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A quanti anni si va in pensione? Dipende dal settore

Inps

La riforma delle pensioni è uno dei primi stress test per la tenuta del governo guidato da Mario Draghi. Il presidente del Consiglio ha incontrato ripetutamente i sindacati, ma le divergenze, per ora, sono lontane dall’essere risolte. Si va verso Quota 102 per un anno, ma prima di tutto è necessario rispondere ad una domanda: a quanti anni si va in pensione in Italia? La risposta è: dipende. Dipende, oltre che dalle leggi mutevoli, soprattutto dalla gestione pensionistica alla quale si appartiene e, in particolare, dalla tipologia di pensionamento cui si può accedere.

A quanti anni si va in pensione in Italia

La gestione con il maggior numero di persone è quella dei lavoratori dipendenti. Su 856.004 pensionamenti del 2020 ben 364.235 appartenevano a questa categoria. Dopo, con 168.808 viene la gestione dei dipendenti pubblici. Numeri minori interessavano le altre categorie, come quella dei commercianti, 81.282 pensionamenti, e quella dei parasubordinati, solo 38.257.

A quanti anni si va in pensione di vecchiaia

Dal punto di vista della tipologia di pensione cui si può accedere quella di vecchiaia scatta solo a 67 anni, se si sono versati contributi per almeno 20 anni, oppure 66 anni e 7 mesi in caso di lavori usuranti. La pensione anticipata, invece, è utilizzabile da coloro hanno accumulato 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini, o 41 anni e 10 mesi se donne, o 41 anni se si è cominciato a lavorare da minorenni e si è disoccupati o si fa un lavoro usurante. Questo fino alla prossima riforma e ai prossimi cambiamenti. Uno di questi coinvolgerà con certezza Quota 100, che oggi consente di andare in pensione con almeno 62 anni e 38 anni di contributi. Ma che verrà cancellata per fare posto ad altre agevolazioni, tuttavia meno generose in termini di età del ritiro. Ci sono poi naturalmente le pensioni di invalidità e per i superstiti che abbassano o innalzano l’età media media di pensionamento effettiva.

L’età della pensione in base alla modalità di ritiro

Venendo quindi a quanti anni si va in pensione in Italia, quella di vecchiaia, sulla carta, dovrebbe essere la stessa per tutti, in realtà sono piccole differenze in base alle gestioni. Sono i parasubordinati, quindi partite Iva e co.co.co, quelli che vanno in pensione più tardi, a ben 68,5 anni nel caso dei pensionamenti effettuati in questa modalità nella prima parte del 2021. Questo perché vi è una fetta piuttosto ampia di essi, il 28,9%, che sceglie di rimanere oltre i 67 anni al lavoro, ritirandosi a 68 anni o oltre. Essendo le loro carriere generalmente discontinue e i redditi inferiori si tratta di una strategia per avere assegni pensionistici meno magri.

A quanti anni di contributi

A quanti anni si va in pensione se si è un coltivatore diretto che accede alla pensione di vecchiaia? Bastano 67,4 anni, appena dopo commercianti e artigiani, a 67,3 e 67,2 anni rispettivamente, e i lavoratori dipendenti a 67,1. Solo l’8% di questi ultimi infatti rimane al lavoro dopo il 67 anni. 67,1 è l’età media di pensionamento anche dei lavoratori del settore pubblico.

Quando ci si ritira con la pensione anticipata

Più differenze vi sono nelle età di pensionamento di coloro che prediligono la pensione anticipata e che sono stati, nel 2020, la maggioranza, 291.479 contro i 269.479 che hanno utilizzato le pensioni di vecchiaia. Nei primi sei mesi del 2021, tuttavia, sono state queste ultime ad avere superato, seppur di poco, le prime. Ma si dovrà attendere la fine dell’anno per verificare se si tratta di un trend consolidato.

In particolare è nel settore pubblico che si sceglie di fermarsi anticipatamente, questo perché le carriere sono più continue, e questo consente a molti di arrivare a 41-42 anni di contributi, e i salari mediamente più alti, così da rendere più sopportabile un assegno pensionistico leggermente decurtato. Nel settore pubblico ci si ritira mediamente a 62,6 anni.

