Finestra sul mondo

Attentato a Londra, Elezioni Politiche in Regno Unito, Votazioni in Messico, Indipendenza Catalogna, Fusione Linde e Praxair

di Agenzia Nova |
Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Regno Unito, May risponde all’attentato di Londra con la promessa di leggi antiterrorismo

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, ha annunciato l’introduzione di nuove leggi antiterrorismo dopo l’attentato di sabato a Londra. Parlando all’esterno della residenza di Downing Street, la leader conservatrice ha affermato che c’e’ “troppa tolleranza dell’estremismo”, ha promesso una revisione della strategia e ha invocato accordi internazionali per regolare internet. “Non possiamo permettere che questa ideologia trovi lo spazio sicuro di cui ha bisogno per proliferare, eppure e’ precisamente cio’ che internet, e le grandi compagnie che forniscono servizi online, offrono. Dobbiamo lavorare con i governi democratici alleati per raggiungere accordi internazionali per regolamentare il ciberspazio al fine di prevenire la diffusione dell’estremismo e la pianificazione del terrorismo”, ha dichiarato May. La prima ministra ha lasciato intendere, inoltre, che le pene detentive per i reati di terrorismo, anche per le fattispecie relativamente meno gravi, potrebbero essere inasprite. May ha sottolineato che la militanza islamista e’ il tratto comune agli attentati di London Bridge, Westminster e Manchester: “E’ un’ideologia che costituisce una perversione dell’Islam e una perversione della verita’. Sconfiggerla e’ una delle piu’ grandi sfide del nostro tempo. Ma non la si puo’ sconfiggere solo con un intervento militare”. La premier ha quindi aggiunto che, nonostante i progressi degli ultimi anni, c’e’ “troppa tolleranza per l’estremismo”. Il suo discorso ha suscitato polemiche, accolto dall’opposizione come un tentativo di politicizzare l’accaduto in violazione dell’intesa sulla sospensione della campagna elettorale nazionale; il Labour, inoltre, l’ha attaccata per i tagli di risorse alla polizia.

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Messico, un voto contestato ma cruciale per il futuro politico del paese

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – Che fosse un’elezione dal risultato incerto, nessuno lo dubitava. Che le parti, ore dopo la chiusura delle urne, continuino a rivendicare la vittoria, e’ notizia in tutti i media messicani. In ballo ci sono le elezioni per la guida dello Stato di Messico, il piu’ importante delle trentuno unita’ amministrative che compongono quello che abitualmente conosciamo come il Messico. Le proiezioni diffuse dalle autorita’ elettorali assegnano la vittoria ad Alfredo del Mazo, erede di una dinastia di politici, candidato del Pri (Partido revolucionario institucional), la formazione politica cui appartiene il presidente Enrique Pena Nieto, di cui del Mazo e’ cugino. Appena dietro, c’e’ Delfina Gomez, maestra, origini umili, candidata del partito Morena (Movimento de regeneracion nacinoal). Del Mazo ha gia’ festeggiato in piazza il successo, ma lo staff di Delfina e i vertici del suo partito palano di un esito tutt’altro che scontato e, nonostante lo spoglio dei voti reali pare confermare la sconfitta, gia’ annuncia battaglia per la verifica “scheda per scheda” del voto. Il risultato contraddice parte delle inchieste e delle analisi fatte alla vigilia del voto, secondo cui gli undici milioni di elettori sarebbero stati piu’ propensi ad incoraggiare il nuovo di Delfina rispetto alla “nobilta’ decaduta” di del Mazo. Se confermato, il voto rappresenta un segnale incoraggiante per i partito di governo e per il presidente, i cui indici di popolarita’ sono da tempo bassi, complice una lunga sofferenza dell’economia, la continua emergenza sicurezza e, da ultimo, le incertezze legate al futuro delle relazioni con gli Stati Uniti. Il partito Morena punta a rompere il tradizionale quadro politico messicano composto dal Pri (la formazione che ha governato ininterrottamente per 71 anni), dal centrodestra del Pan (Partido de Accion nacional) e dal centrosinistra del Prd (Partido de la revolucion democratica). Alla sua guida c’e’ Andre’s Manuel Lopez Obrador, detto “Amlo”, due volte candidato alla guida del paese e nuovamente pronto a correre nelle elezioni del 2018. Su di lui si appuntano le speranze di una fascia di popolazione in fuga dalla politica tradizionale, anche in Messico oggetto di numerose cause giudiziarie, e i timori di chi ne denuncia le posizioni non lontane al neosocialismo coltivate in altri paesi della regione. Il suo partito e’ tra quelli che maggiormente si sono opposti alla profonda riforma energetica di Pena Nieto, legge che ha tra l’altro decretato la sostanziale fine del monopolio petrolifero della compagnia statale Pemex.

