L’euforia dell’AI scricchiola: tra crolli in Borsa, debiti miliardari e paura di una nuova bolla tech
Dopo mesi di rialzi vertiginosi alimentati dall’euforia per l’intelligenza artificiale (AI), i mercati globali hanno vissuto un brusco risveglio.
Dall’Asia all’Europa fino a Wall Street, le vendite hanno colpito i titoli tecnologici e AI-driven, lasciando intravedere una crepa nel mito dell’ascesa infinita dell’AI. Torna la paura della bolla legata all’intelligenza artificiale?
Asia in caduta libera: Corea e Giappone guidano il sell-off
La correzione è partita dall’Estremo Oriente: il Kospi di Seul è crollato fino al 6,2%, il Nikkei 225 di Tokyo ha perso circa il 4,6%, mentre Taiwan ha chiuso in calo di oltre il 2,5%. A Hong Kong, l’Hang Seng ha ceduto più dell’1%.
Protagonisti in negativo sono stati i grandi nomi dei semiconduttori: Samsung Electronics -5,5%, SK Hynix -6%, SoftBank -14%, evaporando oltre 30 miliardi di dollari di capitalizzazione.
“Le economie asiatiche sono fortemente dipendenti dall’export tecnologico verso gli Stati Uniti“, ha spiegato Alicia García-Herrero, capo economista per l’Asia-Pacifico di Natixis: “Il ciclo AI è interamente intrecciato con la domanda americana, e il sell-off a Wall Street si riflette immediatamente sui listini asiatici“.
Sullo sfondo, da non dimenticare, c’è anche il dibattito al Congresso americano sulla riapertura del governo durante lo shutdown più lungo della storia (36 giorni di fermo delle attivita’ governative non essenziali) e la Corte Suprema chiamata a esaminare la legalità dei dazi imposti dal presidente Donald Trump.
Europa ed America, la paura si propaga verso gli Stati Uniti
Anche l’Europa ha risentito dell’ondata: STOXX 600 -0,7%, FTSE 100 -0,2%, DAX -0,7%.
In questo contesto, i future in Europa si muovono in territorio negativo: Milano -0,6%, Francoforte -0,3%, Parigi -0,6%, Londra -0,04%, mentre l’Euro Stoxx 50 arretra dello 0,7%.
Negli Stati Uniti, la giornata precedente aveva già segnalato la frenata: S&P 500 -1,1%, Nasdaq -2%, Russell 2000 -1,8%.
Il simbolo del boom AI, Nvidia, è scesa del 4%, mentre Palantir ha perso quasi 8%, nonostante utili migliori delle attese.
Il monito di Goldman e Morgan Stanley: più realismo
Dal Global Financial Leaders’ Investment Summit di Hong Kong, David Solomon (Goldman Sachs) e Ted Pick (Morgan Stanley) hanno lanciato un messaggio chiaro: dopo mesi di rialzi record, i mercati azionari devono prepararsi a una correzione fisiologica del 10-20% nei prossimi due anni.
Non si tratta, hanno sottolineato, di una crisi imminente, ma di un «ritorno alla normalità» dopo una fase di euforia.
“Queste correzioni accadono anche durante cicli positivi”, ha detto Solomon., aggiungendo: “Non cambiano la nostra visione di lungo periodo: serve solo rivedere i pesi in portafoglio, non uscire dal mercato”.
Pick ha aggiunto: “Un drawdown del 10-15% non è una catastrofe, è un respiro salutare”.
Le due banche, pur mantenendo una visione ottimista sull’Asia (Hong Kong, Cina, Giappone, India), hanno sottolineato come la concentrazione degli utili su pochi titoli AI sia un rischio crescente.
Michael Burry: “L’unica mossa vincente è non giocare”
A riportare la paura di una “bolla dot-com 2.0” è tornato anche Michael Burry, il leggendario investitore che anticipò la crisi dei subprime del 2008, come raccontato nel 2015 nel bel film “La grande scommessa” del regista Adam McKay, con Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling, Brad Pitt e Marisa Tomei.
Dopo due anni di silenzio, Burry è riapparso su X (ex Twitter) con un messaggio criptico:
“Sometimes, we see bubbles. Sometimes, the only winning move is not to play”.
