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AgID e ‘quer pasticciaccio brutto’ del dominio .gov.it

Dominio

Gentile direttore Samaritani,

so che sei molto impegnato su parecchi fronti tutti connessi alla trasformazione digitale di questo nostro Paese e, dico la verità, non oso immaginare la mole di lavoro che sei chiamato a gestire ogni giorno.

Per questo mi permetto di parlarti di un paio di minuzie che comprensibilmente possono essere sfuggite ma che ritengo siano di notevole impatto per moltissime Pubbliche amministrazioni italiane.

L’argomento principe è il nome a dominio di secondo livello .gov.it che è stato oggetto di una tua determinazione lo scorso febbraio allorquando ritenesti di approvare una proposta  del capo dell’area “Soluzioni per la pubblica amministrazione” di AgID che voleva riservare il nome a dominio in oggetto solo alle amministrazioni centrali dello Stato.

Bene, siamo alla fine di giugno e, secondo gli atti da te firmati, tutte le PA italiane dovrebbero interrompere l’uso dei loro nomi a dominio registrati sotto la gerarchia .gov.it.

Ricordo ancòra quando l’allora ministro Brunetta, meno di dieci anni fa, stabiliva esattamente il contrario, cioè che tutte le PA italiane avrebbero dovuto dotarsi di un dominio qualificato e riconoscibile, anche all’estero.

Il dietrofrónt che AgID oggi impone, come avrai valutato assieme alla tua squadra, comporterebbe per le PA interessate un disagio, per usare un eufemismo, se non addirittura dei danni.

Penso agli indirizzi di posta elettronica, diffusi in Italia e all’estero da anni e ormai presenti nelle rubriche di chiunque, che da un momento all’altro (cioè dal primo gennaio 2019 stando alla tua determinazione) non funzioneranno più.

E ancòra, le pagine web indicizzate dai motori di ricerca di tutto il mondo, i collegamenti a pagine istituzionali programmati da altri siti (pubblici e privati), i riferimenti alle URL sui bandi publici redatti nella Gazzetta Ufficiale in Italia e nella Unione Europea.

I sistemi informativi delle PA, aggiungo, usano correntemente i nomi a dominio per l’autenticazione degli utenti, per la generazione di certificati di sicurezza e per una molteplicità di funzioni indispensabili al funzionamento efficiente del substrato ICT sotteso all’erogazione dei servizi ai cittadini.

Tralascio qui i dettagli che coinvolgono la carta intestata, i biglietti da visita, il materiale informativo e pubblicitario che si trasformeranno in carta straccia l’anno prossimo.

Mi sento di azzardare che, così come proposta, la riorganizzazione del .gov.it intendo, è potenzialmente più dannosa di un ipotetico cambio del prefisso telefonico per gli uffici pubblici.

Ma lascia che io ti parli anche di uno dei presupposti che AgID adduce per giustificare la necessità di questo tsunami, e cioè il riferimento alle pratiche degli altri Stati europei.

Ora, nella determinazione scrivi che il nome a dominio di secondo livello .gov. individua unicamente le amministrazioni centrali dello Stato con eccezione del Regno Unito. Ecco, questa argomentazione è fallace e lo dimostra una recente consultazione condotta presso il CENTR (Council of European National Top-Level Domain Registries) proprio sul tema in oggetto. Parallelamente, a conferma, ho interpellato di persona i responsabili dei singoli registri nazionali nella UE, e ho attivato un dibattito nel gruppo di lavoro DNS in seno alla comunità RIPE (di cui sono membro).

Le risultanze di queste due attività hanno prodotto risultati coerenti e sovrapponibili che ho condensato in un foglio di lavoro on-line raggiungibile al seguente indirizzo: https://goo.gl/Hfb8Sc

Secondo le nostre indagini, l’assunto citato nella tua determinazione sarebbe errato, cioè tra gli Stati membri dell’Unione Europea appena in undici casi il .gov.* è riservato alle sole amministrazioni centrali. Tutti gli altri (tranne Austria e Belgio che non hanno ancòra risposto) invece o non lo usano affatto o lo usano sia per il Governo sia per gli enti territoriali.

