Key4biz

Autonomia differenziata, Europa, costituzionalismo, Lep e macro-regioni

BERLIN, GERMANY - MAY 26: People walk across carpeting with the flag of the European Union at the headquarters of the German Christian Democrats (CDU) during European parliamentary elections on May 26, 2019 in Berlin, Germany. Today is the last day voters across the European Union are voting to determine the distribution of the current 751 seats of the European Parliament. Official results are expected for later tonight. (Photo by Sean Gallup/Getty Images)

Su quanto “sgangherata” sia questa anti-riforma di autonomia differenziata lo dicono i fatti prima di autorevoli costituzionalisti (Zagrebelsky, Cassese, Ainis pur con toni diversi). Autonomia Differenziata che si potrebbe anche fare sapendo dove ci porta e purchè incardinata per via legislativa alla definizione di specifici e ben definiti LEP (livelli essenziali delle prestazioni) che garantiscano uniformità presente e convergenza futura e dimostrino di superare le scandalose iniquità del divario regionale attuale, stampate da decenni nelle dolorose migrazioni per sanità, studio e lavoro. Ma la domanda è: serve? Basterebbe seguire quanto si fa già in Europa: (A) definire standard uniformi per spingere verso la riduzione delle diseguaglianze per la “Grande Convergenza tra Paesi “, mettendo ordine innanzitutto nel caos burocratico-normativo, giurisprudenziale, normativo-disciplinare accumulato in oltre mezzo secolo senza aver mai razionalizzato nè  semplificato; (B) partendo – per definire i LEP – dagli esiti delle politiche pubbliche in primis dai livelli di povertà, sanitari, educativi, gender, infantili, di vulnerabilità (dove siamo stati bacchettati dalla Commissione UE negli ultimi mesi e anni) con un report comparativo annuale sulle prestazioni regionali per fotografare criticità e soluzioni possibili.(C) Definendo un quadro di indicatori di qualità da applicare ad un gruppo di “Regioni/Comuni pilota” che la UE già offre e potrebbe essere utilizzato per fotografare scostamenti di qualità ed efficacia delle prestazioni offerte per migliorarle verso superiore omogeneità che è il cuore di una cittadinanza attiva non riducibile alla negoziazione contrattata di risorse tra Nord e Sud distorte peraltro da asimmetrie politiche tra amministrazioni di destra e sinistra.  (D) Analisi e calcoli da affidare ad una Agenzia Indipendente, magari nominata dal Presidente della Repubblica che duri in carica 7 anni e sottratta ad influenze politico-ideologiche.

Dunque strumenti e azioni di “allineamento” inter-regionale/intra-regionale per produrre una integrazione dinamica (“e non disintegrazione del già disintegrato”) per omogeneità convergenti nella pluralità per fare system building interregionale tra più regioni entro confini macro-regionali.

 In primo luogo, perché in un mondo globalizzato conta la forza sistemica di territori integrati e uniti proprio nella loro diversità plurale e ricchezza differenziata. Territori che cooperano localmente per competere globalmente – non tra loro ma – verso competitors globali come USA e Cina, oltre che “contare” di più in Europa, cosa che non può fare ogni regione in solitudine, nemmeno le più ricche e forti, visto il gioco allargato che è intervenuto negli ultimi 50 anni (nelle strategie commerciali, sulle frontiere tecnologiche, nelle competenze estese, ecc.) .

 In secondo luogo, per la posizione geo-strategica che fa dell’Italia più un’isola che una penisola nel mezzo di un “lago semi-chiuso” Mediterraneo che fa da ponte logistico, economico e culturale tra est e ovest, e tra Nord e Sud, come dice Lucio Caracciolo. Unico paese fondatore dell’Europa mediterranea non bagnata da acque atlantiche. Dunque in una posizione geo-strategica fondamentale che connette Colonne d’Ercole a ovest e Mar Rosso a est nel mezzo delle grandi linee di navigazione che consentono di tagliare la circumnavigazione dell’Africa che costerebbe al pianeta 8-10 gg in più per ogni viaggio come mostrano i tragici war games attuali e le minacce Houti dalla Porta dello Yemen robotizzata dall’Iran.

Per questo e in terzo luogo, anche se non siamo (ancora) un paese marittimo nonostante gli oltre 8mila km di coste appoggiate nel cuore del Mediterraneo come una portaerei terrestre prima o dopo dovremo diventarlo, perché non dimentichiamolo mai che siamo un paese manifatturiero, agro-industriale e turistico-culturale insieme: le merci e le persone viaggiano (e viaggeranno ancora) su navi innanzitutto e poi anche su treni oltre che su gomma. Dunque a tutti coloro che si sciacquano la mente con il Made in Italy diciamo che questo non si fa con la somma di 20 Made-in-Italy Regionali ma con la coesione integrata della pluralità e diversità di queste regioni integrandone i loro portafogli produttivi e commerciali locali/ multi- locali (dal food al turismo, dalla casa alla cantieristica, dall’arredo al calzaturiero all’abbigliamento, dall’high tech alla cultura materiale), come ricchezza e opportunità, come fonte di creatività e innovazione sociale tanto più potente quanto più condivisa territorialmente e sistematizzata in un quadro di politica industriale (di breve e medio-lungo termine) di cui non vediamo traccia alcuna ( se non con divieti come la carne coltivata) e imposta dalle traiettorie di di convergenza tra digitale e sostenibilità.