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Putin, su accuse interferenze russe, gli Usa sono “usciti di senno”

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – Il presidente russo, Vladimir Putin, ha concesso un’intervista esclusiva a Megyn Kelly, ex mezzobusto di Fox News passata alla rete Nbc, durante il Forum economico di San Pietroburgo della scorsa settimana. L’intervista si e’ ovviamente concentrata sulle interferenze di Mosca nel processo elettorale statunitense dello scorso anno, e sui presunti contatti tra Mosca e la campagna elettorale del presidente Usa Donald Trump. Le agenzie di intelligence Usa che hanno imputato a Mosca un’interferenza nelle elezioni “si sbagliano”, ha detto Putin. “Non stanno analizzando le informazioni nella loro interezza. Non ho mai visto, neanche una volta, una qualsiasi prova di una interferenza russa nelle elezioni presidenziali”. L’intervista ha vissuto diversi frangenti di tensione: alle incalzanti domande di Kelly, nota per la sua posizione apertamente critica nei confronti del presidente Usa Trump, Putin ha replicato con toni a meta’ tra l’incredulita’ e l’insofferenza. Le accuse mosse alla Russia dai Democratici statunitensi e dai media di quel paese sono “insensate”, ha detto il presidente russo, che ha derubricato l’intero scandalo “Russiagate” a una teoria del complotto. “C’e’ una teoria secondo cui l’assassino di Kennedy sarebbe stato organizzato dai servizi di intelligence Usa. Se questa teoria fosse fondata, e non e’ possibile escluderlo a priori”, l’intelligence Usa potrebbe aver anche fabbricato indizi falsi in merito al presunto hacking russo, ha detto Putin, con un richiamo evidente alle recenti rivelazioni di WikiLeaks. Putin si e’ detto del tutto all’oscuro dei contatti con il Cremlino imputati dai media statunitensi all’amministrazione Trump. Il presidente russo, ad esempio, ha spiegato di non essere mai stato informato di tentativi da parte del genero di Trump, Jared Kushner, di creare un canale di contatto diretto tra la Casa Bianca e il Cremlino. “Non so nulla di questa proposta. Non mi e’ mai stato riferito nulla di simile. Trovo tutto questo incredibile. Avete creato un polverone dal nulla, e (…) lo state sfruttando come arma contro il presidente in carica”, ha detto l’inquilino del Cremlino. Putin ha smentito tassativamente di disporre di presunte “informazioni personali compromettenti” in merito al presidente Usa. “Moltissimi cittadini statunitensi ci fanno visita. Credete davvero che i russi raccolgano informazioni compromettenti a loro carico, o qualcosa del genere? Siete tutti usciti di senno?”. Putin ha replicato con particolare durezza alle domande riguardanti le accuse di repressione del dissenso e dei diritti civili in Russia. “Per quale ragione ritiene di avere il diritto di porci domande simili?”, ha detto Putin, che ha poi ribaltato sugli Usa le accuse di influenze politiche indebite. “Metta il dito su un punto qualunque del mappamondo, e ovunque sentira’ rimostranze sulle interferenze dei funzionari Usa nei processi elettorali”. Alla replica della giornalista – “Questa frase suona come una giustificazione” – Putin ha risposto: “Non lo e’ affatto. E’ la constatazione di un fatto. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”.

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Spagna, la battaglia sull’indipendenza della Catalogna entra nel vivo

