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AssetProtection. Da Europa 2020 al piccolo imprenditore italiano: il difficile percorso dell’Agenda Digitale

Agenda digitale

L’orizzonte aperto è spesso fonte di grande ispirazione. E così, scrutando quello economico alla ricerca di risposte, mi sono soffermato a riflettere su due questioni: da una parte Europa 2020 – la strategia decennale di crescita e occupazione finalizzata al superamento della crisi e alla configurazione di un modello di sviluppo più intelligente, oltre che sostenibile e solidale – e dall’altra il piccolo imprenditore italiano, magari quello ex locale, che adesso cerca di capire come respirare in un ecosistema tutto nuovo, infinite volte più ampio e complesso di quello nel quale si muoveva appena un decennio fa.

 La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

La Commissione Europea ha identificato cinque obiettivi principali da raggiungere entro il 2020: riguardano l’occupazione, la ricerca e sviluppo – in termini di aumento degli investimenti in sviluppo per il pubblico ed il privato -, i cambiamenti climatici e l’energia rinnovabile, l’istruzione e la situazione di povertà ed emarginazione. In questo ambito, uno dei mezzi identificati per raggiungerli è l’Agenda Digitale, per la quale sono stati definiti ulteriori sette aree d’azione: la realizzazione di un mercato unico digitale, il miglioramento dell’interoperabilità e degli standard, il rafforzamento della fiducia e della sicurezza online, la promozione di un accesso veloce a Internet disponibile per tutti, l’incremento degli investimenti in ricerca e innovazione, l’integrazione, l’alfabetizzazione e lo sviluppo delle competenze digitali, l’attivazione dei benefici dell’ICT per l’Europa.

Le due questioni sulle quali rifletto – due punti nell’orizzonte che scruto – presumo che in qualche modo ed in qualche momento si debbano pur incontrare.

Allora tento di percorrere la strada in un classico itinerario top-down, cercando tracce che riguardino il piccolo imprenditore nella documentazione dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Nella Strategia per la crescita digitale 2014 – 2020 del 3 marzo 2015 è evidente che la carenza di innovazione nelle PMI, unitamente al basso livello di skills e cultura digitale nelle imprese, rappresentino alcuni degli elementi significativi che stanno frenando la corsa verso il traguardo stabilito.

I programmi di accelerazione, infatti, convergeranno in buona parte sul rafforzamento dei sistemi di competenze per la diffusione della “cultura digitale”.

Detta in questi termini sembra che, mentre AGID stia correndo con tutte le forze incontro al piccolo imprenditore, quest’ultimo sia rimasto fermo al punto di partenza. C’è però da dire che molti sforzi in più sembrano rivolti verso la Pubblica Amministrazione, per altro con progetti che riguardano la necessità di colmare un divario abissale, tra effettiva operatività degli enti pubblici e sistemi ICT attualmente disponibili, piuttosto che un significativo salto in avanti verso una forma di interazione evoluta con cittadini ed imprese.

Come se non bastasse, il piccolo imprenditore italiano, ex locale ma che ora si trova a nuotare nel mare globale, oltre ad avere il compito di cominciare a correre, e pure rapidamente, verso la “cultura digitale”, deve anche stare attento agli squali.

Un passo falso in rete e potrebbe andare KO, anche definitivamente, in pochi minuti. Nel mio percorso di discesa cerco anche tracce di security, mi imbatto nel maestoso progetto del CERT-PA e nell’indirizzo di PPP (partnership pubblico-privato) per le aziende che forniscono reti e servizi pubblici di comunicazione.

Si parla di certificazioni di sicurezza – viene persino nominata la ISO / IEC 27001 – e di un information risk management nazionale – questa volta è citata la ISO / IEC 27005 – nel Piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica. Ma in sostanza, di cosa si debba preoccupare il piccolo imprenditore italiano, non ve n’è traccia. E ancora una volta sembra che non si sia mosso neanche un po’ mentre la nazione gli corre incontro.

Non sarà per caso corretta quella visione sociologica che vede nella politica il tentativo di guardare solo per se e scaricare le vere responsabilità sul settore privato, a sua volta libero di fare e disfare in base ai propri interessi?

Beh, dato di fatto è che, se i piccoli imprenditori nazionali non hanno mosso un passo – anzi, in alcuni casi sembra siano andati indietro come i gamberi –  verso la sicurezza e verso l’Agenda Digitale, lo Stato li ha lasciati però esposti ad alcune insidie.

Le norme di conformità sono scritte in modo complesso, appannaggio degli addetti ai lavori specializzati, ma incomprensibili per coloro i quali siano dotati solamente di buona volontà; probabilmente tradurle in best practices diffuse e facilmente comprensibili potrebbe essere un traguardo apprezzabile.

Come se non bastasse, le aziende che cercano risultati veloci, piuttosto che un metodo strutturato di lavoro, incrementano l’esposizione del mercato alla libera circolazione di oggetti low-cost: componenti di modelli organizzativi e sistemi di gestione preconfezionati come risk analysis, piani di continuità ed altro materiale già pronto. Infine, per concludere, alcuni enti certificatori operano a prezzi estremamente competitivi e, nell’intenzione di soddisfare a tutti i costi le esigenze dei propri clienti con il rilascio del certificato, compromettono a monte l’importante significato del controllo indipendente in fase di audit.

Scrutando l’orizzonte economico, Europa 2020 ed il piccolo imprenditore italiano, attendo fiducioso l’ispirazione.

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