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AI, quali effetti avrà il disegno di legge sul lavoro?

di Daniela Fargnoli, avvocato specializzato in diritto del lavoro |

In attesa della definizione dell’iter d’approvazione del Regolamento UE e dell’adozione dei decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale a quest’ultimo, ci si interroga sull’incidenza dell’IA nel mercato del lavoro e nel rapporto di lavoro.

Il 23 aprile scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge recante disposizioni e delega al Governo in materia di intelligenza artificiale (IA).

Fino ad oggi, l’incidenza dell’intelligenza artificiale nel rapporto di lavoro è stata regolata mediante disposizioni aventi ad oggetto: la protezione dei dati personali nei processi decisionali automatizzati (artt. 22, 13, 14 15, Reg. UE 2016/679); gli obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati (d.lgs. 152/1997, art. 1 bis); la tutela del lavoro autonomo mediante piattaforme digitali (art. 47 bis e ss. d. lgs. 81/2015); e gli impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo (Statuto dei Lavoratori, art. 4).

In linea con il Regolamento approvato dal Parlamento Europeo il 13 marzo 2024 (Artificial Intelligence Act), il ddl promuove l’utilizzo corretto, trasparente e responsabile dell’Intelligenza artificiale, in una “dimensione antropocentrica” e garantisce la vigilanza sui rischi economici e sociali e sull’impatto sui diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Lavoro, i 3 punti chiave

In materia di lavoro, vengono in rilievo tre previsioni: le disposizioni sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale; l’istituzione di un Osservatorio ad hoc e l’impiego dell’IA nelle professioni intellettuali.

Con le prime, lo schema di legge specifica che il ricorso all’Intelligenza artificiale deve avvenire per migliorare le condizioni di lavoro e tutelare l’integrità psico fisica dei lavoratori da un lato; ed anche per accrescere la qualità delle prestazioni lavorative e la produttività delle persone, nel rispetto della normativa UE, dall’altro.

L’impiego dell’IA dovrà avvenire – prosegue il ddl – in maniera affidabile e trasparente e nel rispetto della dignità umana e della privacy. Inoltre, nell’organizzazione e nella gestione del rapporto di lavoro, l’intelligenza artificiale dovrà garantire l’osservanza dei diritti inviolabili del lavoratore, in conformità alla normativa antidiscriminatoria dell’Unione. 

Nell’utilizzo dei sistemi e modelli di IA, il datore di lavoro dovrà rispettare gli obblighi d’informazione già previsti dall’art. 1 del d.lgs. 152/1997 (per l’ipotesi di ricorso a sistemi automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti sul rapporto di lavoro) e, in forza del rinvio operato da questa disposizione all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, i limiti posti a tutela dei lavoratori nei controlli a distanza.

Le due successive previsioni riguardano, invece, le professioni intellettuali che potranno far ricorso all’IA per attività strumentali e di supporto all’attività professionale (purché sia prevalente il lavoro intellettuale e l’utilizzo di un linguaggio chiaro ed esaustivo per comunicare le informazioni sui SIA impiegati) e l’istituzione dell’Osservatorio sull’adozione dei sistemi di Intelligenza artificiale – presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – incaricato di definirne la strategia d’utilizzo, monitorarne l’impatto sul mercato del lavoro e promuovere la formazione in materia.

L’analisi

In attesa della definizione dell’iter d’approvazione del Regolamento UE e dell’adozione dei decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale a quest’ultimo, ci si interroga sull’incidenza dell’IA nel mercato del lavoro e nel rapporto di lavoro.

Tra i rischi, nel mercato del lavoro, l’IA potrebbe determinare la soppressione di lavori “classici”, l’impoverimento delle relazioni lavorative sotto il profilo umano e nuovi spettri discriminatori quali le discriminazioni algoritmiche (noto il caso del 2015 in cui i machine learning specialists di Amazon hanno realizzato che l’algoritmo progettato nel 2014 per automatizzare il reclutamento del personale discriminava le donne essendo riuscito a riconoscere il sesso – quale criterio di selezione – da altri dati curriculari). 

Sempre tra i possibili rischi, però nel rapporto di lavoro, potremmo assistere a un’obiettiva alienazione nel confronto tra lavoratori e imprenditori (o superiori gerarchici); alla “spersonalizzazione dei poteri datoriali” o ancora alla crescente difficoltà nella decodificazione, da pare dei prestatori di lavoro, delle scelte imprenditoriali. 

Per quanto riguarda invece i possibili benefit, nel mercato del lavoro, stiamo già assistendo all’avvento dei c.d. AI jobs: profili professionali innovativi, ma profondamente connessi all’intelligenza artificiale e già classificati come job roles in increasing demand dal The Future of Jobs Report 2020 del World Economic Forum (Data Analysts and Scientists, AI and Machine Learning Specialists, Big Data Specialists, Digital Marketing and Strategy Specialists, Process Automation Specialists,  Business Development Professionals, Digital Transformation Specialists, Information Security Analysts, Software and Applications Developers).

Si tratta di nuovi profili che potranno sostituire quelli del passato o, per lo meno, affiancarli considerato che, secondo quanto suggerito da uno recente studio del maggio 2023, quantomeno le classi professionali caratterizzate da livelli elevati di intelligenza creativa e sociale risulterebbero meno esposte all’automatizzazione (ingegneri, architetti e professioni assimilate – “Automazione e lavoro: una ricerca su cambiamento tecnologico e impatto sull’occupazione”, M.e Bannò, E. Filippi e S. Trento).

In ogni caso, un rapporto del FMI del gennaio 2024 ha stimato che nelle economie avanzate l’intelligenza artificiale avrà un impatto sul 60% dei posti di lavoro (“about 60 percent of jobs are exposed to AI”) a causa della prevalenza di lavori cognitive-task-oriented (Gen-AI: Artificial Intelligence and the Future of Work).  

Esaminando invece i benefit, sul versante del rapporto di lavoro, il ricorso all’intelligenza artificiale potrebbe migliorare l’approccio al lavoro mediante una digitalizzazione nella fase preassuntiva (recruitment e organizzazione della domanda e dell’offerta) e in determinati ambiti (quali: la formazione professionale, l’organizzazione dei servizi per il lavoro, la tutela della salute e della sicurezza); purché utilizzata nel rispetto dei limiti tracciati in tema di rispetto della privacy, degli obblighi d’informazione e dei controlli a distanza.

Il quadro normativo sarà quindi rivisitato, in fase di attuazione della delega prevista dal ddl, secondo le prescrizioni dettate dal richiamato Regolamento UE che, proprio in tema di lavoro (nel Considerando 57), classifica come “Sistemi di Intelligenza artificiale ad alto rischio” quelli utilizzati nel settore dell’occupazione, nella gestione dei lavoratori e nell’accesso al lavoro autonomo; che potrebbero “avere un impatto sul futuro di tali persone in termini di prospettive di carriera e sostentamento e di diritti dei lavoratori”.