Competenze

AssetProtection. Scuola e mercato del lavoro: a quando le nozze?

di Alberto Buzzoli, Socio ANSSAIF – Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria |

Il divario fra domanda di risorse specializzate e competenze accademiche resta molto ampio. Come uscire dal guado?

La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Durante l’esperienza sul campo possono succedere cose strane, a volte al punto tale da sconvolgere un apparente ordine logico ragionato a tavolino. In fase di selezione mi è successo di assumere un programmatore che non sapeva programmare ed un analista funzionale che aveva fatto esperienza come ricercatore chimico in un laboratorio. Entrambi hanno dato ottimi risultati riguardo gli obiettivi assegnati.

Di qui, una riflessione d’obbligo: quanto è esteso il gap che intercorre tra l’offerta formativa e il fabbisogno del mercato del lavoro? Nonostante gli apprezzabili tentativi di alcune università che hanno messo a punto corsi di laura – specialistica, resta inteso – fortemente orientati alla costituzione di specifiche competenze, all’avanguardia per l’ambiente accademico e attuali per quello professionale, il divario è veramente profondo.

Se poi diamo un’occhiata ai corsi di laurea triennali oppure, peggio ancora, a licei e istituti professionali, lo spazio sembra incolmabile.

Si insegna, nella migliore delle ipotesi, la quantità minima (per non dire minimale) delle conoscenze necessarie in ambito professionale, non si dà modo ai discenti di sviluppare un livello apprezzabile delle capacità per mettere in pratica quello che si è appreso e di attitudini non se ne parla neanche.

Eppure proprio queste ultime, rappresentano una porzione veramente significativa dei fattori che influenzano la chance nell’approccio al mondo del lavoro. Sono forse ultimamente più note come soft skill e di fatto definiscono l’insieme di elementi comportamentali di natura psicologica, sociale e culturale che un individuo deve saper mettere in campo per poter svolgere una professione in modo adeguato.

Per un attimo proviamo a mettere da parte i fattori psicologici e sociali, soffermandoci su quelli culturali, che sono comunque alla base della capacità di configurare un metodo. Generalista, d’accordo, che dovrà essere affinato nel corso del tempo ed indirizzato in specifici ambiti, ma pur sempre una base sulla quale lavorare.

Ed è proprio in questo punto che la faccenda si fa delicata, perché in ambito scolastico, tra offerte formative diversificate e l’abbaglio della tecnologia – s’è fatta un po’ di confusione scambiando lo strumento con il fine (Segmenti e bastonciniLucio Russo), è andato perso anche l’insegnamento più importante: astrarre, capire, leggere significati simbolici (Giovanni Sartori).

Tutto ciò ha conseguentemente ingenerato un incredibile ritardo di apprendimento sulla tabella di marcia e un grave abbassamento del livello dell’offerta formativa tradizionale nel tentativo di salvare il salvabile. Un rapporto di causa-effetto che oramai si è avviluppato su se stesso.

Morale della favola (purtroppo una di quelle non a lieto fine) è che la maggior parte dei giovani si ritrovano, forse inconsapevolmente, saccheggiati della possibilità di accedere alla professione alla quale aspiravano, magari anche dopo tanti sforzi per studiare; resta da verificare se in modo efficace.

Ma anche per le aziende manca un lieto fine.

Perché è difficile trovare la persona giusta, è costoso formarla. Si fa sempre più fatica a raggiungere risultati efficaci attraverso processi efficienti.

E quando la coperta si fa troppo corta, alcuni pensano di risolvere la questione giocando a ribasso, e di fatto condizionando in modo negativo l’intero mercato del lavoro. Infatti alcune aziende propongono condizioni contrattuali inadeguate in relazione alla funzione oggetto di ricerca e di contro alcuni candidati, anche se qualificati, sono disposti ad accettarle pur di lavorare.  Un altro rapporto causa-effetto senza fine.

Nonostante questo scenario possa sembrare desolante e desolato, è terra d’oro per consulenti e società di formazione. I primi sono un modo per riparare nell’immediato, di fronte ad un’esigenza imminente, mentre le seconde nel medio lungo periodo.

Anche in questo caso vige una dura legge di mercato: all’incremento della domanda, proporzionalmente cresce il prezzo.

E se i giovani laureati sono costretti a pagare di tasca propria costosissimi master per rendesi presentabili, alcune aziende depredano i fondi stanziati per la formazione pur di prendere un po’ d’ossigeno oppure, peggio ancora, per giocare una guerra inutile con la concorrenza, anch’essa fondata sul ribasso. Con la conseguenza disastrosa di inquinare ulteriormente il mercato.

Sarebbe forse il caso di rimettere mano alla scuola, agli ambienti accademici – questa volta con un po’ d’intelligenza – per rispondere in modo più adeguato alle esigenze del mercato del lavoro?

Chissà che prima o poi non imparino a conoscersi e magari si piacciano. Perché se per caso ci scappasse un matrimonio, certamente sarebbero in molti a giovarne.