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Abuso d’ufficio, nell’85% dei casi l’accusa è infondata

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L’abuso di ufficio in Italia non sarà (forse) più un reato, questo vuol dire che la fedina penale delle 3.623 persone condannate definitivamente tra il 1997 e il 2022 (almeno per quanto riguarda questo reato) tornerà pulita. Giusto o sbagliato?

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Nel 2021 su 513 indagati a processo solo 18 sono risultati colpevoli

L’abuso di ufficio in Italia non sarà (forse) più un reato, questo vuol dire che la fedina penale delle 3.623 persone condannate definitivamente tra il 1997 e il 2022 (almeno per quanto riguarda questo reato) tornerà pulita. Giusto o sbagliato? Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio è urgentissimo. La ragioni sono due: la prima è perché bisogna togliere ai sindaci e agli amminstratori pubblici italiani la “paura della firma”. la seconda è che per i sostenitori del ddl Nordio (FdI, Lega e Fi, Azione e Italia Viva) in Italia il vero problema è “l’abuso dell’abuso di ufficio”. E i dati non smentiscono questa affermazione, come mostra il grafico in apertura.

La media di archiviazione di tutti i reati penali è del 65%

In Italia infatti il tasso di archiviazione per questa tipologia di reato è altissimo pari all’85%, la media di archiviazione dei reati penali è molto più bassa, 65%. Questo vuol dire che la stragrande maggioranza delle volte i processi per abuso di ufficio non iniziano perché l’accusa è infondata. Ma la cosa più grave è che a volte ci vogliono anni prima di arrivare al verdetto che scagiona l’imputato. E questo comporta una grande perdita di tempo per i giudici, oltre a arrecare un grave danno ai cittadini. Questi i numeri: nel 2021 sono stati iscritte nei registri degli indagati 5.418 persone, le archiviazioni sono state 4.613, di cui 148 per prescrizione. Quanto alle condanne ne sono state pronunciate solo 18 su 513 procedimenti, negli anni precedenti erano di più 37 nel 2020 e 54 nel 2019.

Abuso di ufficio, cosa cambia con il ddl Nordio

Con la sua abolizione il reato di abuso d’ufficio non avrà più rilevanza penale bensì solo amministrativa. In poche parole non si finirà in carcere ma si dovrà pagare una multa. Ma attenzione: questo non si applica agli altri reati contro la pubblica amministrazione che rimangono perseguibili, come la concussione (la mazzetta), la corruzione (l’associazione a delinquere) e il peculato (mettersi in tasca il denaro pubblico).

Tutte le modifiche al reato di abuso di ufficio

È importante sottolineare come questa tipologia di reato è da sempre oggetto di riforma. La prima modifica all’abuso di ufficio risale infatti al 1990, quando in carica era il sesto governo Andreotti. L’idea alla base della riforma era l’abuso di ufficio come reato “in bianco”. Vuol dire che praticamente tutte le condotte sbagliate potevano essere considerate abuso di ufficio. Le modifiche del governo Andreotti miravano quindi a circoscrivere l’ambito di applicazione del reato e introdurre pene più severe per gli abusi legati al denaro.

Perché abolire l’abuso di ufficio

La riforma volta a limitare in modo più netto il reato è del 1997, siamo nel primo governo Prodi. Anche qui l’obiettivo era restringere i casi in cui l’azione di un amministratore poteva essere considerata abuso di ufficio, ma si fa di più eliminando l’ampia definizione di “danno generico” come motivo valido per l’accusa. L’ultima revisione prima di quella di Nordio è invece del 2020 e porta la firma del governo di Giuseppe Conte, anche qui la modifica aveva un obiettivo preciso, specificare in modo ancora più netto i campi di applicazione, ma il governo Conte fa di più rende perseguibile il reato solo se c’è una violazione  della legge e non solo di un regolamento. Un esempio emblematico è quello dell’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti del Partito Democratico, che nel 2016 viene condannato in primo grado per turbativa d’asta per essere completamente assolto cinque anni dopo.

L’indice di percezione della corruzione

Tuttavia nonostante la maggior parte dei casi di abuso di ufficio si concluda con l’assoluzione, la percezione del rischio in Italia rimane alta. A dirlo è l’Indice di percezione della corruzione, una classifica mondiale che misura quanto le persone “sentono” di vivere in un Paese con problemi di corruzione. Questo “termometro” funziona cosi: zero (alto livello di corruzione percepita) 100 (basso livello di corruzione percepita). L’Italia si piazza a metà, precisamente al 17esimo posto tra 27 Paesi membri dell’Unione europea con un punteggio di 56. Fanno meglio la Spagna con un punteggio di 60, la Francia con 72, la Germania con 79. A livello globale il nostro Paese è invece  al 41° posto su 180. La Danimarca rimane al vertice con 90 punti, seguita dalla Nuova Zelanda e dalla Finlandia con 87 punti, a seguire la Norvegia con 84 e Singapore e la Svezia con 83. In fondo alla classifica troviamo la Somalia con 12 punti, la Siria e il Sud Sudan con 13 punti, il Venezuela con 14 punti.

Fonte: Ministero della Giustizia

I dati si riferiscono al: 202