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Addressable Tv, la pubblicità profilata su smart tv va regolata

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Intervista all'avvocato Massimo Lualdi, specialista di diritto dei media, sulle criticità dell'addressable Tv, che dà la possibilità di trasmettere spot pubblicitari profilati in streaming anche alle grandi emittenti nazionali.

Si chiama addressable Tv la possibilità di profilare in maniera precisa i gusti degli utenti delle smart tv e di splittare il messaggio a livello geografico, demografico, comportamentale, a piacimento. Una modalità pubblicitaria figlia della profilazione del web, ma ora applicata anche dalle grandi emittenti come quelle dei gruppi Mediaset e Sky, che così splittano in streaming il messaggio pubblicitario a seconda dei desiderata.
A farne maggiormente le spese potrebbero essere le emittenti locali.
Quali sono le criticità di questa modalità pubblicitaria? Ne abbiamo parlato con l’avvocato Massimo Lualdi, specialista di diritto dei media in MCL Avvocati Associati e Consultmedia, giornalista e direttore del periodico specialistico Newslinet.it.

Key4biz. Quali sono le criticità della addressable tv?   

Massimo Lualdi. Gli aspetti critici riguardano il difficile bilanciamento tra una esigenza assolutamente legittima da parte dei grandi operatori (come Mediaset e Sky) di competere, più o meno ad armi pari, con gli OTT del web (Amazon, Google, ecc.), ma soprattutto coi player dello streaming on demand (in particolare Prime Video, che ha iniziato ad aprire alla pubblicità nei suoi contenuti), ma anche con piattaforme lineari FAST (come Pluto) e la necessità di evitare che finiscano stritolate da questo nuovo approccio pubblicitario le emittenti televisive locali. 

Key4biz. Qual è il rischio?

Massimo Lualdi. La addressable tv si innesta nel tessuto lineare della tv digitale terrestre e del satellite, passando dall’etere (DTT/sat) allo streaming sulle smart tv effettivamente connesse senza che l’utente faccia alcunché. La percezione per lo spettatore è di continuare a seguire il medesimo programma (del digitale terrestre o del satellite) in modo composito (il medesimo contenuto identico per tutti) e non di essere bersaglio di una pubblicità profilata. Il punto, tuttavia, non è l’utente, che nel momento in cui ha autorizzato (attraverso i tasti di accettazione che compaiono in occasione della sintonizzazione del canale lineare DTT o sat con una smart tv) ha acconsentito ad essere profilato a fini commerciali. L’aspetto critico riguarda le tv locali, i cui inserzionisti per gli spot lineari (concessionarie di auto, centri commerciali, serramentisti, arredamenti, ecc.) potrebbero trovare più allettante investire in spot che, quand’anche fruibili solo dagli utenti dotati di una smart tv (che comunque in Italia hanno superato abbondantemente i 20 milioni di apparati), sono percepiti come integrati in un palinsesto di un canale nazionale ad alta attrattività, piuttosto che in quelli di una tv locale.

Key4biz. Ma le emittenti locali non possono fare la stessa cosa profilando i telespettatori? 

Massimo Lualdi.  Tecnicamente sì, ma nella realtà fattuale l’appeal è imparagonabile. Già oggi le tv locali faticano a collocare spot lineari guardabili da tutti i possessori di tv (connesse o meno): limitare la veicolazione alle sole smart tv significherebbe ridurre la resa della pubblicità e quindi deludere l’inserzionista. Su 100mila utenti della medesima area geografica in grado di ricevere un contenuto addressable tv (quindi con tv effettivamente connesse), quanti sono ascrivili a canali nazionali e quanti a locali?

Key4biz. La tecnologia in sé della addressable tv in cosa consiste esattamente?

