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Allarme Fake news, le istituzioni perché non si attivano?

Si tratta di siti che tentano di riprodurre i nomi delle più popolari testate italiane, da “Rebubblica”, “Il Giomale” a “Il Fatto Quotidaino”. Sono macchine da guerra nate per suscitare rabbia, odio e indignazione. Ridurle però a un fenomeno di semplice satira da web è sbagliatissimo: sono finte testate nate con lo scopo di arricchirsi attraverso introiti pubblicitari importanti e disinformare alla velocità della luce attraverso i più popolari social network che – spesso inconsapevolmente – fungono da cassa di risonanza.

L’allarme fake news non accenna a regredire. Sul fronte legislativo siamo ancora in alto mare, ma alcune posizioni nette sono state assunte da imprese e colossi della Rete che – bisogna ammettere – ce la stanno mettendo tutta per arginare la situazione. O quanto meno danno quest’impressione.

Facebook, per esempio, sta testando un sistema che permetterà agli utenti, attraverso un apposito pulsante, di segnalare le notizie “sospette”, che saranno quindi verificate da un pool di esperti in linea con l’International Fact Checking Code of Principle stilato dal Poynter Institute.

Mentre è già attiva una guida che serve per riconoscere le “bufale” e che va dalla maggiore attenzione che deve essere prestata verso i titoli (quelli troppo eclatanti sono spesso indizi di notizie fasulle) alla ricerca della fonte, semplicissima da effettuare attraverso i comuni motori di ricerca. Anche se la mossa più efficace potrebbe arrivare dalle imprese: finanziando le piattaforme di fact-checking e contemporaneamente togliendo la possibilità di ricevere introiti pubblicitari ai siti produttori di fake news.

A livello europeo, interessante è la proposta lanciata tempo fa dal Presidente dell’Antitrust italiano Giovanni Pitruzzella, il quale sostiene che non possa essere lasciato a pochi attori privati il compito di regolare la Rete, ma che invece si debba istituire un “ente terzo” indipendente dai governi nazionali e coordinato da Bruxelles, che abbia il potere di intervenire rapidamente se l’interesse pubblico risulti danneggiato.

A livello nazionale, sarebbe invece auspicabile la costituzione di un tavolo consultivo permanente da istituirsi presso il Dipartimento informazione ed editoria di Palazzo Chigi, coinvolgendo tutti gli attori della filiera, dall’Ordine dei giornalisti alla Fieg, dai colossi della Rete al Ministero dell’Istruzione. L’esecutivo potrebbe dunque farsi promotore di un proficuo dialogo tra tutti gli operatori della filiera di produzione e distribuzione delle notizie e dei contenuti in Rete, per definire insieme una serie di linee guida finalizzate ad arginare le fake news e a valorizzare l’informazione di qualità. Gli ultimi governi hanno infatti trascurato il tema della democrazia della Rete e del ruolo degli Over the top.

Oggi però il clima è cambiato, anche grazie allo sforzo collaborativo di Google e della Fieg, e quindi va trovata una nuova sintesi, più inclusiva, tra le esigenze dei diversi attori in campo. Definire dunque queste linee guida attraverso un momento istituzionale di confronto tra gli operatori della filiera di produzione, dagli editori ai giornalisti, dai motori di ricerca ai social network, sarebbe fondamentale per valorizzare i contenuti di qualità e, di conseguenza, rafforzare la democrazia.

Spesso, però, i responsabili della diffusione delle bufale in Rete non sono soltanto i siti che le producono, ma anche autorevoli testate giornalistiche che – inghiottite dalla frenesia quotidiana che si respira nelle redazioni – si ritrovano a condividere e a riprendere notizie chiaramente false. Altrettanto importante sarebbe perciò formare i giornalisti stessi, promuovendo corsi di formazione nelle redazioni su un utilizzo ponderato delle fonti in Rete, su un uso corretto e responsabile dei social e sull’introduzione di meccanismi di differenziazione e identificabilità dei contenuti prodotti professionalmente da giornalisti rispetto ai contenuti prodotti da non giornalisti e dilettanti, non vincolati al rispetto del principio di verità dei fatti, di quello dell’essenzialità della notizia e degli altri principi deontologici.

L’alleanza con i giornalisti per combattere il dilagare delle fake news, infatti, resta l’arma più efficace. Lo ha già capito Mark Zuckerberg, per esempio, che proprio di recente ha ingaggiato la giovane e talentuosa giornalista del New York Times Alex Hardiman, che lavorerà al contrasto delle fake news sul social network più popolare al mondo. E lo hanno capito anche i motori di ricerca come Google che stanno finanziando organizzazioni impegnate nel fact checking e composte da giornalisti di professione.

In soccorso della verità in Rete, stanno infine arrivando anche nuove risorse tecnologiche: rimuovere dal web un contenuto falso – o peggio ancora diffamante – finora non è mai stato un processo immediato, ma un’operazione che spesso richiedeva anche diverse ore, durante le quali la notizia navigava indisturbata nel mare magnum del web diventando virale. Oggi invece, mentre  Google sta sperimentando un’intelligenza artificiale che riconosce e isola eventuali commenti violenti e offensivi dando invece maggiore risalto alle pagine web verificate, Facebook dal canto suo assolda complessivamente 7.500 “sentinelle” incaricate di vegliare sui nostri profili segnalando “bufale” e contenuti violenti. Tutti significativi passi in avanti, ma la strada è ancora in salita.

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