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AssetProtection. Business continuity, non sarebbe il caso di insegnare la metodologia nelle scuole?

Questa domanda, inaspettata, mi è stata posta da una professoressa, vice preside in un Istituto Comprensivo. Al termine di una riunione sulla sicurezza, la docente mi aveva chiesto chiarimenti sulla metodologia di continuità operativa, ed io avevo fatto una breve descrizione, cercando un esempio coerente con le attività di cui ella si occupa.

Non appena terminata la mia spiegazione, mi ha fatto la domanda: «Non sarebbe il caso di insegnare la metodologia di business continuity nelle scuole?», ed io le ho chiesto il motivo. Lei mi ha parlato dei problemi odierni dei giovani, fra i quali possiamo accennare al non saper sopportare le difficoltà, nel non fissare degli obiettivi in linea con i principi e valori, e, qualora fissati, nel non riuscire a mantenersi allineati; ancora, nel non saper cogliere le opportunità che si presentano nel corso della loro vita e, al contrario, percorrere strade sbagliate (bullismo, alcol, droga, guida sfrenata con moto ed auto, ecc.), ma, soprattutto, vi è l’assenza di principi. Senza dei principi di riferimento, come si possono fare delle scelte nella vita?

Non ultimo, i giovani devono imparare a cooperare fra loro, a collaborare su obiettivi condivisi, altrimenti si troveranno sicuramente male sul lavoro e nel rapporto con gli altri.

La metodologia di business continuity, mi disse, essendo strettamente legata alla gestione dei rischi, e fondandosi sulla capacità di individuare gli impatti di possibili opportunità e minacce che possono incontrare, consente di scegliere quale via percorrere (accettare, mitigare, evitare) onde raggiungere gli obiettivi (coerenti con i principi).

Era anche piaciuto uno degli esempi che avevo fatto e che qui sintetizzo: «Oggi Marco ha un colloquio importante per una possibile assunzione in una azienda. Esce di casa e prende l’ascensore. Ha valutato cosa accadrebbe se questo si dovesse fermare fra due piani e non muoversi più? Dopo quanto tempo qualcuno lo libererebbe? Arriverebbe lo stesso puntuale all’appuntamento? Cosa farebbe? Telefonerebbe all’azienda dicendo che è bloccato in ascensore? (sempre che il telefono prenda…).

Senz’altro Marco mi direbbe che non è mai accaduto che il loro ascensore si sia bloccato e che siano dovuti intervenire dei tecnici. Però può avvenire. In altri condomini è successo.

Considerato che l’appuntamento è importantissimo per il suo futuro in quanto l’azienda opera nel settore che a lui piace, ove imparerebbe una professione che ha molti sbocchi lavorativi, e vi lavorano tanti giovani entusiasti, ecc., si deve chiedere: “posso io Marco perdere questa occasione perché ho preso l’ascensore, tra l’altro in discesa e per pochi piani, e mi è accaduto un evento rarissimo (ma possibile)? “.

Analogamente, Marco si deve chiedere con quanto anticipo deve uscire di casa, che strada è meglio percorrere, se usare la macchina o i mezzi pubblici, ecc.».

Secondo la professoressa, la metodologia in questione, se opportunamente esemplificata in base alla età dei discenti, li indirizza secondo un percorso costruttivo che, partendo dagli obiettivi di ciascuno, li porta alla valutazione preventiva delle opportunità e delle minacce. Ho ringraziato la professoressa e le ho promesso che ne avrei parlato con i colleghi.

Che dire? Lascio a Voi lettori concordare o meno con quanto detto.

Ricordo il mio indirizzo, qualora vogliate inviarmi i vostri commenti:  anthony.wright@anssaif.it

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