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Antitrust, schiena dritta sui diritti sportivi

Raffaele Barberio

L’Italia è uno strano Paese.

Le Autorità finiscono agli onori delle cronache quando sono bersaglio per qualcosa che non hanno fatto – vedi la malcapitata Consob, che tutto sommato così male non ha fatto.

Ben più raramente richiamano l’attenzione quando fanno le cose-che devono e le fanno bene.

Mi riferisco alla recente e importante sanzione sui diritti sportivi irrogata dall’AGCM, l’Autorità Antitrust, presieduta da Giovanni Pitruzzella.

Il caso è di scuola. Una intesa anticoncorrenziale sostanziata da una fitta corrispondenza dalla quale si evince che non solo l’accordo vi è stato, ma è stato perseguito con una tenacia e determinazione – lasciatemelo dire – degni di miglior causa.

Chiave di volta dell’istruttoria è stata la collaborazione di uno dei due soggetti parte dell’intesa, che si è pertanto presentato sotto la veste del coactus tamen voluit. Di qui la riduzione della sanzione a una somma relativamente irrisoria (rispetto alla sanzione inflitta all’altro soggetto), giustificata dall’atteggiamento di piena cooperazione con l’istruttoria, in una logica del tutto familiare a chiunque conosca il procedere delle autorità antitrust da questa e da quell’altra parte dell’Oceano.

Ma, si potrebbe replicare, le linee guida per la commercializzazione dei diritti sportivi erano state approvata dalla stessa AGCM.

Vero, ma, come spiegano gli esperti del settore, una presa di posizione ex-ante non autorizza le imprese a tenere una condotta ex-post contraria all’art. 101 del trattato TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), pietra angolare della concorrenza europea e non negoziabile.

Si potrebbe ulteriormente obbiettare che l’esito della gara, avendo scongiurato l’accaparramento dei due pacchetti principali da parte dello stesso operatore, è risultata alla fine più pro-competitiva di quanto le stesse linee guida autorizzassero a immaginare.

Sennonché la regola del diritto antitrust è che un comportamento contrario all’art 101 TFEU è illecito in sé e non può essere sanato da un esito che, nei fatti, possa sembrare più favorevole al mercato. Tanto più questo è vero, che l’ordinamento prevede una sanzione pesantissima a seguito dell’accertamento di tanta violazione: ossia la nullità ex-tunc (da allora) di tutti i contratti. Una disposizione di ordine pubblico che non solo può essere eccepita davanti al giudice civile, ma, quel che conta di più, da chiunque vi abbia interessi con corollario di richiesta di danni.

Morale della favola: chi colloca l’Italia ai livelli più bassi delle graduatorie dell’enforcement dovrebbe ricredersi.

Nel caso di specie, l’AGCM ha dato dimostrazione di schiena dritta e di piena coerenza con la giurisprudenza europea.

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