Massimo Lualdi. La addressable tv è un formato di pubblicità digitale che permette di raggiungere specifici gruppi di utenti. Applicata alla televisione lineare terrestre e satellitare, consente agli utenti dotati di smart tv e connected tv effettivamente collegate alla rete di vedere contenuti pubblicitari profilati (geograficamente, demograficamente e comportamentalmente). Le classi di utenti per territorio (chirurgicamente definito, estremizzando, anche a livello di un solo quartiere cittadino), per età (ad esempio quelli tra i 40 e i 60 anni) o stile comportamentale (es. sportivi) sono suddivisibili all’infinito e gli inserzionisti dello stesso cluster altrettanto. La disponibilità di un minuto pubblicitario in addressable tv si traduce (potenzialmente) in centinaia di spot diversi che segmentano il pubblico che in quel momento sta guardando la tv DTT o sat con una tv connessa (che viene sfruttata in quanto tale solo nel momento in cui il contenuto pubblicitario viene diversificato per classi di utenti). Ad ogni utente, potenzialmente, potrebbe giungere un messaggio diverso, tarato su di lui, come sul web (coi motori di ricerca o i social). Ben si comprende quanto ciò possa essere invasivo per i media territoriali (giornali, radio e tv locali). Ovviamente i costi delle inserzioni si adeguano al minor pubblico e quindi il rischio di dumping sul mercato è enorme.

Key4biz. Quindi c’è già un mercato pubblicitario consistente per la addressable Tv?   

Massimo Lualdi. Per le nazionali che fanno una certa audience, sì. Non a caso questi tipi di pubblicità vengono mandati sui canali generalisti importanti, perché soltanto su quelli tematici probabilmente non avrebbero la stessa resa.  

Key4biz. C’è un vuoto normativo per questo tipo di pubblicità? Chi dovrebbe intervenire?

Massimo Lualdi.  L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, a livello regolamentare, per evitare che i media locali finiscano stritolati dall’utilizzo massivo dei superplayer di questa tecnologica. La questione, tuttavia, non è di facile soluzione: impedire tout court l’utilizzo della addressable tv ai fornitori di servizi di media audiovisivi nazionali non è possibile, perché si creerebbe una sperequazione verso gli OTT del web, sicché i primi sarebbero svantaggiati a favore dei secondi.

Key4biz.  E ancora?

Massimo Lualdi. Nemmeno è possibile imporre ai fornitori di contenuti DTT e satellitare nazionali di veicolare spot locali, perché essi (spot) non si definiscono tali in funzione (ovviamente) dell’insistenza territoriale, ma del mezzo di veicolazione. Quindi, è di fatto locale uno spot che ha un interesse per un mercato non nazionale. Ma uno spot non è locale perché trasmesso da una tv locale (che ben può trasmettere uno spot di un cliente di interesse nazionale). E nel momento in cui un negozio in provincia di Como si pubblicizza su una tv nazionale (perché ha le potenzialità economiche per sostenere l’investimento) diviene uno spot nazionale. Ma dal punto di vista giuridico è impossibile decidere a monte cosa sia locale e nazionale, salvo ingerire nella libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita. Anche in considerazione del fatto che, con l’e-commerce, un venditore locale può ambire a svilupparsi su tutta Italia. Si tratta, quindi, di un problema di non facile soluzione, ma per il quale è urgente la ricerca di definizione.

Key4biz. Cosa si può fare, nell’immediato?

Massimo Lualdi. In questa fase ritengo che l’unico argine che potrebbe essere d’aiuto ai media areali è quello di far rientrare l’addressable tv nel calcolo per la determinazione del tetto pubblicitario del prodotto lineare, impedendo, per esempio, che l’addressable tv si sommi ai contenuti pubblicitari già trasmessi, ma che spartisca il tempo con essi. Per capirci, niente addressable tv in occasione di promo o comunque di contenuti lineari sacrificabili sul DTT o sul sat (per far spazio appunto alla addressable tv senza intaccare i caroselli tradizionali). In definitiva, l’addressable tv deve andare in onda negli stessi cluster della pubblicità lineare via etere. Se così fosse, i fornitori dovranno decidere se è conveniente sacrificare spazi lineari nazionali a favore di contenuti pubblicitari addressable.

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