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Ambiente, la Cina investe 300 milioni di dollari in smart technologies israeliane. E in carne artificiale

Lunedì scorso, Israele e Cina hanno siglato un accordo di cooperazione tecnologica ed energetica da 300 milioni di dollari. Pechino ha deciso di accelerare la sua crescita sostenibile a livello ambientale, puntando sulle nuove smart technologies.

La Cina importerà da Israele soluzioni “environmental-friendly”, che consentiranno al gigante asiatico di tagliare consistentemente le sue emissioni inquinanti, di risparmiare sui consumi energetici, di ridurre così l’impronta ambientale e i costi sociali legati ai danni dell’industrializzazione pesante sulla salute.

L’accordo segue di qualche giorno l’annuncio cinese di sostituire le auto alimentate a benzina e gasolio con quelle elettriche. Non è stata definita una deadline, ma già dal 2018 è stato chiesto all’industria automobilistica di immettere sul mercato almeno l’8% di veicoli a batterie e ibridi, con la prospettiva di raggiungere il 12% entro il 2020.

La partnership israelo-cinese prevede anche lo sviluppo di tecnologie per l’ingegneria agroalimentare. L’anno passato la Cina ha spiazzato un po’ tutti con la dichiarazione di voler ridurre drasticamente il consumo di carne.

L’inquinamento legato all’industria della carne, agli allevamenti intensivi di bovini, ovini e volatili, è tra i più pesanti e pericolosi, soprattutto per il livello di CO2 che è emesso da rifiuti provenienti da tali attività.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha calcolato che i gas serra emessi dagli animali degli allevamenti intensivi di tutto il mondo sono circa il 20-25% del totale.

Un dato allarmante, considerando che la domanda di tale prodotti alimentari è in aumento.

Ad esempio, come già sta accadendo negli Stati Uniti, anche Israele sta lavorando ai primi progetti di carne artificiale, o carne in provetta (ottenuta da cellule staminali di muscolo d’animale e coltivate in piccole strutture per ottenerne filamenti). Un prodotto da laboratorio che da una parte va ad alimentare tutto quel mercato destinato a chi non mangia carne, quindi vegani e vegetariani, dall’altra consente ai carnivori di continuare ad alimentarsi di questo cibo ma senza inquinare.

Negli USA si sta lavorando per portare entro 5 anni sugli scaffali dei supermercati polpette, hamburger, hot dog e salsicce da carne in provetta (che poi sono i prodotti alimentari di massa più venduti).

Quello che da qualche anno è partito in Nord America con l’azienda Memphis Meats, sta ora prendendo piede in altri mercati. In Israele sono al lavoro sulla “carne pulita” o “carne etica” diverse imprese (tra cui SuperMeat, Future Meat Technologies e Meat the Future). Secondo un recente studio dell’Organizzazione mondiale per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), entro il 2020 il consumo di carne in America del Nord dovrebbe aumentare dell’8 %, in Europa del 7% e in Asia addirittura del 56% (solo la Cina ha importato nel 2016 più di 10 miliardi di dollari di carne).

La FAO si attende un aumento della domanda di carne nel mondo di circa il 74% nel 2050.

Non si tratta solamente di una questione etica. Chiamare in causa chi non mangia carne è solo un pretesto legato a strategie di mercato ben precise. Se la domanda di carne crescerà davvero nei prossimi anni, come altri studi prospettano, i problemi legati alla qualità dei prodotti alimentari a base di carne, alla salute dei consumatori, all’inquinamento e alla sostenibilità ambientale, non faranno altro che moltiplicarsi.

I casi di super batteri trovati in animali da allevamento resistenti a qualsiasi tipo di trattamento antibiotico sono in aumento. Controllare ogni singola azienda e industria non possibile, sono decine di migliaia nel mondo e molte di queste sono clandestine.

Solo negli Stati Uniti, più di 2 milioni di persone si ammalano ogni anno per questo tipo di super batteri, secondo il Centers for Disease Control and Prevention.

Purtroppo, ne muoiono più di 30 mila.

Per sfamare con la carne 7-8 miliardi di persone in tutto il mondo (senza contare l’infinita catena di ristoranti, alberghi/pensioni, fast food, piccoli locali, mense, bar, pub e qualsiasi altro tipo di esercizio che preveda la somministrazione di piatti a base di carne) servirebbero decine di miliardi di animali da allevamento.

Un dato che da solo basterebbe per comprendere l’assurda dimensione del fenomeno (che è del tutto nuovo).

Ora, ha spiegato in un articolo di gennaio su Il fatto alimentare Gianna Ferretti, docente presso la scuola di specializzazione in Scienza dell’alimentazione dell’Università delle Marche, c’è da attendere che il prezzo di questa “carne etica” sia davvero a portata di mano del consumatore.

Nel 2013, il primo hamburger prodotto in laboratorio (al momento si parla solo di carne macinata, non certo di una bistecca) aveva un prezzo pari a 300 mila dollari! Tre anni dopo si è riusciti a produrre il medesimo hamburger ad un prezzo pari a 36 dollari la libbra (circa mezzo chilogrammo).

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