In Cina si impone l’uso esclusivo di chip AI domestici nei data center finanziati con fondi pubblici
La Cina compie un nuovo passo decisivo verso l’autosufficienza tecnologica. Secondo quanto riportato da Reuters, Pechino avrebbe emanato una direttiva che impone a tutti i nuovi progetti di data center finanziati, anche solo in parte, con fondi statali, di utilizzare solo chip per l’intelligenza artificiale (AI) prodotti da aziende cinesi.
Si tratta di una delle misure più forti adottate finora per ridurre la dipendenza dal know-how occidentale e accelerare la creazione di una filiera tecnologica autonoma.
La Cina esclude Nvidia, AMD e Intel
Negli ultimi anni, la Cina ha investito più di 100 miliardi di dollari nella costruzione di infrastrutture per l’elaborazione dei dati, considerate fondamentali per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della trasformazione digitale.
Tuttavia, secondo le nuove linee guida, i progetti di data center che hanno ricevuto finanziamenti pubblici e che sono ancora in fase di costruzione dovranno rimuovere qualsiasi chip straniero già installato o cancellare i piani di acquisto, mentre quelli più avanzati verranno valutati caso per caso.
Le autorità di Pechino — tra cui si probabilmente la Cyberspace Administration of China e la National Development and Reform Commission — vogliono così eliminare gradualmente i processori prodotti da colossi come Nvidia, AMD e Intel, a vantaggio dei produttori nazionali, tra cui spiccano Huawei, Cambricon, MetaX, Moore Threads ed Enflame.
Trump-Xi 1 a 1 sui chip, palla al centro
Dopo l’incontro di Busan fra Trump e Xi a fine ottobre 2025, la situazione tra Stati Uniti e Cina sui chip rimane molto tesa e complicata. Pur avendo avuto una tregua formale sul fronte dei dazi e delle restrizioni su terre rare, gli Stati Uniti continuano a bloccare l’esportazione di chip avanzati verso la Cina. Trump ha ribadito che i chip più potenti, soprattutto quelli di Nvidia destinati all’intelligenza artificiale, rimarranno esclusivamente in mano statunitense e non saranno inviati a Pechino.
Questa mossa cinese arriva in contrapposizione alla diplomazia apparente del summit di Busan, mostrando che la competizione tecnologica e la guerra commerciale sono ancora alla base delle politiche nazionali dei due Paesi. Pechino punta a triplicare la produzione nazionale di chip entro il 2026 per svincolarsi dalla dipendenza dai semiconduttori americani, anche a costo di rinunciare a prestazioni di punta nel breve termine.
Le motivazioni: sicurezza nazionale e sovranità tecnologica
La decisione di Pechino va letta in una doppia chiave: la sicurezza nazionale e una strategia geopolitica ben precisa fondata sull’indipendenza tecnologia.
Da un lato, la dipendenza da chip stranieri è considerata un rischio strategico: il governo teme che hardware e software sviluppati all’estero possano rappresentare una vulnerabilità per infrastrutture critiche come i data center.
Dall’altro lato, la misura si inserisce nel contesto dello scontro tecnologico tra Stati Uniti e Cina, in cui Washington ha imposto severe restrizioni all’export di chip avanzati per impedire a Pechino di sviluppare sistemi di intelligenza artificiale di livello militare.
Negli ultimi mesi, il governo statunitense ha bloccato la vendita dei chip più potenti di Nvidia, come i modelli H200 e B200, e anche delle versioni ridotte destinate al mercato cinese. Questa politica ha praticamente azzerato la presenza di Nvidia nel Paese: dal 95% del mercato nel 2022, oggi la quota della società americana è scesa a zero.
Un’opportunità per la Cina e la sua industria tecnologica (ma anche un rischio)
Il nuovo divieto apre spazi enormi per le aziende cinesi che progettano chip AI. Huawei, in particolare, grazie alla linea Ascend, è già in grado di offrire prestazioni competitive, mentre altri attori come Cambricon stanno cercando di migliorare la compatibilità con gli ambienti di sviluppo più diffusi, dominati fino ad oggi dall’ecosistema Nvidia.
Tuttavia, la sostituzione totale dei chip stranieri comporta rischi significativi. Le limitazioni sulle attrezzature per la produzione di semiconduttori, imposte dagli Stati Uniti e dai loro alleati, continuano a frenare la capacità produttiva della SMIC (Semiconductor Manufacturing International Corporation), il principale produttore di chip cinese.
Di conseguenza, il Paese potrebbe trovarsi con data center meno performanti e con un ritardo crescente rispetto agli standard tecnologici di Stati Uniti ed Europa.
