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Accordo Italia-Cina, Mattarella spegne le polemiche. Fuori il 5G, che senza Tlc cinesi arriva ben più tardi

Roma - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri, ed altri membri del Governo, in occasione del prossimo Consiglio Europeo, oggi 13 marzo 2019. (Foto di Paolo Giandotti - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Per spegnere le polemiche strumentali interne e internazionali, per chiarire gli equivoci nel Governo e per far capire all’intero Paese l’importanza economica del memorandum Italia-Cina è dovuto intervenire addirittura Sergio Mattarella, a ridosso della firma dell’intesa.“Non c’è nessuna opacità” nell’accordo, ha chiarito il Presidente della Repubblica, ieri al Quirinale, parlando con il vertice dell’esecutivo: il premier Giuseppe Conte, i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, con i ministri Enzo Moavero, Giovanni Tria, Elisabetta Trenta e il sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti.

È emerso inoltre che il memorandum of understanding con Pechino è “molto meno pregnante” di tanti altri siglati bilateralmente da 13 Paesi europei con la Cina. Di più: che le regole d’ingaggio italiane riguardo gli accordi con la Cina sono “molto più severe e stringenti del documento illustrato a Bruxelles dal vicepresidente della Commissione europea Katainen nei giorni scorsi”. Dunque, tanto rumore per nulla su un protocollo determinante per la crescita economica dell’Italia, perché sono ben 50 gli accordi che Italia e Cina firmeranno dal 22 marzo al 24 marzo prossimo quando il presidente cinese Xi Jinping sarà in Italia, a conclusione di un dialogo iniziato da tempo, con visite a Pechino di Renzi, Gentiloni e Mattarella.


Un memorandum con 50 accordi chiave

29 intese fra enti pubblici e 21 accordi che coinvolgono Cdp, Snam, Sace, Enel, Terna, Fincantieri, Unicredit e Intesa Sanpaolo, Danieli, Eni, Italgas, le autorità portuali di Genova e Trieste, le Ferrovie dello Stato. Praticamente è l’intero sistema Paese a stringere la mano a Pechino perché l’Italia ha bisogno di investitori cinesi per crescere di più economicamente (non è una colonizzazione) e, allo stesso tempo, è necessario aumentare le esportazioni verso la Cina.

Se la Cina non fosse così importante per le economie dei Paesi Occidentali non si spiegherebbero i 13 memorandum siglati bilateralmente già da altri Stati dell’Unione europea. Per questo motivo l’Ue ha dovuto precisare che “gli stati membri non possono negoziare accordi in contraddizione con la legislazione europea” e per questo “non c’è preoccupazione” sull’intesa Italia-Cina.

Resta fuori il 5G, ma senza le Tlc cinesi arriva molto più tardi

Resta fuori il 5G dal memorandum. Perché “la sicurezza nazionale viene prima di qualunque interesse commerciale”, ribadisce il Governo.
Ma senza le Tlc cinesi il 5G arriverebbe molto più tardi in Italia e in Europa rispetto al timing attuale (da metà 2019). Huawei e ZTE sono protagoniste, nel nostro Paese, nelle sperimentazioni di Milano, Bari, Matera, Prato e L’Aquila. Secondo un report della Deutsche Telekom:Un no a Huawei in Germania farebbe ritardare di almeno due anni il passaggio al 5G’.
Al posto di bannare determinate società, peraltro senza prove, sarebbe meglio attivare efficaci strumenti di difesa delle reti per proteggere i dati essenziali o strategici dello Stato e anche dei cittadini. E allora qual è il modo migliore per garantire la sicurezza delle infrastrutture critiche nazionali, comprese la futura rete mobile 5G, e non obbedire all’ordine degli Usa, che in questa campagna contro le Tlc cinesi ha dei conflitti di interesse?

Al momento la risposta del Governo italiano è stata l’istituzione presso il Ministero dello Sviluppo economico di una struttura strategica. È il Cvcn: centro di valutazione e certificazione nazionale per la verifica delle condizioni di sicurezza e dell’assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati e sistemi destinati ad essere utilizzati per il funzionamento di reti, servizi e infrastrutture critiche.

Se i prodotti cinesi, come di qualunque altro Paese, sono valutati e certificati, il problema non sussiste.

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