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L’Italia centra gli obiettivi di Kyoto: risparmiate 20 milioni di tonnellate di CO2

Italia


Il nostro Paese ce l’ha fatta e pur in un contesto di crisi economica ed Istituzionale piuttosto accentuate, è riuscita a centrare gli obiettivi di Kyoto. Secondo il “Dossier Kyoto 2013“, realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, l’Italia ha ridotto l’emissione di gas serra di oltre 20 milioni di tonnellate nel 2012, diminuendo il livello di CO2 di circa il 7% (l’obiettivo era il 6,5%).

 

Un dato significativo, che porta le nostre emissioni nocive attorno ai 470 milioni di tonnellate di anidride carbonica (MtCO2eq), al di sotto della media di osservazione degli ultimi 4 anni che è stata di 480 MtCO2eq. Quando quindici anni fa fu firmato lo storico protocollo di Kyoto ci fu subito un’alzata di scudi da parte di coloro, ed erano in tanti, che vedevano in tali parametri troppo stretti una spina nel fianco per la nostra economica già debole e minata da decenni di mancati investimenti e scarsa innovazione tecnologica e di sistema. C’era chi sosteneva che ridurre gli inquinanti non era necessario e comunque troppo costoso, ha ricordato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile: “Facendo oggi, molti anni dopo, un bilancio, si può dire che le analisi del partito del ‘Protocollo, costo elevato non necessario’, erano completamente sbagliate sia dal punto dal vista economico (si è raggiunto l’obiettivo senza costi insostenibili), sia ambientale (i gas serra, ormai sono tutti d’accordo, sono alla base della grave crisi climatica)“.

 

Il percorso di decarbonizzazione dell’economia italiana è stato avviato e deve proseguire secondo le linee indicate dal piano nazionale definito dal Governo per raggiungere gli obiettivi già fissati in sede europea al 2020 e al 2030 – ha commentato il ministro dell’Ambiente, Corrado Clinisiamo davanti ad una trasformazione culturale e tecnologica dei sistemi produttivi ma anche degli stili di vita. La riduzione del carico per l’ambiente delle attività civili e produttive è diventata una filosofia di sviluppo socio-economico che sta pervadendo con un virtuoso effetto domino tutta la società diventando “valore”, non solo etico ma anche economico e commerciale“.

 

Il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo è quindi il frutto non solo di politiche e misure di settore, come quelle sugli incentivi alle fonti rinnovabili e agli interventi di efficientamento energetico negli edifici, ma anche di più ampio processo di dematerializzazione dell’economia in corso, guidato dalla diffusione di prodotti e servizi a minore intensità di consumo di risorse ed energia, come anche a comportamenti individuali più sensibili ai temi della tutela ambientale, della sostenibilità e del contenimento dei consumi. Un miglioramento confermato dagli indicatori di intensità carbonica ed energetica del PIL che, proprio negli ultimi anni, registrano tassi crescenti di riduzione delle emissioni di gas serra e dei consumi energetici per unità di Prodotto interno lordo. Un’accelerazione che corrisponde al recente cambio di passo nel campo delle politiche sulle fonti rinnovabili, il cui contributo è raddoppiato in cinque anni, e sull’efficienza energetica, che ha consentito una riduzione della domanda energetica stimata tra 5 e 15 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.

 

Certo, ha giocato un ruolo decisivo in tale partita anche l’aumento del prezzo delle risorse energetiche, dei combustibili fossili in particolare, che nella fattura energetica del 2012 sono arrivati a 65 miliardi di euro, il 4% del PIL (il costo medio dell’energia da carbone, petrolio e gas è passato in appena un decennio da 200 a oltre 450 euro per tonnellata equivalente di petrolio). Ma è nella dematerializzazione economica la strada verso una smart economy più verde e sostenibile. L’Europa ci chiede di investire in ricerca e nuove tecnologie per una produzione sostenibile: esperienze basate sul design di prodotti ecologici, sul riciclo e sulle tecniche di ri-manifattura, sull’eco-innovazione e su nuovi modelli basati sull’analisi del ciclo di vita del prodotto e sulla catena integrata della gestione, in grado di dimostrare come la risoluzione della scarsità delle risorse attraverso l’uso efficiente, possa trasformarsi in opportunità di crescita economica. Come auspicato dalla Commissione Europea nella Roadmap sull’Efficienza delle Risorse, negli ultimi due anni, oltre il 60% delle piccole e medie imprese (PMI) dell’Unione ha dichiarato di aver introdotto soluzioni di natura green ICT per migliorare l’efficienza delle risorse nell’ambito del proprio processo produttivo, ottenendo risultati positivi in termini di costi/benefici. Dai dati Censis del 2012, risulta che il 27% delle imprese industriali ha effettuato investimenti in green ICT, così come il 26,7% delle imprese di Costruzioni, il 21% delle imprese di Servizi, fino a punte di quasi il 40% tra le public utilities.

 

 

L’attenzione oggi, conclude il documento della Fondazione, si sposta sulle trattative in corso per definire il prossimo accordo globale sul clima, da definire entro il 2015, e che presumibilmente produrrà riduzioni a partire dal 2020. Archiviato il Protocollo di Kyoto, dunque, l’Italia deve guardare agli impegni che verranno, a cominciare da quelli fissati dall’Europa al 2020. Secondo la Fondazione, bisogna spingersi ancora oltre. Per diventare protagonista della crescita della green economy in Europa e nel mondo, l’Italia dovrà allinearsi alle indicazioni della Roadmap 2050 presentata dalla Commissione europea e cioè ridurre le attuali 465/470 MtCO2eq a 440 nel 2020 e a 370 entro il 2030. 

(f.f.)

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