A quanti anni si va in pensione? A 50 ora è impossibile

Al contrario i pochi coltivatori diretti che possono andare in pensione anticipata lo fanno a 61,1 anni contro i 62,3 dei commercianti, e i 62,6 del gruppo più numeroso, quello dei lavoratori dipendenti. Anche tra i coltivatori diretti, e al contrario di quanto avviene per esempio tra i commercianti, sono molte di più le pensioni anticipate di quelle di vecchiaia, 125.887 contro 80.109 nel 2020, 62.256 contro 38.909 nel primo scorcio del 2021.

Non è solo una questione di settore in cui si lavora e di continuità contributiva, ma come in molti altri ambiti anche di genere. A quanti anni si va in pensione e quanti anni di contributo occorrono? Beh, le donne possono usufruire di Opzione donna, che consente di ritirarsi a chi abbia compiuto 58 anni, 59 per le autonome, e 35 anni di contributi.

Nonostante questo tra le lavoratrici è minore il ricorso alla pensione anticipata. Questi hanno superato nel 2020 quelli di vecchiaia di meno di 2mila unità nel loro caso, risultando anzi inferiori di 20mila nella prima parte del 2021, mentre sono stati molti di più nel caso dei lavoratori uomini sia nel 2020 che nel 2021.

Il motivo è che seppure godano di maggiori agevolazioni le donne hanno carriere discontinue, con stipendi generalmente inferiori a quelle dei colleghi maschi. O non giungono ad avere il numero di anni di contribuzione necessari o anche quando ci riescono ad andare in pensione anticipata arriverebbero a percepire un assegno troppo basso, cosa che le costringe a rimanere al lavoro.

L’età pensionabile per le donne

La differenza tra i due generi è particolarmente evidente nel settore dei dipendenti privati, dove tra gli uomini quelli che si fermano in anticipo è di più del doppio di coloro che attendono i 67 anni, mentre tra le donne i due gruppi sono numericamente pari. Al contrario nel comparto pubblico anche le lavoratrici, spesso impiegate in modo continuo da decenni, si ritirano prima.

La possibile riforma

Sono diversi i cambiamenti che potrebbero essere impressi dal Governo nel campo delle pensioni. Di Quota 100 si è già detto. Il premier Draghi ha già affermato di essere stato contrario alla sua introduzione e dovrà essere rivista, ma sulla possibilità di tornare in toto alla legge Fornero, che, ricordiamolo, rimane quella ufficialmente in vigore, verte il dibattito politico. È altamente probabile che vi saranno passaggi intermedi, con quote 102,103 o 104 nei prossimi anni per evitare scaloni e spostare più in là un innalzamento dell’età pensionistica.

In molti però sono contrari al principio delle quote e vorrebbero una riforma organica, che abbassi strutturalmente l’età di 67 anni, per tutti o perlomeno per alcune categorie di lavoratori occupati in mansioni usuranti. E anche l’elenco di quali impieghi sono definibili come tali è a sua volta materia di contrattazione.

Gli anni per andare in pensione di vecchiaia

L’età della pensione di vecchiaia, del resto, è prevista in innalzamento nei prossimi anni. In base ai calcoli effettuati prima della pandemia si sarebbe dovuti passare nel 2022 a 67 anni e 3 mesi, a causa dell’aumento della speranza di vita. E poi a 67 anni e 6 mesi nel 2025, a 67 e 9 mesi nel 2027, e così via, fino a 69 anni e oltre dopo il 2040.

Ma il Covid potrebbe avere cambiato tutto. Sappiamo già come l’elevata mortalità tra gli anziani ha cambiato anche le statistiche generali sulla durata della vita degli italiani, e di conseguenza queste stime andranno modificate. Risulta difficile pensare che per i prossimi anni si andrà oltre i 67 anni attuali per quanto riguarda la pensione di vecchiaia. E tuttavia anche questa età appare troppo tarda per molti.

I dati si riferiscono al 2020-2021

Fonte: Inps 

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