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AssetProtection. La business continuity è davvero una bufala?

disaster recovery

Un mio allievo all’edizione del 2014 di un importante corso di formazione mi ha contattato ieri per raccontarmi brevemente cosa gli è accaduto.

Era stato così interessato dalla mia lezione sui fondamenti di continuità operativa, da scrivere la tesi su questo argomento applicando la metodologia nell’ambito della impresa presso la quale opera.

Coerentemente con il relativo standard internazionale, aveva stimato il tempo massimo di ripartenza in caso di disastro (RTO) e il livello minimo di operatività (MBCO), nell’immediato post incidente, richiesto ai fini di limitare le perdite economiche.

Successivamente, ebbe occasione di trattare la sua tesi presso l’Università nella quale si era laureato parlandone agli studenti della laurea magistrale.

Con suo sommo dispiacere notò uno scarso interesse da parte degli studenti e lo stesso docente, che lo aveva invitato, fece capire che aveva parlato di un argomento di scarsa attualità e di difficile applicabilità.

Poche settimane fa la sua azienda è stata coinvolta da un’onda di piena di un vicino torrente: l’onda fu di quasi 4 metri e provocò danni ingentissimi.

La conseguenza è stata chiaramente il blocco della produzione con gravi ripercussioni sui contratti in essere con primari clienti a livello italiano ed internazionale.

Ad oggi i lavori sono ancora in corso per riprendere la produzione a pieno regime, mentre si sono recuperati alcuni prodotti dal relativo magazzino.

Il docente dell’Università, quando si è reso conto di quanto accaduto nella zona, gli ha telefonato per scusarsi per non aver compreso le finalità e l’utilità della metodologia di business continuity e crisis management.

Non so se essere contento di quanto mi è stato raccontato o se il messaggio, ovviamente circoscritto a questo episodio, è che bisogna aspettare gli eventi negativi affinché le imprese pensino all’importanza di essere organizzate per poter limitare i danni conseguenti anche a gravi disastri.

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