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AssetProtection. Persone e formazione, bisogna investire di più per evitare inevitabile declino

Di recente ho partecipato ad una selezione di candidati per un ruolo, seppur di medio profilo, inerente la sicurezza e la qualità. In fase di colloquio tecnico ho rivolto una domanda all’intervistato: ”Possiamo provare a dare una definizione di rischio?” Tutta l’attenzione è ricaduta sull’accezione negativa del termine, per altro con uno sgradevole cianciuglio di definizioni poco precise.

Ho quindi provato a condividere con il candidato una definizione formalmente più corretta, secondo quella stabilita dall’ISO al livello internazionale, che tenesse in considerazione anche l’aspetto rivolto alle opportunità.

Il candidato, per tutta risposta, invece di acquisire un ampliamento delle proprie conoscenze, ha scelto di rilanciare la sua tesi, senza argomentare, con un atteggiamento quasi competitivo, ostile.

Per la stessa selezione, spulciando i curricula pervenuti per candidatura spontanea, ne ho visionato uno che riportava a chiare lettere: ”Non sono interessato a cambiare, ma valuto eventuali proposte”. Stile linguistico approssimativo e contraddittorietà a parte, è chiaro anche in questo caso un certo atteggiamento inappropriato, di sfida.

Alla luce di due eventi accomunati da una stessa caratteristica, che per di più si manifesta in un contesto – quello dei colloqui di lavoro – nel quale, a mia memoria e per esperienza personale, si addiceva un atteggiamento empatico e propositivo, mi è sorto un dubbio.

Cos’è che genera nelle giovani leve un così forte senso del diritto ad ottenere un posto di lavoro piuttosto che un senso del dover dimostrare la propria idoneità a conseguirlo? Ne deriva un’ulteriore riflessione.

Siamo veramente certi che chi è alla ricerca di un lavoro sia realmente interessato ad ottenerlo? E se sì, tutti gli sforzi che riguardano il mantenimento di quello stesso posto vengono percepiti come investimento professionale oppure rappresentano un mero costo, senza nessun guadagno, in valori di tempo ed energie personali?

Intendiamoci, questi giovani non sono solo vittime di un sistema. E certamente hanno delle responsabilità in questo contesto sfavorevole, che investe in modo paritario chi cerca lavoro ma anche le aziende. Però è anche doveroso ammettere che gli elementi che configurano lo scenario lavoro e rapporti tra lavoratori e aziende non è certo incoraggiante.

Partiamo dai fondi stanziati dalle regioni per la formazione nelle aziende. Nonostante non si possa riportare ufficialmente, è noto che in alcuni casi buona parte di questi vengano assorbiti per un altro scopo: acquisire liquidità. Il che, a sua volta, permette alle aziende che se li sono aggiudicati di ammortizzare offerte a ribasso su commesse strategiche.

E’ una soluzione a breve termine, ma pur sempre un po’ d’ossigeno. Il costo vero lo paga il dipendente che riceve, se è fortunato, una formazione più breve e meno efficace del previsto.

Passiamo ai contratti per tirocinanti. Il tirocinio ha lo scopo principale di garantire apprendimento e formazione presso un’organizzazione. Ancora una volta sappiamo che la formazione ha un costo, in molti casi neanche troppo modesto.

Quindi qualche volta è considerata miglior soluzione quella di impiegare detrazioni e contenimento del compenso per scopi differenti da quelli precedentemente enunciati, ricavando inoltre una prestazione a pieno regime, praticamente assimilabile a quelle di figure professionali già ben inserite.

Terminiamo con alcune considerazioni sullo stile delle mediazioni sindacali. Senza nulla disconoscere all’importanza del ruolo che ricoprono, non è forse esperienza condivisa di alcuni imprenditori un certo atteggiamento riottoso – a volte di vera maleducazione – dei rappresentanti del sindacato? E non è forse altrettanto vero che alcune volte risultano particolarmente propensi all’istigazione di vertenze poco probabili con il conseguente aggravio (economico) per le parti interessate e (di tempo perso) per la macchina della giustizia?

Quella del mentore era una figura funzionale alla risoluzione di molte problematiche tra quelle di cui abbiamo parlato, ma sembra essere ormai solo roba da Odissea.

Resta il fatto che il mercato del lavoro è avvolto in una spirale priva di via d’uscita, che finirà per soffocare definitivamente tanto i lavoratori come gli imprenditori.

Allo stato attuale ci sono candidati che non vogliono lavorare (o ne hanno paura) e imprenditori che compiono sforzi sovrumani per incontrare futuri professionisti. E la conseguenza è un rallentamento della capacità di fare impresa, di crescita, di sviluppo, d’innovazione.

Ripartiamo col valorizzare finalmente le persone, col generare competenze e creare sinergia tra tutte le parti interessate (università e associazioni comprese) oppure restiamo a guardare un inevitabile e triste declino?

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