Ciò significa unità nelle diversità delle loro reti produttive  e commerciali che saranno valorizzate se produrremo l’integrazione delle infrastrutture (macro-regionali e nazionali integrate nell’Europa allargata anche ai paesi dell’Est, Ucraina compresa) trasportistiche, energetiche, educative e sanitarie, ambientali (così come di sicurezza, difesa e commercio estero) che non possono essere “affettate e delegate” alle regioni ormai troppo piccole per governare tali complessità e realizzare capacità di resilienza diffusa. Per evitare l’esplosione di duplicazioni, inefficienze, burocratizzazione (ma anche carenza di competenze) già pesanti in un paese come l’Italia dove il “regionalismo” ha fallito, a Nord e a Sud e dove ora ci si vuole mettere “una toppa”…( “che se peso del buso come i dise a venesia“) come nel disastro sanitario di un universalismo assistenziale sempre più “monco” (da privatizzazione)  e degli annunci (come per gli Ospedali di Comunità, “idea preziosa” per una medicina di prossimità se dotata di risorse umane , finanziarie e tecnologiche che però non si vedono). Essendosi accresciute tutte le diseguaglianze territoriali che conosciamo: educative, sanitarie infrastrutturali e ambientali che ne bloccano la crescita (produttività) da oltre 30 anni. Per i bassi e insufficienti investimenti in ricerca e sviluppo, il calante sviluppo del numero di imprese e relativo tasso di imprenditorializzazione, per i bassissimi tassi di attività femminile e giovanile, per i tragici dati sui NEET (tra gli ultimi Europa) e per i “dannati” dati sull’evasione fiscale usati come leva di campagna elettorale con le tasse viste come “pizzo”(saldando no tax e no vax con no science e no pax). Non siamo più la “palestra imprenditoriale” degli anni 60 e 70 del secolo scorso in condizioni di produttività calante spinta dalla fragilità delle sue infrastrutture (fisiche e digitali, educative e formative, sanitarie ed economiche).

Dunque un paese che può ripartire e riformarsi se saprà unirsi e non dividersi in 20 staterelli inconsistenti e ininfluenti. Ecco perché dovremmo invece pensare ad andare in una direzione fortemente ” ricompositiva” (senza essere centralistica) del tessuto economico-territoriale e culturale del paese con macro-regioni e non micro-regioni che “chiuse nelle loro mura medioevali” rischiano di diventare nano-regioni, visto il calo demografico e d’imprenditorialità, i bassissimi tassi di attività femminile e giovanile e l’assenza di politiche familiari serie (nidi solo per il 25% della popolazione di nati 1-3 anni in media nazionale e al sud anche meno) e di integrazione migratoria accogliente e formativa per essere trasferita nei mercati del lavoro con efficacia vista la domanda urgente delle imprese (magari con un salario minimo ” umano e civile”). Definendo in questo modo una cornice federalista compatibile e complementare al contesto europeo emergente che dovremo provare a rafforzare con le elezioni prossime trasformando l’Europa in una Federazione forte con una difesa autonoma (+ NATO) e una politica estera (e dunque commerciale) comuni qualunque sia l’esito delle elezioni americane, ancora una volta unendo e non frammentando come vogliono gli autocrati interni ed esterni all’Unione Europea che ne attendono la disintegrazione. Infatti è paradossale che i “nostri nazionalisti-sovranisti” siano tra i fautori di questa “autonomia differenziata”, isolazionista e auto-sufficiente nonostante e anche attraverso i fondi PNRR.

 Si va in Europa con il Sud e non contro il Sud attraverso un “avventurismo ideologico senza visione”. Il civismo federalista europeo delle macro-regioni è allora l’antidoto: economico, storico e culturale, certamente etico e spirituale. Un testamento da consegnare alle nuove generazioni…per trattenerle e dando loro un futuro in una società democratica accogliente e sostenibile, aperta e solidale. Unendo la politica di macro-territori regionali per una cittadinanza dei diritti e dell’accesso attraverso un Civismo Europeista per un “risveglio di tutti i sud” – perché tutti siamo figli di un qualche sud e proveniamo da un qualche Nord – senza i quali rimarremo fermi nella migliore delle ipotesi.

Exit mobile version