il caso

Apple vs. FBI: ecco la mozione della società (col sostegno della Silicon Valley)

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Aziende che per lo più fanno soldi coi nostri dati – da Google a Facebook e Twitter – si sono schierate a fianco di Apple che ieri ha depositato in tribunale un faldone di 36 pagine in difesa del suo gran rifiuto.

La Silicon Valley si stringe compatta attorno a Apple nel sostenere la giustezza del suo rifiuto ad ottemperare all’ordine di sbloccare l’accesso all’iPhone di un terrorista.

Aziende che per lo più fanno soldi coi nostri dati – da Google a Facebook e Twitter – si sono insomma schierate contro il governo e a fianco della società di Cupertino che ieri ha depositato in tribunale un documento di 36 pagine col quale viene chiesto al giudice di abolire l’ordine che la obbligherebbe a collaborare con l’FBI per sbloccare l’iPhone dell’autore della strage di san Bernardino.

Sostiene Apple che l’ordine del giudice di creare una backdoor per indebolire la sicurezza dei suoi dispositivi è “senza precedenti” e potrebbe minare la privacy e la sicurezza di svariate centinaia di milioni di utenti.

Alphabet (Google), Microsoft e Facebook dovrebbero presentare a breve delle memorie volontarie a sostegno della società.

“Apple sostiene con forza e continuerà a sostenere gli sforzi delle forze dell’ordine nel perseguire i terroristi e altri criminali – proprio come ha fatto in questo caso e in molti altri…ma l’ordine senza precedenti del governo non trova sostegno nella legge e violerebbe la Costituzione”, scrive Apple nella sua mozione.

Di nuovo, la società spiega che non è sostenibile la tesi del Governo secondo cui la richiesta di sblocco si limiterebbe a questo e solo a questo specifico caso (il cellulare in questione, per chi ancora non lo sapesse appartiene all’autore della strage di San Bernardino, 14 morti e 21 feriti): il nuovo software che Apple dovrebbe creare per facilitare l’accesso dell’FBI al dispositivo di Farook potrebbe essere utilizzato per violare centinaia di altri dispositivi sequestrati.

“Una volta che gli argini si aprono, non possono essere richiusi”, ha scritto di Apple. “E potremo dire addio alla sicurezza dei dispositivi a cui Apple è giunta lavorando instancabilmente. Il tutto senza nemmeno un voto del Congresso”.

Tanto più che per Apple la sicurezza è anche un perno fondamentale della propria strategia di marketing e la società sarebbe già al lavoro per sviluppare nuove misure di sicurezza che renderebbero impossibile per il governo penetrare in un iPhone bloccato anche usando metodi simili a quelli ora al centro del contendere.

Nuove misure che non solo aiuterebbero la società nel suo braccio di ferro contro le richieste dei Governi, ma rassicurerebbero investitori e clienti, che è l’obiettivo principale di Apple.

“Stiamo difendendo i nostri clienti perché proteggerli è il nostro lavoro, ma difendiamo anche chi vorrebbe avere voce ma ha paura” ha detto il Ceo Apple Tim Cook in un’intervista a ABC News, ergendosi dunque a paladino degli indifesi.

“Chi potrebbe impedire al Governo di pretendere che Apple scriva un codice per sorvegliare le conversazioni dal microfono, che Apple attivi la fotocamera o la geolocalizzazione all’insaputa dei clienti”, dice ancora Cook, che ha equiparato a un cancro per la sicurezza informatica il software che richiesto dal Governo.

Secondo gli esperti, a questo punto, l’unico modo per uscire da questa diatriba ed evitare che il caso arrivi alla Corte Suprema sarebbe che il Congresso chiarisse con una legge quali sono gli obblighi delle società hi-tech in casi come questo.