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – La battaglia per l’indipendenza della Catalogna entra nel vivo. In settimana, scrive il quotidiano “El Pais”, il presidente del governo locale Carles Puigdemont dovrebbe annunciare la data e la domanda del referendum sul quale ha scommesso praticamente l’intera posta del suo mandato. Una convocazione che con altre sentenze la giustizia spagnola ha praticamente reso illegale in anticipo e che il governo di Mariano Rajoy continua ad assicurare che non si dovra’ tenere. In questa partita a scacchi, che dura da quasi cinque anni, un ruolo fondamentale lo giocano i funzionari pubblici della “Generalitat”, l’organo di governo della regione che fa capo a Barcellona. Diverse migliaia dei quasi 200mila impiegati dovrebbero avere un ruolo pratico nel processo referendario: un impegno che gli indipendentisti garantiscono non mettere a rischio il loro posto di lavoro. Ma il governo, sul punto, e’ stato chiaro: nessuno dovra’ sottrarsi al compimento della legge. “E agevolare il referendum non e’ legale”, sottolinea la testata. Ma il match Madrid-Barcellona si alimenta di altri fattori. L’annuncio della data, presumibilmente il 1 ottobre, si effettuera’ tra giovedi’ e venerdi’ e servira’ piu’ che altro, scrive “el Pais”, a scaldare i cuori degli indipendentisti. Non ci sara’ infatti nessun documento ufficiale e la Generalitat non formalizzera’ ancora nessuno dei passaggi che potrebbero offrire al governo di Mariano Rajoy il destro per impugnare il procedimento e bruciare cosi’ sul nascere le aspirazioni separatiste della Catalogna. Nei prossimi giorni i promotori del referendum organizzeranno una serie di appuntamenti pubblici per misurare il grado di adesione alla causa. Occorrera’ valutare non solo quante forze siano pronte a schierarsi a fianco degli indipendentisti, ma anche quanta parte dell’elettorato sia pronta a recarsi effettivamente alle urne. La consultazione informale tenuta nel 2014, peraltro sanzionata di recente dalla giustizia ordinaria, si era chiusa con un 90 per cento di voti favorevoli alla separazione. Ripetere quel risultato, spiegano fonti vicine a Puigdemotn, “non renderebbe molto credibile la votazione”.

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Regno Unito, sondaggi divisi sulle dimensioni della vittoria dei conservatori

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – Sei sondaggi pubblicati nel fine settimana, riferisce il quotidiano britannico “The Times”, danno il Partito conservatore in vantaggio in vista delle elezioni politiche che si terranno giovedi’ nel Regno Unito, con distacchi che vanno da uno a dodici punti percentuali rispetto al Labour. Tutti prevedono che la premier, Theresa May, restera’ a Downing Street, ma le previsioni variano sui numeri, oscillando tra una vittoria schiacciante dei Tory e un parlamento bloccato in assenza di una maggioranza assoluta. Survation rileva un divario minimo, di un punto; a seguire YouGov (proprio per l’edizione domenicale del giornale, “The Sunday Times”) con quattro, Opinium con sei, Orb con nove, Icm con undici e ComRes con dodici. Tutti i rilevamenti sono stati effettuati prima dell’attentato a Londra e prima della trasmissione televisiva della Bbc “Question time”. I consensi per il partito di governo vanno dal 40 al 47 per cento; quelli della principale forza di opposizione dal 34 al 39. Il tasso di approvazione della prima ministra e leader conservatrice, Theresa May, e’ per la prima volta inferiore a quello di Jeremy Corbyn, il leader laborista. Colin Rallings e Michael Thrasher, direttori dell’Elections Centre della Plymouth University, osservano che nelle elezioni del 2015 il Partito conservatore prevalse sul Labour di sette punti nel voto popolare; un risultato al di sotto di quella soglia rappresenterebbe un duro colpo per i Tory.

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I francesi all’estero hanno cominciato a votare per le elezioni parlamentari

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – Gli elettori che risiedono nelle undici circoscrizioni in cui sono divisi i Francesi all’estero hanno cominciato a votare nel fine settimana appena trascorso per il primo turno delle elezioni parlamentari che nella Francia Metropolitana e nei Territori d’Oltremare si terranno invece domenica prossima 11 giugno: lo riferisce, tra gli altri organi di stampa, il quotidiano “Le Monde” sottolineando soprattutto la particolare situazione in cui lo scrutinio si e’ svolto a Londra a causa dell’attentato terroristico che la sera di sabato scorso ha provocato sette morti, tra cui un cittadino francese, e 48 feriti. Per il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, “il modo migliore di rispondere a coloro che vogliono colpire la democrazia e’ di rispondere con le armi della democrazia, cioe’ con il voto”: con l’aiuto della polizia e delle autorita’ britanniche, l’ambasciata di Francia a Londra ha assicurato che ieri mattina domenica 4 giugno l’accesso ai seggi elettorali istituiti in tutta la Gran Bretagna era “ovunque fluido”. In base alla revisione costituzionale del 2008, gli elettori francesi residenti all’estero designano undici dei 577 deputati che siedono nell’Assemblea Nazionale: nelle ultime elezioni del 2012, contrassegnate tuttavia da un alto tasso di astensione, il Partito socialista (PS) dell’ex presidente Francois Hollande conquisto’ piu’ della meta’ di quei seggi in palio; stavolta, prevede il “Monde”, a realizzare un buon risultato tra i francesi all’estero dovrebbe essere il partito La Re’publique en marche (Lrm, “La Repubblica in Marcia”; ndr), la formazione politica creata dal neo presidente Emmanuel Macron che al primo turno delle elezioni presidenziali era in testa nella maggioranza delle undici circoscrizioni estere. I risultati saranno resi noti insieme a quelli del primo turno del voto dei francesi residenti sul territorio metropolitano e nei Territori d’Oltremare, cioe’ la sera di domenica prossima; il secondo turno di queste elezioni parlamentari invece si svolgera’ in contemporanea per tutti, domenica 18 giugno.