Vengo quindi al secondo aspetto che vorrei portare alla tua attenzione. Se da una parte la determinazione in parola impone un divieto per molte PA (principalmente enti territoriali e scuole), dall’altra non dà indicazioni precise su come rimpiazzare i domini attualmente in uso.

Cioè, se è vero che l’Istituto Tecnico Tecnologico Montani di Fermo, giusto per fare un esempio, ha oggi il nome a dominio istitutomontani.gov.it e che domani dovrà migrare verso il .edu.it, quale terzo livello potrà usare?

iismontani.edu.it oppure itismontani.edu.it oppure itisfermo.edu.it oppure iisfermo.edu.it oppure istitutomontani.edu.it oppure aptf010002.edu.it?

Il caso del Montani credo sia sufficientemente semplice, ma prendiamo quello del liceo Leopardi: delle decine di licei italiani con quel nome, chi si accaparrerà liceoleopardi.edu.it? E i meno veloci quale nome a dominio dovranno scegliere? D’altronde, come si farà in Italia a distinguere il liceo Leopardi di San Benedetto del Tronto da quello di Recanati o da quello di Macerata o da quello di Cingoli o da quello di Pordenone?

Nonostante questi interrogativi e l’incertezza che governa la materia, almeno le scuole una indicazione l’hanno avuta. Non esaustiva, d’accordo, ma almeno ce n’è una.

A questo punto ti domando, direttore, come devono comportarsi invece gli enti teritoriali? Penso alla Regione Friuli Venezia Giulia (www.regione.fvg.it), alla Provincia di Forlì-Cesena (web.provincia.fc.it) o al comune di Temù (www.temu.gov.it) in Val Camonica o a quello di Ciriè (www.cirie.net), nel torinese, o a quello di Dolcè (www.comunedolce.it), nel veronese, o a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio (www.santandrea.gov.it).

Come sai negli oltre ottomila tra comuni, province e regioni, i contesti sono assai diversi e distanti tra loro per posizione, dimensione, personale, bilancio e via dicendo. L’esigenza di una armonizzazione nei nomi usati per la presenza su Internet non è più trascurabile e, sarai d’accordo con me, sarebbe auspicabile un coordinamento in seno all’Europa che oggi, come dimostrato, manca del tutto.

Direttive sulla normalizzazione dei nomi almeno nel nostro Paese sarebbe proprio il caso di emanarle, magari sottoforma di linee guida di concerto con il Comitato Consultivo di Indirizzo del Registro .it. Cioè, ritengo che non basti dire che esistono dei nomi a dominio sotto il ccTLD .it riservati allo scopo come sant-andrea-apostolo-dello-ionio.cz.it se poi il Comune preferisce, e lo comprendiamo tutti, farsi raggiungere con santandrea.cz.it o addirittura, come nel caso del Comune di Ciriè con cirie.net, anziché cirie.to.it o ciriè.to.it o cirie.torino.it o ciriè.torino.it.

Per le province: provincia.ba.it per Bari o provincia.bari.it, provincia.reggio-calabria.it o provincia.rc.it, provincia.reggio-emilia.it o provincia.re.it? Oggi l’uniformità manca, la confusione cresce e l’affidabilità, soprattutto nei confronti degli altri Paesi del mondo, sprofonda.

Ecco caro direttore, ti chiedo anche per conto di tanti colleghi delle PA interessate, di aggiustare il tiro e indicare definitivamente una strada da percorrere verso una digitalizzazione più partecipata e ragionata che si ponga, anche a livello europeo, come modello da imitare ed esportare.

Fiducioso nel fatto che prenderai in considerazione queste poche righe, ti saluto cordialmente.

Antonio Prado

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