla lettura dell’articolo pubblicato sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica.

Alle significative rivelazioni annunciate nel titolo, Ecco il piano delle Tlc banda ultralarga all’Enel “Telecom non basta più”, non segue infatti null’altro di nuovo.

Tutte le informazioni dichiarate erano già note, perché riportate proprio su queste pagine, con un articolo di Key4biz del 17 aprile scorso: Banda Ultralarga: ecco il progetto dell’Enel per entrare in partita. Un articolo più che dettagliato e con stralci del documento originale inviato tre giorni prima, il 14 aprile scorso, da Enel ad AGCOM.

L’articolo di Repubblica “svela” invece il documento dell’Enel del mese scorso come fonte rivelatrice di una nuova scelta forte del governo e come se questo stesso documento (peraltro abbastanza generico e privo di elementi forti) accreditasse una svolta copernicana nel futuro della banda ultralarga italiana.

In verità, nulla di tutto ciò.

Ma allora se non vi è nulla di nuovo, perché Repubblica è uscita in modo così vistoso e urlato?

Qual è la ragione politica di un’uscita così immotivata?

Perché ci si richiama più volte nell’articolo a decisioni governative, presuntamente dell’ultima ora, su fatti retrodatati di quasi un mese?

Per capirne di più occorre procedere con ordine, non solo rileggendo l’articolo di Repubblica e facendo qualche considerazione di merito, ma anche richiamando il contesto nel quale questa uscita fuori dalle righe del quotidiano di De Benedetti ha preso corpo.

Il governo Renzi, Telecom Italia e i 6 miliardi di euro che fanno gola

 

Il governo approva ai primi di marzo la Strategia del governo per la banda ultralarga.

L’azione del governo prevede tre elementi forti:

1) assicurare al paese un’infrastruttura di banda ultralarga;

2) sostenere l’investimento con 6 e passa miliardi di euro di provenienza nazionale ed europea (fondi Fesr, Feasr e Coesione), che potranno essere utilizzati solo in cofinanziamento precedendo l’investimento di operatori privati per un importo di uguale valore

3) assegnare a Metroweb, la società della fibra partecipata da Cassa Depositi e Prestiti, il ruolo di “società veicolo”.

Il prerequisito perché tutte e tre le circostanze del progetto si verifichino è che tutti gli operatori devono accettare di stare nel progetto governativo, ovvero in Metroweb. Così non è perché Telecom Italia condiziona il proprio ingresso in Metroweb all’acquisizione di una quota maggioritaria della società, circostanza che ovviamente non viene accettata dagli altri operatori.

In sostanza Telecom Italia fa resistenza al progetto governativo e dichiara di voler procedere autonomamente. In questo caso, si dirà, in Italia avremo almeno due reti in fibra.

Ma sarà così?

I 6 miliardi di euro provenienti dalle casse pubbliche (nazionali ed europee), non possono essere usati se non attraverso un progetto ecumenico che coinvolga tutti gli operatori.

I fondi pubblici non possono, infatti, essere usati per creare condizioni di svantaggio ad altri soggetti operanti sul medesimo mercato.

Ma allora se gli operatori non staranno tutti sulla stessa barca, sarà vietato usare soldi pubblici. E’ possibile, sia chiaro, che questi ultimi essere impiegati da un soggetto pubblico o a maggioranza pubblica (come Enel) “solo ed esclusivamente” nelle aree corrispondenti ai cosiddetti Cluster C e D, indicati nella Strategia del governo come aree a fallimento di mercato.

In tal senso, è sbagliato, come scrive Repubblica, indicare in ENEL il soggetto prescelto dal governo in sostituzione di Metroweb: perché ENEL con i soldi pubblici potrà eventualmente impegnarsi solo in aree a fallimento di mercato, con l’obiettivo di contrastare il digital divide (ovvero una parte molto limitata del territorio nazionale, basso spendente, a scarsa densità abitativa).

Perché Repubblica sbaglia mira

Invece l’articolo pubblicato sul giornale di De Benedetti ci dice molte altre cose, tutte inesatte.

E ora cosa accadrà?

Difficile dirlo. La matassa si sta ingarbugliando al di là di ogni possibile previsione.

Il governo porta purtroppo a casa il no di Telecom Italia ad un’azione congiunta di tutti gli operatori.

Questo complica maledettamente tutto. In caso di assenso di tutti gli operatori sarebbe stato semplice declinare quei decreti attuativi dello Sblocca Italia, al momento congelati, per definire il chi, il come, il con quale ruolo e in quanto tempo delle quote di finanziamento agevolato, di fondo perduto e di agevolazione alla domanda.

Invece, dopo il no di Telecom Italia, le risorse pubbliche potranno essere usate solo in aree di digital divide: ben poca cosa, tant’è che molti soldi non potranno essere investiti.

C’è da chiedersi a chi si deve la costruzione di uno scenario così incartato e così apparentemente privo di vie d’uscita.

Per usare un gergo pokeristico, i contendenti dichiarano tutti full e scale reali, ma a guardar dietro le carte spuntano solo doppie coppie o tutt’al più tris.

La regola d’oro per tutti sembra essere quella del “durare un secondo, un solo secondo, più dell’avversario”.

In tale contesto l’uscita di Repubblica rientra nello scenario confuso che colora ormai da mesi l’intera vicenda.

Resta da chiedersi perché una testata così autorevole abbia deciso una uscita del genere.

A questo punto datevi voi una risposta.

Intanto, mentre noi tutti stiamo aspettando una soluzione che assicuri al paese la banda ultralarga, Enel e Telecom Italia a partire dalla prima mattinata hanno perso terreno in Borsa…

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