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Germania-Turchia, Gabriel torna a chiedere l’accesso dei parlamentari a Incirlik alla vigilia della visita ad Ankara

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – Il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel (Spd), e’ tornato a chiedere al governo turco di consentire senza condizioni le visite dei parlamentari tedeschi al contingente delle Forze armate di stanza a Incirlik. “La Turchia deve garantire senza alcuna condizione il diritto di visita”, ha detto Gabriel alla “Bild am Sonntag”. Il divieto di Ankara e’ scattato in risposta alla decisione della Germania di concedere asilo ad alcuni ufficiali turchi della Nato e alle loro famiglie, accusati da Ankara di essere corresponsabili del mancato golpe del luglio scorso. “Se la Turchia non potra’ concedere l’autorizzazione per ragioni di politica interna o non vorra’ farlo, non dovremo litigare, ma cooperare per trovare un accordo”, ha pero’ aggiunto Gabriel, che ha cosi’ confermato tutta la riluttanza del governo tedesco a rispondere in maniera muscolare alla sfida diplomatica, anche ritirando il contingente tedesco da quel paese. “Quello tedesco e’ un Esercito che agisce su mandato parlamentare, pertanto i membri del Bundestag devono poter essere in grado di effettuare le visite in qualsiasi momento”, ha ricordato il ministro, che ha ringraziato la Turchia per aver concesso l’accesso dei parlamentari a un’altra base dove sono schierati militari tedeschi, quella di Konya. Gabriel ha inoltre fatto cenno al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk): “Il Pkk e’ un’organizzazione bandita anche dalla Germania, poiche’ profondamente coinvolta nel traffico di armi e di droga, oltre che nell’estorsione. E’ quindi anche nell’interesse tedesco drenarne i flussi finanziari verso quell’organizzazione e non intrattenervi rapporti in alcun ambito”. Durante la sua visita prevista per oggi in Turchia, Gabriel affrontera’ anche il caso del giornalista turco-tedesco Deniz Yuecel, detenuto illegalmente da Ankara, e su cui anche la Corte europea dei diritti dell’uomo emettera’ presto un pronunciamento.

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Approvata la fusione tra Linde e Praxair

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – Il Consiglio di sorveglianza del gruppo chimico Linde di Monaco di Baviera ha approvato la fusione con la rivale statunitense Praxair al termine di lunghi negoziati. Steve Angel, 61 anni, sara’ a capo della nuova compagnia, anche se ci sono stati 5 voti contrari e se i rappresentanti dei lavoratori, contrari alla fusione, si sono astenuti. Grazie all’astensione, comunque, il presidente del Consiglio di sorveglianza Wolfgang Reitzle, 68 anni, non ha dovuto fare ricorso alla sua prerogativa del doppio voto per portare a termine l’accordo. La resistenza da parte dei lavoratori, che temono per i loro posti di lavoro in Germania, e’ stata veicolata principalmente dal sindacato Ig Metall. “‘Si tratta di una rottura con la storia industriale tedesca, si sono comportati come un ariete in una decisione molto delicata, invece di cercare il consenso”, ha criticato Juergen Wechsler, dirigente distrettuale della Ig Metall di Monaco di Baviera. “Crediamo nell’efficienza, ma l’efficienza non deve andare a discapito dei posti di lavoro”, aveva detto Angel. Per la forza lavoro tedesca e’ stata data una garanzia di occupazione per cinque anni. La fusione delle due societa’ e’ un affare da 60 miliardi di dollari, che la rende una delle operazioni piu’ grandi di sempre nel suo genere. La nuova sede sara’ negli Stati Uniti, la sede legale a Dublino, e diverse funzioni rimarranno a Monaco di Baviera. Nel Consiglio di amministrazione saranno equamente rappresentate entrambe le societa’, e la fusione dovrebbe essere completata nell’estate del 2018. Si sono detti soddisfatti dell’accordo entrambi gli ad, Belloni della Linde, fondata nel 1879, e Angel della Praxair che della Linde era stata una costola, fondata nel 1907.

