L'analisi

AssetProtection. La sicurezza nella vicenda Germanwings

di Alberto Buzzoli, Socio ANSSAIF – Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria |

Diverse le zone d'ombra sulle quali si ragiona: quota e rotta del volo, la sospensione delle comunicazioni con la torre di controllo, alcune stranezze circa le scatole nere, la presenza di caccia militari in affiancamento all'airbus prima dello schianto.

L’airbus 320 della compagnia Germanwings, gruppo Lufthansa, decolla il 24 marzo del 2015 da Barcellona in direzione Dusseldorf. Il volo con 150 persone a bordo, di cui 6 sono membri dell’equipaggio, non arriverà mai a destinazione, schiantandosi sulle Alpi dell’Alta Provenza, in Francia. Non ci sono superstiti.

 La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

A pochi giorni dall’inizio delle indagini, sembra siano già state individuate le cause dell’incidente, almeno stando a ciò che riportano ossessivamente i media. Andreas Lubitz, copilota su quel maledetto volo, era un 27enne da anni ammalato di depressione. Lui stesso l’aveva comunicato nel 2009 alla compagnia Lufthansa, a seguito della sospensione, durata alcuni mesi, della formazione come pilota. Si legge anche che, a fronte di una più recente visita, Lubitz fosse stato invitato a sospendere nuovamente, per un periodo determinato, l’attività lavorativa. Avrebbe però ignorato le prescrizioni del neuropsichiatra che lo aveva visitato, senza peraltro comunicarle alla Lufthansa. Il giorno dell’incidente non avrebbe dovuto essere in servizio. Ed invece sembra che abbia condotto deliberatamente il velivolo a schiantarsi contro le montagne.

Esistono però altre variabili, di cui si parla sui canali di informazione non ufficiali, che configurano differenti scenari: da quelli tipicamente complottisti a quelli più orientati ad analizzare eventuali avarie tecniche. Le zone d’ombra sulle quali si ragiona riguardano la quota e la rotta del volo – anomale sin dall’inizio -, la sospensione (inspiegata) delle comunicazioni con la torre di controllo, alcune stranezze circa le scatole nere, l’eventuale presenza di caccia militari in affiancamento all’airbus poco prima dello schianto.

Infine, con un recente articolo del Wall Street Journal, si apprende anche che già dal 2009 fossero note all’EASA (l’Agenzia Europea per la Sicurezza dell’Aviazione) significative carenze circa i controlli per la sicurezza condotti dalla compagnia tedesca Germanwings. Negli ultimi mesi del 2014, l’Agenzia Europea aveva sollecitato nuovamente la compagnia aerea ad attivarsi, ponendo rimedio alle numerose non conformità già rilevate, in parte aggravate dalla carenza del personale necessario allo svolgimento delle opportune azioni correttive.

Una controllata del gruppo Allianz, che assicura la compagnia tedesca, ha già reso disponibili ai familiari delle vittime 50mila euro, da compensare a stretto giro con ulteriori 100mila euro, così come previsto dal diritto internazionale che governa le attività di volo commerciale. Ciò non rende indenne la compagnia circa ulteriori richieste di risarcimento che potrebbero essere avanzate. Infatti la linea aerea ha una responsabilità illimitata – afferma Steven Marks, socio dello studio legale specializzato in trasporto aereo Podhurst Orseck – a meno che non provi di essere esente da colpa.

Analizzando il sentiment italiano in rete, ci sembra di notare che i recenti eventi di cronaca abbiano lasciato ampio margine d’espressione a sentimenti conflittuali nei confronti del governo tedesco, che negli ultimi anni non ha perso occasione di bacchettarci su regole e controlli e ora si trova a fare i conti con una strage che sembra inspiegabile.

C’è rabbia, com’è normale che sia, per la morte di tanti innocenti. C’è sete di chiarezza e voglia di individuare i responsabili, come è corretto che accada a fronte di meccanismi di sicurezza che effettivamente si sono dimostrati ampiamente inefficaci.

Immaginiamo che la contromisura individuata da molte compagnie – quella dell’obbligo di permanenza contemporanea in cabina di almeno due piloti – non possa rappresentare l’unica soluzione in un quadro più complesso e carente come quello che è stato delineato.

Dal canto nostro vorremmo solamente capire meglio, individuando gli aspetti poco chiari, e che tutte le parti interessate apprendessero dagli errori del passato, a maggior ragione quando si parla della perdita di ben 150 vite.

Non resta che seguire in modo intelligente gli sviluppi delle attività condotte dagli inquirenti e, parallelamente non perdere mai di vista il quesito – tecnico ed etico – più importante per le sicurezze: quanto deve essere elevato un potenziale impatto perché il costo dell’applicazione delle contromisure di mitigazione rientri in un budget di spesa preventivamente approvato? Quando la spesa prevista per la conduzione dei controlli assume un aspetto privilegiato rispetto alle necessità economiche commerciali di un’attività?