L’AI Continent Action Plan e il cambio di paradigma necessario
La Commissione europea, con l’annuncio dell’AI Continent Action Plan, ha ufficialmente avviato una svolta strategica nell’approccio all’intelligenza artificiale (AI), puntando a fare dell’Unione europea (Ue) un polo globale per lo sviluppo e l’adozione di questa tecnologia strategica.
Il piano prevede investimenti per 200 miliardi di euro, di cui 20 miliardi pubblici e 180 provenienti da capitali privati, destinati alla creazione di cinque gigafabbriche AI, centri dotati di circa 100.000 chip ad alte prestazioni ciascuno.
Secondo il Report di S&P Global, dal titolo “Europe’s AI U-turn raises doubts, hopes”, l’obiettivo dichiarato è replicare il modello CERN: creare infrastrutture europee condivise, accessibili gratuitamente per finalità di innovazione, e in grado di fornire la capacità computazionale necessaria per competere con gli hyperscaler statunitensi.
Un ecosistema sotto stress tra regole, burocrazia e scarsità di competenze
Nonostante l’ambizioso obiettivo generale, il progetto rischia di scontrarsi con ostacoli strutturali profondi: un tessuto normativo caratterizzato da iperregolamentazione e iperburocrazia, un mercato del lavoro poco attrattivo per i talenti internazionali e una dipendenza critica dalle infrastrutture cloud extra-Ue.
Il nuovo corso normativo dell’Unione, pur restando ancorato all’AI Act, prevede una fase di “semplificazione mirata” per ridurre l’onere normativo sulle startup. Tuttavia, il rischio di favorire solo i grandi operatori dotati di compliance team e risorse legali resta elevato.
Sul fronte dei talenti, spiccano le denunce di autorevoli scienziati europei, tra cui Yann LeCun, particolarmente noto per i suoi rilevanti contributi nei campi dell’apprendimento automatico, della visione artificiale e della robotica,secondo cui l’Ue privilegia un modello “project-based” invece di valorizzare i ricercatori.
La necessità di riformare il sistema dei visti e di attrarre competenze globali è oggi considerata prioritaria e le politiche trumpiane potrebbero favorire una fuoriuscita di ricercatori e studiosi dagli Stati Uniti, che l’Europa deve assolutamente intercettare.
La sfida infrastrutturale si accende su energia, cloud e data center
Dal punto di vista industriale, la principale criticità riguarda la carenza infrastrutturale di data center.
Secondo i dati di 451 Research, l’Europa dispone di una capacità locata pari a metà di quella USA e cinese. A questo si somma il problema energetico: i limiti ambientali imposti in Germania e la moratoria olandese su nuovi data center ne rallentano l’espansione.
Un altro punto critico è l’incompatibilità tra supercomputer pubblici e ambienti cloud commerciali.
Le startup preferiscono AWS e Google Cloud per la scalabilità e la flessibilità software, come nel caso di Synthesia, costretta a gestire parte dei suoi carichi negli Stati Uniti per insufficienza di risorse europee.
Ma l’Europa non deve per forza percorrere la strada del gigantismo tecnologico. Il rischio dell’iperfinanziarizzazione è troppo alto e con esso quello degli oligopoli.
I territori regionali possono offrire delle valide alternative, puntando sulle imprese e le competenze nazionali, che non mancano e possono essere all’altezza della sfida.
I numeri del divario con gli USA
I dati riportati nel documento parlano chiaro: oltre 130 startup GenAI europee hanno raccolto circa 5 miliardi di dollari, un valore modesto rispetto ai 161 miliardi raccolti dalle loro controparti americane. Il Regno Unito è il capofila europeo, seguito da Francia e Germania.
Gli USA beneficiano di un contesto favorevole: capitali di rischio abbondanti, infrastrutture cloud mature, e una strategia industriale flessibile. L’Europa, se vuole colmare questo gap, dovrà accelerare sul fronte dell’efficienza regolatoria, dell’energia sostenibile e del coordinamento tra Stati membri.
Best practice: il caso Francia
In un panorama frammentato, la Francia emerge come modello virtuoso. Il governo, in collaborazione con NVIDIA e il fondo sovrano MGX degli Emirati Arabi, sta realizzando un cluster AI da 1,4 GW a Parigi. L’infrastruttura sarà alimentata principalmente da energia nucleare, garantendo sostenibilità e indipendenza energetica.
Si tratta di una strategia simile a quella adottata da OpenAI negli Stati Uniti con il proprio data center da 1,2 GW in Texas: un segnale chiaro che il controllo dell’infrastruttura diventa un asset strategico e geopolitico.
Un piano UE ambizioso, ma fragile senza riforme trasversali
Il piano europeo per l’AI rappresenta un passo audace, ma resta fragile senza un cambio di mentalità sistemico. Non basta costruire gigafabbriche e supercomputer: serve una politica industriale capace di garantire accesso equo ai dati, scalabilità energetica, attrazione dei talenti globali e norme smart-oriented.
Per i policymaker, la sfida è duplice: da un lato rendere il mercato europeo più competitivo per l’AI; dall’altro, tutelare l’autonomia tecnologica e la sovranità digitale del continente. Per i manager ICT, è il momento di leggere tra le righe e posizionarsi: le decisioni di oggi determineranno il ruolo che le imprese europee giocheranno nella prossima rivoluzione industriale.