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Difesa, gli Europei chiamati ad unire le forze

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – Quella che si apre oggi lunedi’ 5 giugno sara’ una settimana carica di impegni per l’Europa della Difesa: lo scrive il quotidiano economico francese “les Echos” ricordando che dopodomani, mercoledi’ 7 la Commissione europea presentera’ due testi molto importanti per il futuro del settore e che venerdi’ 9 il suo presidente Jean-Claude Juncker pronuncera’ un discorso in cui fara’ appello ad uno sforzo europeo rinnovato. Si tratta di una accelerazione, scrive “Les Echs, che era impensabile appena qualche anno fa e che e’ figlia del contesto politico: tra la constatazione della relativa affidabilita’ degli Stati Uniti e l’apparizione di nuove minacce alle sue frontiere (terrorismo e guerra informatica), l’Unione europea e’ convinta che il momento e’ maturo per operare verso una migliore coordinazione. Come ha fatto recentemente su diverse tematiche, la Commissione innanzitutto presentera’ un documento di riflessione in cui saranno elaborate diverse idee per il futuro della difesa europea: ma non bisogna aspettarsi un testo troppo direttivo; si tratta piuttosto di elencare le possibilita’ offerte ai Paesi membri. “Il solo scenario da escludere e’ quello dello status quo” anticipa tuttavia una fonte di Bruxelles a “Les Echos”: la Commissione infatti recentemente ha pubblicato una serie di statistiche che provano la necessita’ di un cambio di marcia. Oltre al fatto che i paesi dell’Unione Europea spendono per la Difesa meno della meta’ del budget Usa (227 miliardi di euro contro 545 miliardi) e che la Cina ha aumentato il suo sforzo militare del 150 per cento in dieci anni, l’Ue soffre soprattutto dell’inefficienza dei suoi investimenti innanzitutto a causa dei doppioni: a titolo di esempio, “Les Echos” ricorda come l’Europa conti ben 20 diversi modelli di aerei da combattimento, contro i soli 6 degli Usa; in totale, gli sperperi dovuti alla mancanza di coordinamento nei settori della difesa e della sicurezza costa all’Unione tra i 25 ed i 100 miliardi di euro all’anno. Da qui parte l’idea che si e’ fatta strada a Bruxelles di proporre, in un secondo documento piu’ concreto, di aumentare gli investimenti nel settore e di renderli piu’ coerenti. Sara’ una piccola rivoluzione in germe per un’Unione fondata su valori pacifici: si trattera’ infatti di utilizzare per la prima volta i fondi europei per finanziare la ricerca militare, a condizione che vi partecipino diversi paesi e che i risultati siano messi in comune.

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Il reddito minimo universale non e’ ne’ minimo, ne’ universale

