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AI: scorciatoia per lo sviluppo dei Paesi poveri?

Ai in Africa

Parc National des Volcans, Rwanda. August 4, 2005. Children on a Rwandan farm. Anywhere you go in Rwanda, as soon as you pull out a camera a group of curious children will form to meet the strangers and shyly pose. These children lived on the mountainside farms we crossed on the first part of our trek to see the gorillas. Credit: by Sarel Kromer.

Mentre, proprio in queste ore, nei principali mercati si discute del sentiment legato all’AI, e della conseguente bolla finanziaria generata, l’Economist dedica un articolo al valore dell’intelligenza artificiale in termini di riduzione della povertà nei Paesi in via di sviluppo. 

La fotografia offerta dal settimanale londinese è particolarmente incoraggiante e si basa su dati reali. Il dato su cui riflettere è davanti agli occhi di tutti: nel mondo sono già 800 milioni le persone, ossia un settimo della popolazione adulta mondiale, che attingono a ChatGPT per approfondire la conoscenza su argomenti meno noti. Perché allora non pensare all’AI come a uno strumento di democratizzazione del sapere? 

A meno di tre anni dal lancio di ChatGPT, un sondaggio delle Nazioni Unite mostra che la fiducia nell’IA è più alta proprio nei Paesi con un livello di sviluppo più basso. In particolare, secondo i dati riportati dalla società di ricerca GWI, tra gli utilizzatori più entusiasti figurano ghanesi e nigeriani, che la impiegano come un “consulente” in diversi ambiti. 

Una statistica che conferma una realtà verificata da molteplici studi e ricerche: le invenzioni più recenti si sono diffuse nei Paesi poveri più rapidamente, ma con un uso superficiale.

In quest’ottica, l’adozione dell’IA, tra sfide energetiche e di connettività, problemi linguistici, nonchè difficoltà nello sviluppo di competenze adeguate, potrebbe rivelarsi ancora più impegnativa. 

L’IA può democratizzare la conoscenza?

Può l’intelligenza artificiale democratizzare, quindi mettere a disposizione di tutti, il sapere? I primi studi lasciano intravedere segnali positivi.

A Nairobi, OpenAI e Penda Health, una catena di cliniche di base, hanno testato uno strumento che supporta i medici durante le visite. In una sperimentazione randomizzata su quasi 40.000 pazienti in 15 cliniche, i medici assistiti dall’IA hanno ridotto gli errori diagnostici del 16% e quelli terapeutici del 13%.

In Nigeria, un programma extrascolastico di sei settimane con Microsoft Copilot, in cui gli studenti interagivano con il chatbot due volte a settimana, ha migliorato i punteggi di inglese di un livello equivalente a quasi due anni di istruzione aggiuntiva.

Saltare le tappe dello sviluppo

L’auspicio dunque, è che, come accaduto con i telefoni cellulari, anche l’IA possa aggirare i vecchi colli di bottiglia dello sviluppo. Basti pensare che negli anni ’90, la maggior parte dei Paesi africani contava meno di una linea telefonica ogni 100 abitanti. Oggi, grazie alla telefonia mobile hanno raggiunto quasi la copertura universale.

L’IA potrebbe diffondersi attraverso smartphone economici e modelli locali, tuttavia per farlo deve superare tre ostacoli principali: la connettività, le competenze degli utenti e la capacità istituzionale.

La sfida della connettività

Tra tutte, forse l’unica certezza è che l’intelligenza artificiale richiede l’accesso a Internet. Gli utenti devono comunque essere connessi, e a causa delle elevate commissioni imposte dagli operatori mobili, i tentativi di fornire servizi di IA via SMS restano proibitivi. 

Nel 2024, nove persone su dieci nei Paesi ricchi erano online, contro una su quattro nei Paesi poveri. Circa l’85% degli africani vive nel raggio di una rete mobile a banda larga, ma i dati mobili, anche in modalità “pay-as-you-go”, restano troppo costosi.

La buona notizia  però è che, dal punto di vista dell’utente, l’IA è relativamente economica. Una singola pagina di risultati di ricerca, piena di immagini e pubblicità, consuma fino a 3.000 volte più dati di una semplice richiesta testuale a un chatbot. 

Grazie alla riduzione dei costi di elaborazione, nel 2024 inviare una domanda a ChatGPT costava già il 90% in meno rispetto al caricamento dei risultati di una ricerca web. Ciò potrebbe rendere l’accesso alle informazioni più conveniente.Tuttavia, finché i dati non diventeranno più economici e la connettività non si estenderà, la rivoluzione dell’IA rischia di lasciare indietro i più poveri.

La mancanza di competenze

Anche dove Internet c’è, molti non hanno ancora le capacità per usare l’IA in modo produttivo.

La Banca Mondiale stima che il 70% dei bambini di dieci anni nei Paesi a basso e medio reddito non sia in grado di leggere un testo semplice. Per i nuovi utenti, aprire un chatbot, digitare un comando o interpretarne la risposta può, quindi, risultare difficile.

Inoltre, per trarre valore da questi strumenti è necessario avere la capacità di porre le domande giuste.

Nicholas Otis, dell’Università della California a Berkeley, e i suoi coautori hanno scoperto che gli imprenditori kenioti più esperti hanno aumentato i profitti di oltre il 15% grazie all’assistenza dell’IA, mentre quelli meno esperti hanno registrato un calo, avendo seguito consigli troppo generici.

Bidogna poi aggiungere che le tecnologie fanno davvero la differenza solo quando le imprese si riorganizzano per sfruttarle appieno. Quando le fabbriche sostituirono le lampade a gas con l’elettricità, inizialmente cambiò poco. Ma quando ripensarono l’intera produzione attorno ai nuovi macchinari elettrici, la produttività esplose.

Il problema della lingua

La barriera linguistica da sempre amplifica le disuguaglianze e con l’intelligenza artificiale non è diverso. La maggior parte dei sistemi di IA è addestrata principalmente in inglese e in altre lingue dei Paesi più ricchi, lasciando centinaia di idiomi quasi esclusi.

Il risultato è un divario tra ciò che l’IA può dire e ciò che molti utenti possono comprendere.

In alcuni Paesi africani si sta cercando di colmare questa distanza con dataset aperti, che dovrebbero porre le basi per una maggiore inclusività. A questi si aggiungono strumenti open-source basati sul riconoscimento vocale, che dovrebbero rendere possibile parlare con le macchine nella propria lingua.

L’IA farà davvero crescere la produttività?

Infine, non di minor valore risulta il fattore economico. Il successo dell’intelligenza artificiale dipenderà, ricorda l’Economist, soprattuto dalla sua capacità di aumentare la produttività complessiva.
Come ha osservato Lant Pritchett della London School of Economics, nessun Paese ha mai raggiunto un’istruzione di massa o un sistema sanitario efficiente senza prima diventare più ricco. È la crescita diffusa, trainata dalla produttività dei lavoratori, che sostiene i progressi duraturi del capitale umano.

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