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Bambinidigitali. L’educazione digitale nasce nel momento in cui il bambino viene al mondo

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L’educazione digitale nasce nel momento in cui il bambino viene al mondo, se non prima nel rispetto della sua identità digitale, nella famiglia che orienta e supporta la scoperta del digitale da parte del bambino, prosegue nella Scuola che collabora e sostiene la famiglia in questo percorso e che si avvale, anche e non solo, della tecnologia per far azionare leve motivazionali trasversali a tutti i bambini (nonché adulti che hanno conservato il loro spirito investigativo).

La rubrica Bambinidigitali, a cura della dott.ssa Barbara Volpi – Psicologa, Psicoterapeuta, Specialista in Psicologia Clinica, PhD in Psicologia Dinamica e Clinica Sapienza di Roma – ha l’obiettivo di analizzare i rischi e i pericoli che corrono i minori in rete. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Il bambino è curioso lo si sa. L’adulto ha imparato a regolare la sua curiosità e a volte, l’averla persa porta ad una demotivazione generale che lo rende pigro e poco incline a sperimentare attività e progetti nuovi. Ci si aggrappa alle consuetudini, alle abitudini e molto spesso gli adulti perdono di vista la curiosità del bambino che tende così a fare da solo ed alimentare la sua conoscenza del mondo con gli strumenti che trova a portata di mano.

Che cos’è per un bambino di un anno un tavolo, si chiedeva Gianni Rodari nella sua Grammatica della Fantasia?: “è un tetto. Ci si può accucciare là sotto e sentirsi padroni di casa: di una casa su misura, nonché così grande e terribile come la casa dei grandi”[2010, p.99].

Oggetto inanimato che si può spostare, che si può ricoprire, che funge da supporto ma che per animarsi ha appunto bisogno della fantasia del bambino, che immagina, crea, gioca, condivide [il circuito del Tinkering di Resnick sul quale ritorneremo- Resnick & Rosenbaum, 2013] con la mamma, i fratellini, e i nonni, e poi ci ripensa, rivive, ricostruisce immagini che suggellano il suo gioco e nel contempo la sua crescita nel mondo.

Il pensiero si anima e si costruisce immaginando scenari nuovi, costruendo storie, da storie che il bambino ha ascoltato, storie che si è divertito ad inventare in cui si è cimentato ad essere il re, il principe a cavallo, sperimentando il suo voler essere altro, al di fuori del sé.

Gli oggetti inanimati del gioco si trasformano nell’era digitale in strumenti che interagiscono con noi, che indirizzano le nostre scelte e lo stesso nostro intrattenimento che ci guidano e assorbano al bambino, se non correttamente gestiti, quella dose di inventiva che ha bisogno di essere alimentata e coltivata nel corso delle diverse esplorazioni. È per questo che il bambino, soprattutto molto piccolo, non deve essere lasciato solo davanti agli schermi digitali, ma deve essere nutrito di dosi generose di condivisioni reali, in cui gli oggetti inanimati, il cavallo di peluche, la matita, la carta prendono forma e si animano sulla leva della motivazione base dell’apprendimento che è la curiosità. Gli studi scientifici ce lo dimostrano, apprendiamo di più se siamo interessati, ma anche se partecipiamo direttamente alla costruzione della nostra conoscenza, in un percorso di crescita e condivisione con l’altro che è la leva per la co-costuzione di apprendimenti successivi.

La Scuola Digitale, piuttosto che concentrarsi sul divieto di portare o meno cellulari in classe [come se la distrazione digitale del controllo di notifiche Whatsapp fosse tema di legittimità formativa] o di bloccare l’esempio poco educativo di Professori che nelle ore di didattica usufruiscono del cellulare [ed in questo caso occorrerebbe discutere sull’etica professionale], dovrebbe rispolverare le nozioni base che agiscono da leva motivazionale dell’apprendimento del bambino e ricordare che la spinta della curiosità è uno dei motori più importanti per catturare l’attenzione e dirigere l’assimilazione di conoscenze, che si tradurranno poi, in competenze.

Il dovere formativo della Scuola è quello di orientare la crescita delle nuove generazioni verso la società del futuro, che si sta definendo sullo sviluppo di nuove competenze e nuove professioni in cui l’utilizzo delle nuove tecnologie è sì un punto cardine rappresentativo, ma nel quale è fortemente implicita la considerazione che per far funzionare bene una macchina occorre usare la mente. Mente che agisce, regola, e fa agire i dispositivi digitali, senza farsi prevaricare da comportamenti passivanti nella considerazione onnipresente dei meccanismi che regolano il funzionamento mentale che, sempre in relazione all’altro e con l’altro, si forma, agisce, si regola, apprende, trasmette ed elabora informazioni.

Se un bambino autodidatta non esiste è addirittura lapalissiano dire che il bambino digitale nasce con una mente digitale già formata che può agire in maniera consapevole e responsabile da solo sull’azione digitale. Occorre saper interpretare linee guida e considerazioni scientifiche che sostengono tutte la priorità dei momenti di crescita sani all’interno di una traiettoria di sviluppo, in cui gli strumenti se adoperati in sostituzione a richieste affettive, possono creare disturbo soprattutto in aree importanti come l’addormentamento e la costruzione di linguaggi primari condivisi.

Errore educativo e formativo che la società digitale dovrebbe iniziare a prendere in considerazione ancor prima di attuare riflessioni e piani d’azione che sembrano orientati a riparare il danno di una prevenzione primaria fallimentare.

L’educazione digitale nasce nel momento in cui il bambino viene al mondo [se non prima nel rispetto della sua identità digitale] nella Famiglia che orienta e supporta la scoperta del digitale da parte del bambino, prosegue nella Scuola che collabora e sostiene la famiglia in questo percorso e che si avvale, anche e non solo, della tecnologia per far azionare leve motivazionali trasversali a tutti i bambini [nonché adulti che hanno conservato il loro spirito investigativo]: la CURIOSITA’ in primis.

Bibliografia

Rodari G., [1980}, Grammatica della Fantasia, Einaudi Ragazzi 2010.

Resnick, M., & Rosenbaum, E. (2013). Designing for Tinkerability. In Honey, M., & Kanter, D. (eds.), Design, Make, Play: Growing the Next Generation of STEM Innovators, pp. 163-181. Routledge.

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