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AI, la vera bolla potrebbe nascondersi nei titoli energetici

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Se la bolla dell’AI dovesse mai sgonfiarsi, a soffrire di più sarebbero le società energetiche: senza ricavi, costruite su aspettative più che su fondamentali.

L’AI dei profitti reali e dalle prospettive sempre più solide

Negli ultimi mesi molti osservatori si sono interrogati se l’intelligenza artificiale (AI) non stia vivendo la sua “bolla”, con valutazioni azionarie stellari e un entusiasmo che ricorda i giorni della dot-com mania. Ma guardando meglio ai fondamentali, la situazione appare diversa: se c’è un settore dove il rischio di eccessi si sta accumulando, non è la tecnologia, bensì l’energia.

Le grandi aziende dell’intelligenza artificiale – da Nvidia a Microsoft, a Oracle e Google – sono tutt’altro che sogni senza fondamenta. Sono società con ricavi miliardari, margini operativi solidi e una domanda concreta di prodotti e servizi.

Anche se la corsa all’AI dovesse rallentare, queste imprese continuerebbero a generare profitti grazie alle loro attività core: data center, software, servizi cloud.

In altre parole, non stiamo parlando di startup che vivono di promesse, ma di colossi che macinano utili e reinvestono in innovazione, che comunque si sta integrando nel tessuto aziendale e produttivo globale. È per questo che, nonostante le valutazioni elevate, parlare di “bolla AI” è fuorviante: i multipli riflettono crescita reale e una tecnologia che sta già trasformando il modo in cui lavoriamo e produciamo valore.

L’energia è il nuovo terreno della speculazione?

Al contrario, il vero rischio speculativo sembra spostarsi verso l’energia. Un recente articolo del Wall Street Journal firamto da Jinjoo Lee, ha messo in luce un fenomeno poco discusso: una serie di società energetiche senza ricavi che hanno visto le loro capitalizzazioni di mercato esplodere sulla scia dell’entusiasmo per l’AI.

La logica è semplice, ma pericolosa: se l’intelligenza artificiale richiederà quantità enormi di energia per alimentare i data center, allora le aziende che promettono di produrla in futuro dovrebbero valere oro.
Il problema è che molte di queste società non producono ancora nulla.

Il caso Oklo: una startup “nucleare” da 26 miliardi di dollari senza licenza

L’esempio più emblematico è Oklo, startup nucleare sostenuta dal CEO di OpenAI Sam Altman. Le sue azioni sono aumentate di otto volte dall’inizio dell’anno, portando la capitalizzazione a circa 26 miliardi di dollari.

Eppure, l’azienda non ha generato alcun ricavo negli ultimi dodici mesi, non possiede ancora una licenza della U.S. Nuclear Regulatory Commission e non ha firmato contratti vincolanti per la vendita di energia.

Oklo sviluppa piccoli reattori modulari (a loro volta già oggetto di una campagna di comunicazione dal carattere fortemente speculativo) che utilizzano sodio liquido come refrigerante e uranio arricchito in quantità limitata. Ma i primi ricavi significativi non sono attesi prima del 2028. Per ora, è soprattutto una promessa.

Fermi e il sogno da 11 gigawatt

Un’altra società “zero ricavi” è Fermi, valutata 19 miliardi di dollari al debutto in Borsa. Guidata da Toby Neugebauer e sostenuta dall’ex segretario all’Energia Rick Perry, Fermi punta a costruire 11 gigawatt di capacità energetica per alimentare data center — l’equivalente dell’intero fabbisogno del New Mexico.

Il problema? Al momento ha acquistato solo le attrezzature per coprire circa il 5% dell’obiettivo e non ha ancora clienti vincolati da contratti. Nonostante ciò, vale più di 17 miliardi, non troppo distante da Talen Energy, un’azienda che quei 11 gigawatt li produce davvero.

Le mini-nucleari e l’euforia del mercato

Non solo le grandi: anche le micro-startup del settore nucleare godono di valutazioni fuori scala.
Nano Nuclear Energy, che ha debuttato in Borsa lo scorso anno, è oggi valutata oltre 2 miliardi di dollari, mentre Terra Innovatum, nata da una fusione con una SPAC, supera 1 miliardo.

A completare il quadro ci sono società come NuScale Power e Plug Power, che un po’ di ricavi li fanno, ma non prevedono profitti prima del 2030.

Anche qui l’euforia è alimentata dall’AI: il ragionamento degli investitori è che più server servono più energia, e quindi più profitti per chi promette di fornirla.

Se scoppia la bolla AI ci rimetterebbero le società energetiche

Certo, un’ondata di capitale può accelerare l’innovazione e aiutare tecnologie costose – come i reattori modulari o le celle a combustibile – a uscire dai laboratori. Ma la storia recente, dai fallimenti di Nikola, Fisker e Lordstown, insegna che il mercato non perdona chi promette troppo e consegna poco.

Se la bolla dell’AI dovesse mai sgonfiarsi, a soffrire di più sarebbero proprio queste società energetiche senza ricavi, costruite su aspettative più che su fondamentali.

AI e bolla industriale vs bolla finanziaria

A questo punto, diventa necessario fare una distinzione fondamentale tra “bolla finanziaria” e “bolla industriale”.

Una bolla finanziaria si verifica quando il valore di mercato di un’attività (azioni, immobili, criptovalute, ecc.) cresce molto più rapidamente dei suoi fondamentali economici, spinto da aspettative irrazionali di guadagno.

In pratica, gli investitori comprano non perché l’attività valga tanto, ma perché pensano che qualcun altro la comprerà a un prezzo ancora più alto. È un fenomeno speculativo. Vedi i casi storici della bolla dot-com (fine anni ’90 del secolo scorso) e di quella immobiliare (2008).

Una bolla industriale, invece, riguarda il lato reale dell’economia: si verifica quando un settore produttivo attira troppi investimenti e capacità produttiva rispetto alla domanda effettiva o sostenibile nel lungo periodo.
Due casi esemplari sono: la bolla ferroviaria britannica del XIX secolo, con enormi capitali spesi per costruire linee che non avevano traffico sufficiente; la bolla delle rinnovabili in Cina, con troppa produzione di pannelli solari e turbine rispetto alla domanda globale seguita dal crollo dei margini.

In questo caso, non si gonfiano solo i prezzi finanziari, ma si costruiscono fisicamente troppi impianti, fabbriche o infrastrutture che poi rimangono sottoutilizzati.

L’intelligenza artificiale sta cambiando il mondo dell’economia reale: automatizza, ottimizza, crea nuovi modelli di business. L’energia, invece, è un settore che richiede anni di sviluppo, regolamentazione e capitali ingenti prima di produrre ritorni.

Oggi, paradossalmente, il mercato sembra premiare le promesse energetiche più delle realizzazioni tecnologiche. Ma se la storia ha una lezione da offrire, è che i giganti dell’AI sopravviveranno anche a una correzione. Le startup senza ricavi, invece, rischiano di evaporare al primo terremoto.

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