E, come nel suo stile, alle parole sono seguiti i fatti. Il suo fondo Scion Asset Management ha scommesso contro Nvidia e Palantir, acquistando put options per un valore nozionale di oltre 1 miliardo di dollari (187 milioni su Nvidia, 912 milioni su Palantir).
Due posizioni ribassiste gigantesche, che indicano la convinzione che il boom dell’AI abbia spinto le valutazioni ben oltre la realtà dei fondamentali.
Non a caso, i due titoli hanno reagito con forti ribassi.
Meta e le altre Big Tech ricorrono al debito record per finanziare la corsa all’AI
Nel frattempo, un altro segnale di cambiamento arriva dal comportamento dei giganti del settore.
Meta Platforms, la casa madre di Facebook, ha emesso 30 miliardi di dollari in obbligazioni, un importo record per il gruppo di Menlo Park, destinato a finanziare l’enorme spesa in infrastrutture e data center legati all’intelligenza artificiale.
Nonostante il titolo sia crollato dell’11% in Borsa dopo conti trimestrali deludenti, la domanda per i bond di Meta è stata quattro volte superiore all’offerta.
“Zuckerberg sembra non avere limiti di spesa“, ha commentato Angelo Zino, analista di CFRA Research, “Wall Street è preoccupata, ma sa anche che Meta genera oltre 100 miliardi di dollari l’anno e non avrà problemi a ripagare il debito“.
Secondo gli esperti, anche Google e Microsoft potrebbero presto seguire la stessa strada, sfruttando i tassi di interesse più bassi dopo le ultime mosse della Federal Reserve.
Alphabet, la holding di Google, ha avviato un’importante operazione finanziaria finalizzata al rafforzamento delle sue iniziative nel campo dell’AI, annunciando l’emissione di obbligazioni per un valore minimo di 3 miliardi di dollari.
Meta, inoltre, ha appena creato una joint venture da 27 miliardi di dollari con Blue Owl Capital per costruire nuovi data center e consolidare la propria infrastruttura AI.
Costruire sempre più data center per ingrassare gli asset fisici delle Big Tech
Il caso Meta si inserisce in un trend emergente: le big tech, pur avendo enormi riserve di cassa, stanno scegliendo di finanziare l’AI a debito.
Anche Oracle ha emesso 18 miliardi di dollari in bond e si prepara, secondo Bloomberg, a raccoglierne altri 38 miliardi attraverso le banche.
Dietro queste mosse ci sono due logiche:
- bloccare oggi tassi di interesse ancora favorevoli, prima di un possibile rialzo.
- usare il debito per accelerare gli investimenti in GPU, data center e cloud, mantenendo intatte le riserve di liquidità per eventuali acquisizioni.
Come osserva Byron Anderson, responsabile reddito fisso di Laffer Tengler Investments: “Non è paura di restare fuori dal treno dell’AI (FOMO), ma ricerca di qualità. Meta, Oracle, Microsoft sono nomi solidi, con asset fisici e flussi di cassa giganteschi. Il rischio per chi presta loro denaro è minimo”.
Le startup dell’AI, invece, non possono permettersi questa leva: non generano utili e devono continuare a raccogliere capitali attraverso equity, cedendo quote di proprietà.
E proprio di questa incredibile bulimia di asset fisici da parte dei giganti tecnologici ha parlato anche Nadella, il CEO di Microsoft, chiamando in causa anche un’altra possibile bolla correlata alla straordinaria crescita degli investimenti in AI, quella energetica.
AI tra bolla, realtà e futuro
L’euforia che ha sostenuto il rally del 2025 — con il Nasdaq +20% e l’S&P 500 +15% da inizio anno — ha ora un’ombra lunga: quanto vale davvero l’intelligenza artificiale nel lungo periodo?
La risposta non è semplice. Da un lato, l’AI è ormai l’asse portante dell’economia digitale; dall’altro, la sua corsa rischia di replicare i meccanismi speculativi già visti con le dot-com negli anni 2000.
Come sintetizza David Solomon, “i mercati corrono, poi si fermano per capire se la direzione è giusta“.
E come ammonisce Burry, “a volte l’unica mossa vincente è non giocare“.
L’intelligenza artificiale quindi resta ancora (per il momento) il grande motore del capitalismo globale, ma la linea tra entusiasmo e bolla è sempre più sottile. Ne risulta che il 2025 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui il mondo ha cominciato a chiedersi se il “miracolo AI” è davvero infinito.