05 giu 11:14 – (Agenzia Nova) – “Bloomberg” torna ad affrontare il tema del reddito minimo universale, oggetto di un recente studio dell’Ocse, tramite un editoriale a firma di Yuval Noah Harari. Il progresso della robotica e dell’intelligenza artificiale, esordisce l’autore, produrra’ quasi certamente un drammatico stravolgimento dell’economia, del commercio e dell’occupazione a livello globale. La robotica cancellera’ probabilmente centinaia di milioni di posti di lavoro in tutto il mondo, e potrebbe creare una vasta “classe non lavoratrice” i cui timori e speranze daranno forma alla storia del XXI secolo. I modelli sociali ed economici esistenti, ereditati dai secoli scorsi, sono inadeguati a gestire dinamiche di questa entita’. Harari cita ad esempio il Socialismo, che assume il lavoro, e dunque la classe lavoratrice, sia vitale per l’economia, e su questa imprescindibilita’ possa poggiare il proprio peso politico. Con la perdita di valore delle masse lavoratrici e del loro lavoro, questa ideologia rischia di divenire “del tutto irrilevante nell’arco dei prossimi decenni”. Il reddito minimo universale sta ottenendo crescente attenzione da parte di analisti, economisti e accademici proprio perche’ ritenuto uno dei possibili modelli atti a far fronte alle future dinamiche socio-economiche. Il reddito minimo universale poggia su una qualche istituzione – probabilmente gli Stati – affinche’ redistribuiscano con al tassazione le ricchezze di miliardari e grandi aziende che controlleranno gli algoritmi dei robot, e dunque le “chiavi” per la creazione del valore. Il denaro derivante dalla tassazione dovrebbe essere impiegato per garantire ad ogni persona la copertura dei bisogni di base. La speranza – scrive Harari – e’ di “attutire” gli effetti della perdita di lavoro e dell’emarginazione economica per i piu’ poveri, e proteggere cosi’ i piu’ ricchi dal furore dei primi. Non tutti ritengono che il reddito minimo universale diverra’ davvero uno strumento necessario. I timori legati agli effetti occupazionali dell’automazione risalgono al XIX, e sinora non si sono mai davvero materializzati. Ci sono pero’ buone ragioni per ritenere che questa volta le cose andranno diversamente: la vera discriminante potrebbe essere la capacita’ di auto-apprendimento delle macchine. L’uomo – sottolinea Harari – gode sostanzialmente di due tipologie di abilita’: quelle fisiche e quelle cognitive; ai progressi dell’automazione sul fronte dell’occupazione manuale, sinora l’uomo ha sempre potuto rispondere col suo monopolio sul settore dei servizi. Con l’esordio delle intelligenze artificiali, le nuove occupazioni possibili richiederanno una bassissima intensita’ di manodopera e un livello elevatissimo di specializzazione e creativita’. E’ in questo contesto che il reddito minimo universale diventera’ una necessita’, secondo i suoi promotori. L’autore dell’editoriale, pero’, non nasconde lo scetticismo: il reddito di base soffre a sua volta di diversi problemi: primo fra tutti, non e’ chiara la definizione di reddito “minimo”, ne’ quella di “universale”. Solitamente il concetto e’ espresso con riferimento a specifici ambiti nazionali, e dunque in riferimento ai cittadini di uno specifico Stato, e non all’intero consorzio umano: in questo senso, spesso si fa ricorso alla formula di “reddito di cittadinanza”. E non a caso, i primi esperimenti concreti di reddito minimo hanno riguardato contesti circoscritti, come lo Stato canadese dell’Ontario e la cittadina di Livorno, in Italia. Tuttavia, il problema di questa prospettiva nazionale e municipale e’ che “le principali vittime dell’automazione potrebbero non viverei n Finlandia, ad Amsterdam o negli Usa”. La globalizzazione ha reso gli abitanti delle economie avanzate dipendenti dal lavoro di quelle in via di sviluppo, ma l’automazione potrebbe scardinare questa forma di co-dipendenza, distruggendo in un certo senso la dimensione commerciale della globalizzazione come oggi la conosciamo. Con l’automazione del lavoro e dei servizi, i flussi di capitale che fluivano ad esempio dalle economie avanzate verso i centri manifatturieri dell’Asia Sud-Orientale potrebbero venire presto riorientati verso i gia’ a opulenti colossi tecnologici della California. Un altro ostacolo e’ l’assenza di una definizione condivisa riguardo i bisogni “di base”: in termini puramente biologici, sottolinea l’autore, l’Homo sapiens necessita dell’apporto di 2.500 calorie giornaliere per sopravvivere; superata questa “soglia di poverta’ biologica”, a definire i bisogni essenziali sono soprattutto fattori culturali. Un altro “nodo” e’ quello della salute: “Se nel 2050 i progressi medici consentiranno di rallentare i processi di invecchiamento ed estendere in maniera significativa l’aspettativa di vita, i nuovi trattamenti verranno messi a disposizione di tutti i 10 miliardi di individui sul pianeta, o solo di pochi miliardari?”. Comunque si scelga di definire questi bisogni umani fondamentali, poi, “una volta concessi gratuitamente a tutti, verranno dati per scontati”, e le tensioni politiche si concentreranno su beni “di lusso”. In assenza di leve economiche reali, le masse potranno difficilmente far valere le proprie rivendicazioni, e il divario in termini di reddito, opportunita’ e condizioni di vita finira’ per ampliarsi e cristallizzarsi. I futuri “poveri” potrebbero godere di condizioni di vita materiali assai migliori rispetto a quelle odierne, ma comunque ritenersi a ragione vittime di un sistema ancor piu’ sbilanciato di quello attuale a loro sfavore. Il reddito minimo universale potrebbe riuscire a migliorare le condizioni di vita medie degli individui tra mezzo secolo, conclude l’autore; ma difficilmente rendera’ le persone soggettivamente piu’ soddisfatte, anzi: l’uniformazione causera’ probabilmente l’effetto contrario, col rischio di aumentare lo scontento e le tensioni sociali.

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