Data economy

AI e big data, i lavori del futuro decollano nel Regno Unito ma non in Italia

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Al momento solo 300 posizioni aperte nel nostro Paese come data analyst e data scientist, contro le 1.500 dell’Olanda e le 18.000 della Gran Bretagna. Entro il 2030 il 50% dei posti di lavoro sarà automatizzato anche da noi, ma la metà dei lavoratori si dice favorevole.

La trasformazione digitale ha travolto anche il mondo del lavoro, ma non in tutti i Paesi alla stessa velocità e con le stesse modalità. L’introduzione di nuove tecnologie nell’industria, nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione, ha portato all’emergere di nuove professioni e ha determinato profondi cambiamenti nelle mansioni, nelle competenze e nelle abilità dei singoli e dei gruppi, ormai orientate al digitale.

Nelle scorse settimane, Jobrapido ha diffuso dei dati relativi alle nuove figure professionali legate al mondo dei big data (i grandi dati) e dell’intelligenza artificiale (o AI, che sta per artificial intelligence), due tecnologie oggi inserite nel gruppo della cosiddetta “Terza Piattaforma” e abilitanti la digital transformation (DX) del mondo economico (e non solo).

Secondo l’indagine, in Italia per le posizioni aperte alla fine del 2018, per profili come data analyst e data scientist, sono emersi poco più di 300 annunci di lavoro, concentrati soprattutto in Lombardia (115 data analyst e 74 data scientist), a cui seguono, con un significativo distacco numerico, il Lazio e l’Emilia Romagna.

Un numero esiguo se si pensa che nei Paesi Bassi, un mercato sensibilmente più piccolo del nostro, le posizioni aperte nello stesso periodo hanno superato quota 1500, cinque volte il totale italiano.

Il ritardo emerge ancora più nettamente se si raffronta il dato del nostro Paese con quello di un mercato particolarmente avanzato come quello del Regno Unito, dove la domanda di data analyst e data scientist ha superato le 18mila unità.

Rimangono invece le medesime, in tutti e tre i Paesi in considerazione, le competenze richieste a chi cerca lavoro nel mondo dell’AI e dei big data, con machine learning, conoscenza del linguaggio Python e di SQL, Apache Spark e Hadoop sempre al vertice dei desiderata.

Altro aspetto non meno importante è l’introduzione massiccia della robotica nei luoghi di lavoro.

In media, in tutto il mondo, più del 30% dei posti di lavoro saranno automatizzati (“replaced by automation”).

In Italia, entro il 2030, il 50% dei posti di lavoro potrebbe essere sostituito dai robot, secondo uno studio McKinsey.

In questo panorama in rapida trasformazione, le reazioni dei lavoratori stessi sono però diverse e in parte anche inaspettate.

Nel Rapporto “Robot, Intelligenza artificiale e Lavoro in Italia, promosso da Aidp e LabLaw, e realizzato da Doxa, è emerso che nelle aziende non ancora robotizzate, il 48% dei lavoratori è favorevole all’utilizzo di robot e AI, uno su cinque (il 20%) è contrario, mentre uno su tre (32%) non ha ancora un’idea precisa in merito.

Percentuali, e orientamenti, che cambiano molto invece nelle aziende già robotizzate, dove quindi si può esprimere un giudizio più ponderato, basato sull’esperienza diretta. Un po’ a sorpresa, qui troviamo invece che il totale dei lavoratori favorevoli all’uso di robotica e Intelligenza artificiale sale al 67%, mentre meno di uno su dieci (l’8%) si dice contrario, e uno su quattro (25%) non si sbilancia.

Non solo. Tra i lavoratori di aziende robotizzate, i giudizi positivi, riguardo gli effetti sull’attività lavorativa, sono maggiori tra gli operai (per il 78% del totale), rispetto a quelli, sempre alti, di quadri (66%) e impiegati (60%).