Smart City in Europa, tra realtà e spot: l’indagine IDC su 69 centri urbani

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Spot o realtà? Semplici suggestioni o praticate avanzate di smart city? Queste sono alcune delle domande che hanno ispirato l’indagine IDC condotta in 69 città europee per verificare sul campo in che modo il Vecchio continente sta affrontando l’evoluzione dei centri urbani verso nuove forme di cittadinanza, di partecipazione e di sostenibilità ambientale. I ricercatori hanno cominciato a raccogliere indizi e prove a carico di decine di metropoli, più o meno grandi, dalla Spagna al Regno Unito, dalla Germania all’Italia, dalla Grecia alle città del Nord Africa e del Medio Oriente.

 

I risultati della ricerca saranno pubblicati all’inizio del 2013 e gran parte del lavoro è focalizzato sulle iniziative nell’Europa occidentale, dove i progetti di smart city e smart community sono ormai centinaia. I primi parziali risultati sono stati anticipati in una nota, da IDC Community Insights, che ha mostrato quelli che sembrano essere modelli e driver di sviluppo delle città intelligenti nei principali Stati europei. Tra questi ci sono: il rispetto per l’ambiente, l’abbassamento dei livelli di inquinanti nell’aria, il miglioramento della qualità della vita, l’efficienza energetica, la gestione del traffico intermodale, l’infomobilità, l’accesso all’educazione e alla formazione continua e molto altro.

 

Argomenti particolarmente importanti, per l’ammodernamento delle città e il loro salto tecnologico, a cui si aggiunge il ruolo della smart city nella ripresa economica e lo sviluppo di nuovi modelli di business. L’Europa soffre la crisi economica e ancora non riesce ad individuare un’exit strategy chiara ed univoca. Gli investimenti in progetti intelligenti arrivano con il contagocce e però sono molte le attese per le opportunità di crescita insiti nei nuovi processi di digitalizzazione delle città e nella costruzione di nuove infrastrutture. Un altro dato rilevante per comprendere come i cittadini, le istituzioni, le amministrazioni pubbliche e le aziende credano nei progetti di smart city messi in campo.

 

I ricercatori IDC si sono chiesti, inoltre, quanto di tutto questo corrisponda a realtà e quanto a speculazioni passeggere. Spesso nascono progetti solo per ottenere fondi, che poi sono spesi male e solo in parte, ma soprattutto piani d’intervento troppo grandi per le reali possibilità di spesa. Bisogna stare attenti alla crisi economica, perché se da una parte è un momento storico di grandi opportunità di crescita e cambiamenti, dall’altra è occasione di facili guadagni e raggiri.

 

In troppi, tra aziende e consulenti, hanno avuto modo (in passato) di imbarcarsi in progetti faraonici e ritagliarsi la loro fetta di guadagno, mentre poi molte delle iniziative sono rimaste sulla carta. I cittadini si fidano delle amministrazioni e vogliono credere in una nuova fase di cambiamenti e di crescita, d’innovazione tecnologica e di sistema. Lo studio IDC cerca allora di suggerire un approccio alle smart city meno generico e più nel dettaglio, per fare in modo che i decisori politici e i regolatori possano localizzare di volta in volta settori di intervento specifici su cui far convergere investitori ed aziende, evitando finanziamenti a pioggia.

 

La scorsa settimana Gartner ha organizzato a Milano una giornata di confronto, a cui hanno partecipato rappresentanti dell’Università di Milano, del Comune e del Parco scientifico VEGA di Venezia. Tema della giornata le Smart city in Italia, anche alla luce del Decreto crescita 2.0 convertito in legge il 13 dicembre scorso. Anche in questo caso, i partecipanti al briefing hanno sottolineato la necessità di “un’agenda nazionale per coordinare i primi passi verso le città del futuro“.  Serve una road map chiara e dettagliata, dove ogni amministrazione si può inserire e segnare gli interventi area per area, con relativa copertura finanziaria. Città, hanno ribadito i responsabili Gartner, che devono divenire più ‘astute’ che intelligenti, proprio nel raggiungere gli obiettivi in tempi consoni e senza sprechi. Una città ipertecnologica non è necessariamente ‘smart’, perché non è detto che sia stata in grado di far fruttare al meglio le risorse di cui già si disponeva, che sia stata brava nel gestire i fondi assegnati, né che i livelli di inquinamento si siano davvero ridotti.

 

Come ha spiegato Michele Vianello, direttore generale di VEGA, “sono cinque le variabili in gioco per definire il modello smart city: business community, investitori, cittadini, tecnologia e Istituzioni“, ma a determinare fin da subito la bontà di un progetto “è sempre la capacità di sfruttare al meglio infrastrutture e mezzi preesistenti“, con la partecipazione dei cittadini stessi e del loro potenziale tecnologico e culturale.

(f.f.)