Sicurezza

AssetProtection. Zaino abbandonato, è allarme bomba? Storia di un security manager

di Alberto Buzzoli, Socio ANSSAIF – Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria |

Il ricordo delle Torri Gemelle sembra lontano, ma l’attentato ha avuto conseguenze epocali in ambito di risk management. Peccato che a volte i security manager non lo ricordino

La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Nella memoria delle persone che non ne sono state direttamente interessate, sembra molto lontano il ricordo di ciò che è successo oltreoceano l’11 settembre del 2001. E soprattutto sembra non sia rimasta traccia della sorprendente scossa metodologica che l’attentato alle Torri Gemelle ha generato in ambito di risk management, decretando un deciso superamento del fattore probabilità.

La cronaca attuale riporta a pochi giorni di distanza due incidenti aerei che riguardano velivoli russi e, autenticità delle rivendicazioni a parte, il rischio attentati è reale. Per chi si chiedesse qual è il senso del requisito 4.1 – Capire l’organizzazione e il suo contesto (delle norme ISO, scritte secondo l’HLS) –  nel definire i fattori esterni che creano incertezza, è anche questo: comprendere se possa esistere anche una remota ed indiretta correlazione tra ciò che succede nel mondo e le attività svolte da un’organizzazione, magari piccolina e radicata sul territorio.

Ma nella mente delle persone, neanche la lettura di una normativa internazionale sembra produrre una reazione soddisfacente. Consapevoli di questo, i security manager si porranno l’obiettivo di tradurre quel requisito in parole più semplici, fino a proporre, nella documentazione rivolta a tutti i dipendenti, un’infinità di esempi semplici e differenti. La speranza è che l’evocazione di una visione esperienziale possa conseguire maggior comprensione di un concetto logico, anche se chiaramente espresso.

Poi un giorno, nel corridoio che porta dagli uffici all’area break, proprio davanti la porta del centro elaborazione dati, compare un grosso zaino abbandonato. Quello zaino è lì, semiaperto con una marea di piccoli fili rossi, gialli e blu che si intravedono guardandoci dentro. Nelle norme interne c’è scritto che in caso scatole, zaini o valige abbandonati siano rinvenuti nei locali, tutto il personale è tenuto a dare l’allarme secondo protocolli prestabiliti e con chiari meccanismi di escalation.

Ma che pretese, quando si va in pausa caffè il lavoro è off-limits….

E così quello zaino resta lì interi quarti d’ora, non senza essere notato, ma tristemente non considerato.

Anche i security manager fanno una pausa. E finalmente quello zaino guadagna un po’ d’importanza insieme alla colpevolezza d’un caffè rovesciato sulla camicia per il sussulto di chi l’ha veramente visto, dandogli il giusto peso.

Poi si scopre che è dell’elettricista che sta facendo manutenzione all’impianto di illuminazione; l’aveva dimenticato lì.

E se per caso il security manager, già poco credibile con la camicia tutta macchiata di caffè, chiedesse spiegazioni almeno ai responsabili per non aver seguito neanche un punto della procedura condivisa, questi gli risponderebbero – probabilmente – che è esagerato, che è un allarmista. Insomma, sarebbero disposti a tentare con ogni mezzo di farlo sentire non solamente uno che ruba lo stipendio, ma persino un pazzo visionario.

A seguito di quanto raccontato, sono certo che i security manager si domanderanno – io me lo continuo a domandare, non senza una certa amarezza – se l’unico modo per svegliare la mente delle persone possa essere solamente un boato; se non c’è il modo di attivare un po’ di sana consapevolezza senza necessariamente incappare nella tragedia.